La proprietà privata riscopre l’interesse sociale
I temi della sostenibilità, e i relativi obblighi, sono stati introiettati dalle imprese che vivono con sempre maggiore consapevolezza il proprio ruolo all’interno della società. Ma il senso del bene comune e l’interesse per le generazioni future riconosciuto come diritto stanno facendo crescere anche forme di coinvolgimento dei singoli cittadini nel sociale
30/11/2024
Nell’articolo pubblicato il 24 settembre 2024 su Insurance Daily (Il diritto privato riscopre l’interesse generale) ho evidenziato alcune iniziative poste in essere dalle imprese (e dalle imprese assicurative in particolare) volte a una maggiore sostenibilità ambientale e sociale. I codici etici adottati da quasi tutte le compagnie e le clausole di sostenibilità presenti negli atti costitutivi e negli statuti di molte imprese, ad esempio, obbligano gli amministratori a impegnarsi per perseguire anche interessi generali come la tutela dell’ambiente, dei dipendenti, della salute e degli stakeholder e non soltanto la massimizzazione del profitto e delle rendite.
Non è una riflessione di poco conto, perché implica un cambiamento radicale nella governance delle imprese che tenga conto della necessità sempre più indifferibile, per la sopravvivenza del pianeta, di orientare la condotta degli amministratori anche verso fini ambientali e sociali.
Una funzione sociale teorizzata dai giuristi
In pratica, gli obblighi di sostenibilità ambientale e sociale imposti dalla normativa comunitaria e nazionale alle imprese, nonché gli sforzi compiuti da queste ultime in autoregolazione, stanno adeguando l’istituto della proprietà privata ai principi affermati dalla Costituzione agli articoli 2 e 42.
La proprietà privata deve essere oggi considerata non soltanto nella prospettiva classica del diritto soggettivo assoluto, ma in una prospettiva più ampia che tenga conto degli interessi generali (art. 2 Cost. sul principio di solidarietà sociale ed economica) della sua funzione sociale (art. 42 Cost.).
Ricordo a questo proposito alcuni grandi giuristi che avevano teorizzato la funzione sociale della proprietà privata, valorizzando il rapporto tra il soggetto e il bene. Sono le caratteristiche del bene che conformano il diritto di proprietà secondo Finzi. Rodotà e Rescigno avevano invece identificato la funzione sociale della proprietà come limite interno al diritto (divieto di abuso del diritto).
Oggi, grazie al contributo di questi giuristi e di altri (penso, ad esempio a Ugo Mattei), la funzione sociale della proprietà privata significa valorizzare anche l’interesse e il benessere sociale, nonché i doveri di responsabilità sociale che incombono sui proprietari dei beni.
Certo, non possiamo nasconderci che quello che è accaduto a partire dagli anni ‘90 con le privatizzazioni e la concentrazione del potere economico si scontra con la teoria della funzione sociale della proprietà privata e con i doveri di responsabilità sociale che fanno capo ai proprietari.
Sta di fatto, però, che l’istituto della proprietà privata sta mutando in senso meno egoistico e si sta riscoprendo l’interesse collettivo come era avvenuto negli anni ‘70 del secolo scorso.
L’interesse collettivo coinvolge anche i privati
La prova di questo cambiamento di rotta si trova pure se si osserva il mondo dei privati e le iniziative poste in essere da questi soggetti per la tutela ambientale.
Sono sempre più numerosi, infatti, i privati cittadini, le associazioni non riconosciute e gli enti del terzo settore che, di fronte al degrado urbano rappresentato, ad esempio, da giardini, fontane, piazze, scuole, aree periferiche e immobili abbandonati o confiscati alle mafie (ma di esempi ce ne sono molti altri), rivendicano un ruolo attivo per la loro cura e la rigenerazione anche nell’interesse delle generazioni future.
Negli ultimi anni sono oltre 300 i Comuni che hanno sottoscritto patti di collaborazione con i cittadini attivi per la cura, la gestione e rigenerazione dei beni sopra richiamati.
Questi beni sono definiti comuni, grazie al lavoro della Commissione Rodotà, che nel 2007 aveva previsto una serie di modifiche al codice civile che riconoscevano la categoria dei beni comuni accanto a quelli pubblici e privati e aveva previsto una nuova categoria di interessi da tutelare: quelli delle generazioni future.
I patti di collaborazione tra cittadini e Comuni sono un esempio di attuazione dell’art. 118 della Costituzione sul principio di sussidiarietà orizzontale e ricalcano un modello elaborato da un ente del terzo settore (Labsus) che, insieme al Comune di Bologna, aveva predisposto nel 2014 un regolamento poi recepito da molti Comuni.
I principi sui quali si basano questi patti sono tre.
Il senso di appartenenza a una comunità che supera l’interesse individuale e porta i cittadini a proporre all’ente pubblico un patto per curare dei beni abbandonati e rigenerarli.
L’informalità è il secondo principio sul quale questi patti si fondano, mentre il terzo principio è quello delle responsabilità condivise tra cittadini e Comuni.
E proprio sotto questo profilo gli assicuratori hanno dato e possono dare un loro contributo importante.
Il successo di questi patti di collaborazione dimostra che, anche in un’epoca dove trionfa l’iocentrismo e il narcisismo, occorre riscoprire il senso di appartenenza a una comunità che, come cantava Giorgio Gaber in una della sue più belle canzoni, la Canzone dell’appartenenza, fa si che “il destino non sia quello di andare di più verso se stessi ma di appartenere a qualcosa che travolge ogni egoismo personale e fa sentire gli altri dentro di sé”.
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