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Inquinamento da sostanze plastiche: maxi risarcimenti negli Stati Uniti

La multinazionale 3M ha proposto un accordo per risarcire con 10,3 miliardi di dollari le numerose controparti che gli avevano intentato causa con una class action. Le PFAS sono composti chimici organici dotati di caratteristiche speciali, resistenti anche alle alte temperature, e hanno rischi di contaminazione molto elevati

Inquinamento da sostanze plastiche: maxi risarcimenti negli Stati Uniti hp_vert_img
L’inquinamento causato dalle sostanze plastiche è al centro dell’attenzione dei media (Si veda anche l’articolo Microplastiche, i rischi per la salute, pubblicato su Insurance Daily di mercoledì 27 settembre 2023) già da qualche tempo, e numerose sono le iniziative intraprese dalle autorità per arginare gli effetti che le microplastiche, ormai presenti in quantità allarmanti nelle acque potabili in tutto il mondo, possono avere sulla salute delle persone e degli animali.
Come spesso accade, negli Stati Uniti le decisioni della magistratura civile anticipano le tendenze che interesseranno i procedimenti civili che saranno intentati in Europa, rappresentando la punta di un iceberg che prima o poi vedremo galleggiare sui nostri mari. In questo caso, però, l’Europa si è già mossa da tempo. Un’iniziativa di Danimarca, Germania, Norvegia, Paesi Bassi e Svezia presso l’Echa, l’agenzia europea per le sostanze chimiche, ha proposto di vietare le sostanze plastiche note con l’acronimo di PFAS in tutta l’Unione, già a partire dal 2026. 
La stretta nasce sulla scorta degli studi scientifici che hanno dimostrato come queste sostanze siano responsabili di gravi problemi alla salute, ma anche per il notevole contenzioso che si è sviluppato in Usa, con decisioni come quella che ha recentemente interessato la multinazionale 3M, condannata a pagare un risarcimento miliardario per aver inquinato l’acqua potabile con questi materiali. Nel Michigan, il colosso chimico ha raggiunto un accordo per risarcire, con un ammontare di circa 10,3 miliardi di dollari, le numerose controparti che gli avevano intentato contro una class action. 

SOSTANZE INDISTRUTTIBILI
Le sostanze PFAS, o perfluoro alchiliche, sono composti chimici organici costituiti da una catena di atomi di carbonio legata al fluoro. Si tratta di materie plastiche dotate di caratteristiche speciali, perché resistenti a quasi tutti i prodotti chimici e alle alte temperature (sono ignifughe e per questo sono utilizzate nelle schiume antincendio). Ne esistono oltre 4.000 tipi e sono caratterizzate da un’elevata persistenza nell’ambiente: vivono praticamente in eterno e tale caratteristica è valsa loro il soprannome di sostanze chimiche eterne.
Sviluppati originariamente durante gli anni ‘40, i PFAS sono stati progettati per resistere all’acqua, agli olii, alle macchie e impedire al cibo di attaccarsi ai tegami. Il più noto prodotto di questa categoria è il Teflon che tutti noi adoperiamo nelle nostre cucine, ma questi composti sono anche usati nella filiera di concia delle pelli, nel trattamento dei tappeti, nella produzione di carta e del cartone per uso alimentare (come i cartoni per la pizza) e nell’abbigliamento tecnico. 
Insomma, i campi di utilizzo sono praticamente infiniti e i prodotti contenenti PFAS sono oggi presenti ovunque: imballaggi, utensili per la cucina, cosmetici e rivestimenti. Essendo praticamente impossibili da distruggere, col tempo queste sostanze vengono micronizzate e penetrano facilmente nelle falde acquifere, raggiungendo i campi e i prodotti agricoli, quindi l’acqua potabile e gli alimenti. 

LE MINACCE ALLA SALUTE
Oltre ad accumularsi nell’ambiente, questi composti persistono a lungo negli organismi viventi, dove risultano essere tossici ad alte concentrazioni. La loro presenza risulta bioamplificata, man mano che si sale lungo la catena alimentare, perché gli organismi ai vertici della piramide alimentare ingeriscono quantità di inquinanti superiori a quelle diffuse nell’ambiente.
È stato dimostrato che queste sostanze possono causare un’ampia gamma di effetti avversi alla salute degli esseri viventi e ciò desta molta preoccupazione, specialmente per la loro proprietà di accumularsi nell’organismo. La lunga esposizione a esse può causare l’insorgenza di tumori (soprattutto a reni e testicoli), lo sviluppo di malattie tiroidee, ipertensione gravidica, coliti ulcerose, patologie fetali e gestazionali.
Considerato quanto sopra, era inevitabile che negli Stati Uniti venissero intentate delle class action contro le società produttrici che fanno uso di questi materiali, via via che le stesse venivano riconosciute responsabili della contaminazione delle risorse idriche. 

PARTONO I PROCESSI
Ne sono quindi seguiti diversi processi e l’Environmental Protection Agency ha imposto limiti rigorosi sulla diffusione di queste sostanze, affidando ai fornitori di acqua potabile la responsabilità del loro monitoraggio. Alla fine, la multinazionale 3M è stata riconosciuta come una delle maggiori fonti di diffusione di PFAS in tutta la nazione.
L’accordo segue il reclamo iniziato a Stuart, una città della Florida, dove circa 300 gruppi hanno intentato cause simili contro aziende che producono schiuma antincendio contenente PFAS e l’ammontare complessivo del risarcimento dovrebbe raggiungere 12,5 miliardi di dollari, tenendo conto delle spese. Esso contribuirà a coprire i costi per filtrare le sostanze PFAS dai sistemi in cui sono state rilevate e per i test per il controllo della loro presenza. 
All’inizio del mese scorso, altre tre società, la DuPont de Nemours, la Chemours Co. e la Corteva, hanno raggiunto un accordo da 1,18 miliardi di dollari per risolvere i reclami avanzati da un gran numero di fornitori di acqua potabile, sempre a causa della presenza di PFAS. La maggior parte delle cause sembra dipendere in particolar modo dalle esercitazioni compiute dai vigili del fuoco negli aeroporti, nelle basi militari e in altri siti negli Stati Uniti, dove sarebbero state utilizzate schiume antincendio addizionate con alte concentrazioni di queste sostanze. 

LE INGENTI SPESE DI DECONTAMINAZIONE 
Comunque, il tentativo di transazione proposto dalla 3M non costituisce alcuna ammissione di responsabilità e, poiché esso è ancora soggetto all’approvazione della magistratura, se il tribunale dovesse respingerlo, l’azienda ha annunciato che continuerà a difendersi. Molti pensano che il costo della pulizia dei sistemi idrici statunitensi potrebbe risultare molto più alto delle somme concordate, il che dimostra come le spese per la decontaminazione possano raggiungere cifre davvero ragguardevoli.
Anche in Europa, la 3M è stata oggetto di cause di questo tipo e nel 2022 ha accettato un accordo per ben 571 milioni di euro in Belgio, per aver inquinato con sostanze PFAS l’area in cui si trova il suo stabilimento di Zwijndrecht, vicino ad Anversa.  

IL CASO DELL ACQUE VENETE
Nel 2018 il Consiglio dei ministri italiano ha dichiarato lo stato di emergenza per la presenza di PFAS nelle acque potabili del Veneto, nominando un commissario ad hoc. Uno studio del Cnr ha individuato nei comuni compresi tra Padova, Vicenza e Verona elevate concentrazioni di PFAS, provocando l’intervento della Giunta regionale veneta e del ministero della Salute. Ai circa 2.000 cittadini residenti nella zona a più elevata concentrazione fu proposto di sottoporsi a un trattamento di lavaggio del sangue: la plasmaferesi, un processo che permette di separare la componente liquida del sangue (il plasma), dalla componente cellulare e di rimuoverne quindi le sostanze dannose. 
Da allora la vicenda si è fatta sempre più calda, culminando in un vero e proprio scontro istituzionale tra la Regione Veneto, che chiedeva alle autorità competenti di introdurre valori limite di PFAS nelle acque potabili su tutto il territorio nazionale, e il ministero della Salute, che negava la presenza di “significative criticità” nelle altre zone d’Italia. 

DIFFICILE INDIVIDUARE LE FONTI DELL’INQUINAMENTO
Il rapporto dell’Irsa-Cnr, intitolato Distribuzione dei PFAS nelle acque italiane: i risultati del progetto, ha tuttavia evidenziato come livelli preoccupanti di queste sostanze sarebbero invece presenti in molte altre zone del nostro paese.
Nel dicembre 2019 un briefing dell’EEA (European Environmental Agency), intitolato Rischi chimici emergenti in Europa – PFAS, ha presentato una panoramica dei rischi noti e potenziali rappresentati da queste sostanze, sottolineando le qualità di persistenza di questi composti e il fatto che gli stessi siano ormai utilizzati in una varietà di prodotti di consumo e applicazioni industriali. Le attività di monitoraggio hanno rilevato come la produzione e l’uso di queste sostanze abbiano già provocato la contaminazione delle forniture di acqua potabile in molti paesi e il biomonitoraggio sugli umani ha riscontrato la presenza di queste sostanze nel sangue dei cittadini in tutta l’Unione. I costi per la società, dovuti ai danni alla salute umana e alla bonifica in tutta Europa sono stati stimati in decine di miliardi di euro. L’adozione di misure per limitare gli usi non essenziali e la promozione dell’uso di sostanze chimiche più sicure potrebbe contribuire a limitare l’inquinamento futuro, ma la situazione è certamente grave. 
L’estrema diffusione di PFAS determina una grande difficoltà a individuare le fonti dell’inquinamento e ad allocarne precisamente la responsabilità. Si tratta del cosiddetto inquinamento diffuso che risulta escluso anche dall’operatività della Environmental Liability Directive 2004/35, perché è quasi impossibile appurare quale sia la sorgente da perseguire e determinare quale soggetto possa essere riconosciuto come responsabile. 

TEMPI DURI GLI ASSICURATORI?
È dunque possibile che (a meno che non vi sia una fonte chiaramente riconoscibile per questo tipo di inquinamento, com’è avvenuto per la 3M) saranno le aziende pubbliche e private che distribuiscono l’acqua potabile a essere oggetto della maggior parte delle eventuali richieste di risarcimento. I profili di responsabilità sono comunque molteplici e abbracciano i soggetti più diversi, dai produttori ai distributori, perciò è difficile credere che il contenzioso tardi a svilupparsi, soprattutto alla luce delle notizie che arrivano dagli States.
L’avvento delle class action anche nel nostro sistema, infine, ci fa pensare che prima o poi una serie di procedimenti di questo tipo possa essere intentato anche dalle nostre parti. Gli studi legali europei non sembrano essere ancora particolarmente attratti dalla possibilità di ricorrere alle azioni collettive di risarcimento (anche perché il ricorso a esse è da noi assai più difficile) e bisognerà attendere che queste pratiche legali diventino più popolari, ma è solo una questione di tempo. 
Alcune organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti dell’ambiente, intanto, hanno già annunciato di essere pronte a cimentarsi su questo fronte: si profilano perciò tempi duri per le società che gestiscono gli acquedotti e i loro assicuratori.

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