Tabelle di risarcimento: la uno, la due o la tre?
I parametri di liquidazione, definiti autonomamente dai tribunali di Milano prima, e Roma e Venezia poi, non risultano essere congruenti tra loro: per quanto la tendenza generale vada verso i criteri meneghini, si corre il rischio di riaccendere inutili campanilismi
17/07/2017
Il 6 aprile il tribunale ordinario di Roma ha reso noto l’aggiornamento delle proprie tabelle di liquidazione del danno alla persona, aggiornate (rispetto alla versione precedente) secondo l’incremento dell’indice Istat.
Le cosìddette tabelle di Roma di liquidazione del danno non patrimoniale sono un criterio (sostanzialmente alternativo a quello assai più affermato elaborato dal tribunale di Milano, in uso in quasi tutti i tribunali dello Stato) che vede la sua diffusione nel tribunale capitolino e in aree limitrofe (non invece presso la Corte di Appello di Roma, che in molte decisioni le ha disapplicate).
La nascita di queste tabelle avvenne nel 2011, quasi per paradosso, sulla spinta di quelle decisioni della suprema Corte di Cassazione che hanno, di contro, elevato il sistema milanese a parametro nazionale, congruo e condivisibile, nell’ottica di arginare proprio la diversificazione dei criteri liquidativi diffusi alle diverse latitudini del Paese.
Un tentativo di contenimento
La note sentenze di quell’anno (dalla n. 12.408/2011 a quelle che, via via, si sono inserite in questo solco condiviso della somma giurisdizione) affermarono il primato milanese per la semplice considerazione che i suoi criteri ermeneutici erano già di fatto condivisi dalla stragrande maggioranza dei tribunali dello Stato e che, per tale essenziale ragione, meglio di altre tabelle si prestavano a delimitare il fenomeno della parcellizzazione dei risarcimenti e del così diffuso, all’epoca, forum shopping: la scelta, ove possibile, del tribunale più generoso per radicare la causa.
Nulla di tutto ciò e della valenza di primarietà di numerosi pronunciamenti della suprema Corte hanno scalfito l’intendimento dei giudici capitolini, seguiti, a distanza di pochi anni, dai giudici del tribunale di Venezia che hanno emanato un proprio sistema risarcitorio del tutto affrancato sia da quello milanese che dal capitolino.
La novità di oggi è, dunque, il mero aggiornamento matematico all’indice Istat che, quindi, pare essere un semplice passaggio di revisione economica minimale per la così detta tabella romana di liquidazione del danno non solo biologico, ma anche per la componente del danno legata alla sofferenza connessa alla menomazione subita dalla vittima primaria, nonché per il risarcimento del danno ai congiunti per la lesione o la elisione del rapporto parentale.
L’incognita del Ddl Concorrenza
Ciò detto, questo passaggio annuale ricorrente è in effetti una buona occasione per fare il punto sull’evoluzione del risarcimento del danno alla persona nel nostro ordinamento, tra provvedimenti normativi emanati o in fieri, pronunciamenti giurisprudenziali e, appunto, diffusione dei criteri tabellari dei tribunali dello Stato tutt’altro che congruenti fra loro.
In questo preciso momento storico, oltre a vedere la vigenza contemporanea di tre tabelle elaborate da tre diversi tribunali dello Stato, con diversa influenza e ampiezza territoriale, registriamo l’approvazione al Senato del così detto ddl Concorrenza (che potrebbe a breve trovare conferma alla Camera dei deputati), il quale contiene la riscritturazione degli art. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni e dei sistemi di liquidazione del danno alla persona nel ristretto settore della Rc auto e della Rc sanitaria (in forza dell’art. 7 della legge n. 24/2017), realtà che tuttavia assorbono tanta parte della casistica giurisprudenziale in tema di liquidazione del danno da lesione del bene salute.
Non minor importanza riveste l’altrettanto recente approvazione del dl Bonafede (poi ribattezzato Turco in virtù di un emendamento fortemente modificativo proprio sul tema del danno alla persona), che si proporrebbe addirittura di riscrivere il regime del risarcimento del danno alla persona, incidendo sul testo dell’art. 2059 c.c. e soprattutto codificando le tabelle di Milano come parametro normativo.
Ma quanto mi costi?
Quanto, in questo contesto normativo e giurisprudenziale, si senta il bisogno di avere tabelle territoriali delimitate ed enormemente difformi fra loro, appare quesito ozioso.
Resta il fatto di un dato comparativo che offriamo a chi ci legge, e che ispira la nostra forte perplessità per questa realtà che ci par assai poco giuridica e forse più campanilistica.
Applicando i diversi criteri di liquidazione e del danno alla persona in uso nei tre tribunali (al minimo e al massimo di conto), a parità di condizione, si ottengono le seguenti somme risarcitorie.
Un soggetto di 25 anni che abbia portato una menomazione invalidante grave dell’80%, a Milano potrebbe chiedere una somma oscillante fra 830.347 euro e 1.037.933 euro, a Roma la somma oscillante fra 825.759 euro e 1.445.078 euro, e a Venezia la somma fra 921.240 euro a 1.842.480 euro.
La differenza di liquidazione appare evidente e solare: si arriva sino a una cifra quasi doppia nei valori veneti rispetto a quelli milanesi.
Che questa realtà del tutto schizofrenica di determinare il compenso per voci di danno sovrapponibili possa avere un qualunque senso, appare di difficile affermazione sul piano prima ancora giuridico che pratico e logico.
Un richiamo all’unanimità di scelta
Questo perdurare di derive del tutto arbitrarie e sconclusionate, infatti, non dovrebbe trovare sostegno sul piano giuridico, solo leggendo l’unanime orientamento giurisprudenziale in tema di obbligatorietà applicativa delle tabelle milanesi.
Solo per citare l’ultimissima decisione appena depositata (Cass. Sez. III Civ. n. 12470 del 18 maggio 2017. pres. Chiarini, rel. Rubino) il principio inequivocabile è stato così espresso: “nella liquidazione del danno non patrimoniale non è consentito, in mancanza di criteri stabiliti dalla legge, il ricorso a una liquidazione equitativa pura, non fondata su criteri obbiettivi […] dovendosi ritenere preferibile, per garantire l’adeguata valutazione del caso concreto e l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, l’adozione del criterio di liquidazione predisposto dal tribunale di Milano, al quale la Suprema Corte riconosce la valenza, in linea generale e nel rispetto dell’articolo 3 Cost., di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale, alle disposizioni di cui agli art. 1226 e 2056 c.c.”.
Con buona pace all’Italia dei campanilismi.
Le cosìddette tabelle di Roma di liquidazione del danno non patrimoniale sono un criterio (sostanzialmente alternativo a quello assai più affermato elaborato dal tribunale di Milano, in uso in quasi tutti i tribunali dello Stato) che vede la sua diffusione nel tribunale capitolino e in aree limitrofe (non invece presso la Corte di Appello di Roma, che in molte decisioni le ha disapplicate).
La nascita di queste tabelle avvenne nel 2011, quasi per paradosso, sulla spinta di quelle decisioni della suprema Corte di Cassazione che hanno, di contro, elevato il sistema milanese a parametro nazionale, congruo e condivisibile, nell’ottica di arginare proprio la diversificazione dei criteri liquidativi diffusi alle diverse latitudini del Paese.
Un tentativo di contenimento
La note sentenze di quell’anno (dalla n. 12.408/2011 a quelle che, via via, si sono inserite in questo solco condiviso della somma giurisdizione) affermarono il primato milanese per la semplice considerazione che i suoi criteri ermeneutici erano già di fatto condivisi dalla stragrande maggioranza dei tribunali dello Stato e che, per tale essenziale ragione, meglio di altre tabelle si prestavano a delimitare il fenomeno della parcellizzazione dei risarcimenti e del così diffuso, all’epoca, forum shopping: la scelta, ove possibile, del tribunale più generoso per radicare la causa.
Nulla di tutto ciò e della valenza di primarietà di numerosi pronunciamenti della suprema Corte hanno scalfito l’intendimento dei giudici capitolini, seguiti, a distanza di pochi anni, dai giudici del tribunale di Venezia che hanno emanato un proprio sistema risarcitorio del tutto affrancato sia da quello milanese che dal capitolino.
La novità di oggi è, dunque, il mero aggiornamento matematico all’indice Istat che, quindi, pare essere un semplice passaggio di revisione economica minimale per la così detta tabella romana di liquidazione del danno non solo biologico, ma anche per la componente del danno legata alla sofferenza connessa alla menomazione subita dalla vittima primaria, nonché per il risarcimento del danno ai congiunti per la lesione o la elisione del rapporto parentale.
L’incognita del Ddl Concorrenza
Ciò detto, questo passaggio annuale ricorrente è in effetti una buona occasione per fare il punto sull’evoluzione del risarcimento del danno alla persona nel nostro ordinamento, tra provvedimenti normativi emanati o in fieri, pronunciamenti giurisprudenziali e, appunto, diffusione dei criteri tabellari dei tribunali dello Stato tutt’altro che congruenti fra loro.
In questo preciso momento storico, oltre a vedere la vigenza contemporanea di tre tabelle elaborate da tre diversi tribunali dello Stato, con diversa influenza e ampiezza territoriale, registriamo l’approvazione al Senato del così detto ddl Concorrenza (che potrebbe a breve trovare conferma alla Camera dei deputati), il quale contiene la riscritturazione degli art. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni e dei sistemi di liquidazione del danno alla persona nel ristretto settore della Rc auto e della Rc sanitaria (in forza dell’art. 7 della legge n. 24/2017), realtà che tuttavia assorbono tanta parte della casistica giurisprudenziale in tema di liquidazione del danno da lesione del bene salute.
Non minor importanza riveste l’altrettanto recente approvazione del dl Bonafede (poi ribattezzato Turco in virtù di un emendamento fortemente modificativo proprio sul tema del danno alla persona), che si proporrebbe addirittura di riscrivere il regime del risarcimento del danno alla persona, incidendo sul testo dell’art. 2059 c.c. e soprattutto codificando le tabelle di Milano come parametro normativo.
Ma quanto mi costi?
Quanto, in questo contesto normativo e giurisprudenziale, si senta il bisogno di avere tabelle territoriali delimitate ed enormemente difformi fra loro, appare quesito ozioso.
Resta il fatto di un dato comparativo che offriamo a chi ci legge, e che ispira la nostra forte perplessità per questa realtà che ci par assai poco giuridica e forse più campanilistica.
Applicando i diversi criteri di liquidazione e del danno alla persona in uso nei tre tribunali (al minimo e al massimo di conto), a parità di condizione, si ottengono le seguenti somme risarcitorie.
Un soggetto di 25 anni che abbia portato una menomazione invalidante grave dell’80%, a Milano potrebbe chiedere una somma oscillante fra 830.347 euro e 1.037.933 euro, a Roma la somma oscillante fra 825.759 euro e 1.445.078 euro, e a Venezia la somma fra 921.240 euro a 1.842.480 euro.
La differenza di liquidazione appare evidente e solare: si arriva sino a una cifra quasi doppia nei valori veneti rispetto a quelli milanesi.
Che questa realtà del tutto schizofrenica di determinare il compenso per voci di danno sovrapponibili possa avere un qualunque senso, appare di difficile affermazione sul piano prima ancora giuridico che pratico e logico.
Un richiamo all’unanimità di scelta
Questo perdurare di derive del tutto arbitrarie e sconclusionate, infatti, non dovrebbe trovare sostegno sul piano giuridico, solo leggendo l’unanime orientamento giurisprudenziale in tema di obbligatorietà applicativa delle tabelle milanesi.
Solo per citare l’ultimissima decisione appena depositata (Cass. Sez. III Civ. n. 12470 del 18 maggio 2017. pres. Chiarini, rel. Rubino) il principio inequivocabile è stato così espresso: “nella liquidazione del danno non patrimoniale non è consentito, in mancanza di criteri stabiliti dalla legge, il ricorso a una liquidazione equitativa pura, non fondata su criteri obbiettivi […] dovendosi ritenere preferibile, per garantire l’adeguata valutazione del caso concreto e l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, l’adozione del criterio di liquidazione predisposto dal tribunale di Milano, al quale la Suprema Corte riconosce la valenza, in linea generale e nel rispetto dell’articolo 3 Cost., di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale, alle disposizioni di cui agli art. 1226 e 2056 c.c.”.
Con buona pace all’Italia dei campanilismi.
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