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Trasparenza Esg: il greenwashing e il settore assicurativo

Presentarsi come più sostenibili di quello che si è, anche in maniera non intenzionale, è un rischio che riguarda ogni tipo di impresa. Compagnie e distributori devono fare attenzione, ma possono anche aiutare le aziende con strumenti di protezione

Trasparenza Esg: il greenwashing e il settore assicurativo hp_vert_img
Esg, acronimo di Environmental, Social, and Governance, vuole sintetizzare e descrivere l’approccio che le aziende e gli investitori adottano per valutare le loro performance in termini di impatto ambientale. In altri termini, l’approccio Esg si propone di valutare il successo nel lungo termine di un’azienda sulla scorta di una visione più ampia, che non si focalizzi esclusivamente sulla performance finanziaria, ma anche valorizzi gli esiti di una gestione responsabile degli impatti ambientali e sociali, nonché di una solida governance aziendale orientata alla sostenibilità.
Proprio per la crescente attenzione pubblica al tema Esg, taluni operatori indulgono nel greenwashing, cioè una pratica attraverso la quale un’organizzazione, un’azienda o un’istituzione rappresenta sé stessa come più ecologica, sostenibile o rispettosa dell’ambiente di quanto effettivamente sia, al fine di ottenere un vantaggio di immagine o una reputazione positiva legata alla professata attenzione alle dinamiche di sostenibilità ambientale. Il greenwashing comprende nella sua accezione negativa anche ogni forma di manipolazione o di marketing ingannevole che si propone di far leva sull’interesse sempre crescente del pubblico per le tematiche ambientali e di sostenibilità.

IL QUADRO NORMATIVO
In un’ottica di limitazione e contrasto di queste pratiche, l’Unione Europea, unitamente ad alcune organizzazioni internazionali, ha adottato una serie di iniziative. Tra queste, occorre menzionare l’Action Plan on Sustainable Finance del 2018, che ha introdotto una serie di regolamenti e direttive al fine di incrementare la trasparenza sui temi Esg e sostenibilità, con l’obiettivo di aumentare quantità e qualità delle informazioni comunicate al pubblico rispetto alla sostenibilità di imprese, operatori e prodotti finanziari; il regolamento europeo 2020/852 che ha introdotto una classificazione comune a livello europeo delle attività economiche considerate sostenibili dal punto di vista ambientale; il regolamento europeo Sustainable finance disclosure regulation (Sfdr) 2019/2088 che impone norme comuni in merito alla divulgazione di dati sui temi di sostenibilità ai partecipanti ai mercati finanziari (investitori istituzionali e consulenti finanziari). 
In tale contesto si inserisce, infine, anche la direttiva sulla Corporate sustainability due diligence (Csdd), proposta della Commissione Europea con l’obiettivo di promuovere un comportamento aziendale sostenibile e responsabile e favorire maggiore trasparenza per consumatori e investitori. Le direttive europee e le norme programmatiche mirano a garantire una maggiore trasparenza nei mercati europei. In combinazione con altre norme del sistema giuridico italiano, ad esempio la normativa sugli illeciti, sulla concorrenza sleale e la pubblicità ingannevole, possono ergersi a validi strumenti per inibire e/o sanzionare le attività illecite legate al fenomeno del greenwashing. 
Le aziende che incorrono nella messa in atto di queste pratiche ingannevoli possono sviare l’attenzione da pratiche ambientali negative o dannose che effettivamente realizzano. Ciò può danneggiare gli sforzi di sensibilizzazione sull’ambiente e ritardare l’adozione di comportamenti o prodotti veramente sostenibili, oltre che minare la trasparenza che si vorrebbe garantire a investitori e consumatori. 

ATTENZIONE, E OPPORTUNITÀ, ANCHE PER LE COMPAGNIE
Neppure il settore assicurativo può ignorare questo tema: forme di greenwashing possono essere individuate, ad esempio, nella promozione di prodotti finanziari o assicurativi attraverso affermazioni fuorvianti sulle pratiche sostenibili della stessa compagnia assicurativa o di specifici prodotti assicurativi offerti. Ulteriori esempi comuni includono l’uso di etichette verdi, l’uso di immagini di paesaggi naturali nelle campagne pubblicitarie, l’affermazione di comportamenti o prodotti ecofriendly, senza tuttavia offrire dati o prove di tale dichiarata sostenibilità ambientale. Sotto altro profilo, poi, il tema del greenwashing è suscettibile di ampliare il rischio relativo a coperture assicurative di grande diffusione. Si pensi al greenwashing quale nuova area di responsabilità di amministratori e dirigenti delle società che hanno stipulato polizze D&O e che potranno essere attivate in relazione ai danni, anche di carattere reputazionale, generati da illeciti di questa natura. Nel contesto del greenwashing, le più comuni clausole volte a escludere la copertura per danni derivanti da comportamenti dolosi o da questioni inerenti all’inquinamento non sarebbero efficaci, per non essere necessariamente intenzionale la diffusione di messaggi che risultano poi ambigui e per non essere il greenwashing, pur attinente allo spettro ambientale, pratica foriera di danno all’ambiente.

POSSIBILI SPUNTI PER POTENZIALI RIMEDI
Appare evidente che l’obiettivo delle istituzioni sia quello di prevenire – anziché sanzionare – le pratiche di greenwashing. Per contrastare tale fenomeno, sia nel settore assicurativo sia in altri settori si possono ipotizzare alcuni rimedi, principalmente attinenti a profili di: (i) regolamentazione interna volta a vagliare le pratiche di comunicazione in modo da evitare che possano risultare ingannevoli; (ii) implementazione a livello di settore di standard di comunicazione delle informazioni relative alla sostenibilità delle imprese, per garantirne trasparenza e comparabilità; (iii) verifica indipendente da parte di organismi di certificazione e/o enti terzi che garantiscano controllo e confronto imparziale tra le pratiche effettivamente messe in atto e le affermazioni fatte dalle imprese nella promozione di servizi e prodotti.
Da ultimo, il contrasto delle pratiche di greenwashing, anche nel settore assicurativo, potrebbe passare da politiche di educazione dei consumatori, con l’obiettivo di generare maggiore consapevolezza nella valutazione delle politiche ambientali e delle affermazioni delle imprese.

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