Il valore del lavoro domestico
In ambito familiare, la perdita di una persona moglie e madre rappresenta a tutti gli effetti un danno patrimoniale per le mansioni domestiche da essa svolte in qualità di casalinga: questo orientamento della magistratura è stato di recente confermato con una sentenza che ha avuto notorietà nazionale
22/03/2016
Una sentenza del Tribunale di Milano (G.U. Dott.ssa Adriana Cassano Cicuto dell’11 febbraio 2016) ha avuto di recente grande risalto sui quotidiani nazionali per avere affrontato il tema del risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale ai congiunti stretti di una giovane mamma, deceduta a causa di un grave sinistro stradale.
La vicenda riguarda l’investimento di pedone, avvenuto fuori dalle strisce pedonali in centro abitato e in orario notturno, in conseguenza del quale la vittima ha riportato lesioni fatali alle quali non è sopravvissuta.
Il coniuge, i figli e i genitori della vittima hanno agito in giudizio per il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in conseguenza dell’evento, mentre l’impresa di assicurazione del conducente dell’autoveicolo investitore faceva resistenza, deducendo un concorso di colpa del pedone per avere attraversato la sede stradale in zona a scarsa illuminazione senza avvalersi degli appositi attraversamenti pedonali.
Il tribunale è stato così chiamato a decidere tanto sul profilo della condotta dei soggetti coinvolti nel fatto, quanto sui vari aspetti del danno generati dal grave sinistro.
Quanto alla colpa per l’accaduto, si segnala che il tribunale ha ritenuto non causalmente rilevante la condotta della vittima per avere attraversato la strada in luogo non adibito al transito di pedoni. Ciò principalmente per il rilievo che il conducente del veicolo, risultato da accertamenti in uno stato psicofisico alterato da assunzione alcolica, fosse per tale ragione privo di qualunque capacità di avvistamento degli ostacoli posti sulla propria marcia e che, quindi, fosse gravemente compromessa la sua capacità di autocontrollo nella guida.
Ove la sentenza si segnala per una certa peculiarità - cosa che ha stimolato come detto l’attenzione anche dei media più diffusi a livello nazionale - è laddove il giudice ha affrontato il tema della privazione della contribuzione economica della vittima (una giovane donna) all’economia domestica, sotto forma di espletamento delle incombenze quotidiane.
Osserva infatti il tribunale che “quanto al lamentato pregiudizio per il mancato apporto in futuro dell’attività di casalinga della defunta, deve ritenersi che indubbiamente può riconoscersi tale pregiudizio con riferimento all’apporto della figura della defunta quale madre e moglie nel compendio familiare, senza alcun svilimento di tale figura e con riferimento alle incombenze di natura prettamente materiale quali la cura e la pulizia della casa che debbono essere svolte con l’impiego di una colf”.
Con la precisazione che “verosimilmente deve ritenersi che tale pregiudizio sia limitato nel tempo, stante il prevedibile raggiungimento di autonomia dei figli in corrispondenza della fine del periodo di studi”.
Il tribunale ha dunque liquidato (oltre al danno non patrimoniale proprio degli aventi diritto) la non indifferente somma di 50.000 euro per il mancato apporto economico all’economia familiare, andato perduto con la scomparsa della giovane madre e moglie, sulla considerazione che la vittima svolgeva funzioni proprie della cosiddetta “casalinga”.
In effetti il ruolo lavorativo della casalinga ha avuto da anni il riconoscimento di valore aggiunto alla economia familiare da parte della magistratura e, pertanto, la decisione (nonostante il clamore riservatole dai mass media) appare conforme e attenta alla disciplina giurisprudenziale del risarcimento del danno patrimoniale in capo agli eredi o ai congiunti della vittima principale (si veda ad esempio la sentenza della Corte di Cassazione n. 8407 del 10 aprile 2014).
In linea di disciplina generale, sono molteplici, infatti, le possibili ripercussioni di carattere patrimoniale conseguenti alla morte o alla grave invalidità di soggetto vittima di illecito, nel contesto delle cosiddette vittime secondarie, tra le quali sono da ricomprendersi sia i componenti della famiglia cosiddetta legittima, sia quelli della cosiddetta famiglia naturale (convivente more uxorio).
La vicenda riguarda l’investimento di pedone, avvenuto fuori dalle strisce pedonali in centro abitato e in orario notturno, in conseguenza del quale la vittima ha riportato lesioni fatali alle quali non è sopravvissuta.
Il coniuge, i figli e i genitori della vittima hanno agito in giudizio per il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in conseguenza dell’evento, mentre l’impresa di assicurazione del conducente dell’autoveicolo investitore faceva resistenza, deducendo un concorso di colpa del pedone per avere attraversato la sede stradale in zona a scarsa illuminazione senza avvalersi degli appositi attraversamenti pedonali.
Il tribunale è stato così chiamato a decidere tanto sul profilo della condotta dei soggetti coinvolti nel fatto, quanto sui vari aspetti del danno generati dal grave sinistro.
Quanto alla colpa per l’accaduto, si segnala che il tribunale ha ritenuto non causalmente rilevante la condotta della vittima per avere attraversato la strada in luogo non adibito al transito di pedoni. Ciò principalmente per il rilievo che il conducente del veicolo, risultato da accertamenti in uno stato psicofisico alterato da assunzione alcolica, fosse per tale ragione privo di qualunque capacità di avvistamento degli ostacoli posti sulla propria marcia e che, quindi, fosse gravemente compromessa la sua capacità di autocontrollo nella guida.
Ove la sentenza si segnala per una certa peculiarità - cosa che ha stimolato come detto l’attenzione anche dei media più diffusi a livello nazionale - è laddove il giudice ha affrontato il tema della privazione della contribuzione economica della vittima (una giovane donna) all’economia domestica, sotto forma di espletamento delle incombenze quotidiane.
Osserva infatti il tribunale che “quanto al lamentato pregiudizio per il mancato apporto in futuro dell’attività di casalinga della defunta, deve ritenersi che indubbiamente può riconoscersi tale pregiudizio con riferimento all’apporto della figura della defunta quale madre e moglie nel compendio familiare, senza alcun svilimento di tale figura e con riferimento alle incombenze di natura prettamente materiale quali la cura e la pulizia della casa che debbono essere svolte con l’impiego di una colf”.
Con la precisazione che “verosimilmente deve ritenersi che tale pregiudizio sia limitato nel tempo, stante il prevedibile raggiungimento di autonomia dei figli in corrispondenza della fine del periodo di studi”.
Il tribunale ha dunque liquidato (oltre al danno non patrimoniale proprio degli aventi diritto) la non indifferente somma di 50.000 euro per il mancato apporto economico all’economia familiare, andato perduto con la scomparsa della giovane madre e moglie, sulla considerazione che la vittima svolgeva funzioni proprie della cosiddetta “casalinga”.
In effetti il ruolo lavorativo della casalinga ha avuto da anni il riconoscimento di valore aggiunto alla economia familiare da parte della magistratura e, pertanto, la decisione (nonostante il clamore riservatole dai mass media) appare conforme e attenta alla disciplina giurisprudenziale del risarcimento del danno patrimoniale in capo agli eredi o ai congiunti della vittima principale (si veda ad esempio la sentenza della Corte di Cassazione n. 8407 del 10 aprile 2014).
In linea di disciplina generale, sono molteplici, infatti, le possibili ripercussioni di carattere patrimoniale conseguenti alla morte o alla grave invalidità di soggetto vittima di illecito, nel contesto delle cosiddette vittime secondarie, tra le quali sono da ricomprendersi sia i componenti della famiglia cosiddetta legittima, sia quelli della cosiddetta famiglia naturale (convivente more uxorio).
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