Legge Gelli “bocciata” nel penale
La Cassazione esprime un giudizio severo sulla nuova norma in tema di responsabilità sanitaria, in particolare sull’art. 6 che vorrebbe alleggerire la posizione dei sanitari nei fatti di rilevanza penale: secondo i giudici, la legge Balduzzi fornirebbe maggiore tutela
17/07/2017
Una sentenza della Suprema Corte di Cassazione, sezione penale, numero 28.187 del 7 giugno 2017 (presidente dott. Blaiotta, estensore dott. Montagni) mette in luce, a poco più di due mesi dall’entrata in vigore della legge Gelli, le macroscopiche incongruenze lessicali e giuridiche contenute nella norma che intende depenalizzare la condotta del sanitario che si sia attenuto alle raccomandazioni previste dalle linee guida, come la legge stessa si pone di codificare per il futuro (art. 6). La sentenza affronta, con grande severità, le illogicità sistematiche che i primissimi commentatori avevano già evidenziato alla luce del tenore del testo della novella introdotta con il detto articolo. La sentenza qui riferita premette che la novella manifesta la volontà di una rifondazione della disciplina penale della responsabilità in ordine ai reati di omicidio e di lesioni colpose in ambito sanitario, come plasticamente si desume dalla creazione di una nuova incriminazione. Rileva, però, la Corte che “la lettura della nuova norma suscita alti dubbi interpretativi, a prima vista irresolubili, subito messi in luce dai numerosi studiosi che si sono cimentati con la riforma. Si mostrano, in effetti, incongruenze interne tanto radicali da mettere in forse la stessa razionale praticabilità della riforma in ambito applicativo. Ancor prima si ha difficoltà a cogliere la ratio della novella”.
Non colpevole, se non per imperizia
Entrando nel dettaglio, si legge nella motivazione di questa importante sentenza (specialmente in ottica applicativa futura della legge Gelli) che “non è punibile l’agente che rispetta le linee guida accreditate, nel caso in cui esse risultino adeguate alle specificità del caso concreto”. Ma, osserva la Corte, l’enunciato “attinge alla sfera dell’ovvietà: non si comprende come potrebbe essere chiamato a rispondere di un evento lesivo l’autore che, avendo rispettato le raccomandazioni espresse da linee guida qualificate e pertinenti ed avendole in concreto attualizzate in un modo che risulti adeguato in rapporto alle contingenze del caso concreto, è evidentemente immune da colpa”. Prosegue la Corte rilevando che “la disciplina, tuttavia, risulta di disarticolate contraddittorietà quando l’ovvio enunciato di cui si è detto si ponga in connessione con la prima parte del testo normativo. Vi si legge, infatti, che il novum trova applicazione quando l’evento si è verificato a causa di imperizia”. Secondo la Corte, la drammatica incompatibilità logica è lampante: si è in colpa per imperizia e al contempo non lo si è, visto che le codificate leges artis sono state rispettate ed applicate in modo pertinente ed appropriato.
In buona sostanza, la Corte osserva che il richiamo al rispetto di linee guida pertinenti al caso concreto è quindi banale e, al tempo stesso, fuorviante. Viene riportata una considerazione paradossale che vale la pena riferire nei termini attinti dalla motivazione. Si legge infatti che “per esemplificare nel modo più triviale, il conducente di un’auto che impegna un incrocio con semaforo rosso determinando un incidente mortale non potrebbe invocare l’esonero da responsabilità per il solo fatto di aver rispettato il limite di velocità vigente in quel tratto di strada. Ed un atto normativo che prevedesse una disciplina del genere si esporrebbe a censure ben evidenti sul piano della razionalità, della coerenza con le fondamentali esigenze di difesa della vita e della salute, del rispetto del principio di colpevolezza”.
L’incognita dell’incompletezza delle linee guida
Chiarito così, con un tipico paradosso, la complessità normativa sul ruolo delle linee guida, aggiunge la Corte che le stesse non possono mai esaurire la disciplina dell’ars medica. Da un lato, infatti, vi sono aspetti della medicina che non sono per nulla regolati da tale genere di direttiva; dall’altro, può accadere che il sanitario debba operare e assumere decisioni che le direttive in questioni non prendono in considerazione. In tali situazioni, osserva la Corte, la considerazione della generica osservanza delle linee guida costituisce un aspetto irrilevante ai fini della spiegazione dell’evento e della razionale analisi della condotta ai fini del giudizio di rimproverabilità colposa.
Per altro aspetto, la Corte si sofferma a lungo su un ulteriore importante considerazione che è quella, da più parti già rilevata, secondo la quale “il legislatore, con scelta sovrana, ma con espressione lessicalmente infelice, ha ritenuto di limitare l’innovazione alle sole situazioni astrattamente riconducibili alla sfera dell’imperizia cioè al profilo di colpa che involge, in via ipotetica, la violazione delle leges artis”. Si sono volute troncare le discussioni e le incertezze verificatesi nella prassi con riferimento all’applicabilità della legge n. 189/2012 (c.d. legge Balduzzi), che invece, per giurisprudenza recente, era ritenuta estesa anche alla negligenza e non solo alla sfera dell’imperizia.
Appare chiaro, secondo la Corte, “che la nuova norma tronca in radice i dubbi: si è voluto mettere in chiaro che l’art. 590-sexies si applica solo quando sia stata elevata o possa essere elevata imputazione di colpa per imperizia”. A questo punto, però, appare evidente che la disciplina specialistica contenuta nell’art. 6 della legge Gelli sia meno favorevole per il medico rispetto a quella della precedente legge Balduzzi. Ciò è vero al punto che la Corte osserva che la proposta ricostruzione della novella implica problemi di diritto inter-temporale con riferimento ai fatti commessi in epoca anteriore.
Sotto il profilo strettamente applicativo della norma, delimitando così ampiamente il campo di intervento e di disciplina della legge Gelli, la Corte rileva quanto segue: “la nuova disciplina non trova applicazione negli ambiti che, per qualunque ragione, non siano governati da linee guida; e neppure nelle situazioni concrete nelle quali tali raccomandazioni debbano essere radicalmente disattese per via delle peculiarità delle condizioni del paziente o per qualunque altra ragione imposta da esigenze scientificamente qualificate. Inoltre il novum non opera in relazione alle condotte che, sebbene poste in essere nell’ambito di approccio terapeutico regolato da linee guida pertinenti ed appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo”. Così facendo, però, il margine operativo della nuova legge risulta essere assai ridotto: “il metro di valutazione costituito dalle raccomandazioni ufficiali è invece cogente, con il suo già indicato portato di determinatezza e prevedibilità, nell’ambito di condotte che delle linee guida siano pertinente estrinsecazione”.
Più protettiva la Balduzzi
La conclusione del lungo argomentare di questa importantissima decisione, porta ad un giudizio di inefficacia della legge rispetto alla ratio stessa che voleva privilegiare una tutela primaria per il medico, esentandolo da profili di responsabilità penale nell’ipotesi di adesione della condotta alle linee guida.
Basta leggere, infatti, la seguente chiosa finale per comprendere la sonora bocciatura che sotto tale profilo è riferita alla legge numero 24 dell’8 marzo 2017: “L’abrogazione della legge del 2012 implica la reviviscenza, sotto tale riguardo, della preveggente, più severa normativa che, per l’appunto, non consentiva distinzioni connesse al grado della colpa. Infatti la novella del 2017 non contiene alcun riferimento alla gravità della colpa. Naturalmente ai sensi dell’articolo 2 Cod. Pen. il nuovo regime si applica solo ai fatti commessi in epoca successiva alla riforma”.
Per fatti anteriori può trovare applicazione, invece, in quando pertinente, la normativa del 2012 che appare più favorevole con riguardo alla limitazione della responsabilità ai soli casi di colpa grave.
La valutazione finale che traspare da questa importante decisione, dunque, è quella di una bocciatura sotto il profilo della pretesa accresciuta protezione dell’operatore sanitario, sotto l’aspetto penale della sua imputazione e della valutazione della sua condotta colpevole. La legge precedente (in vigore ratione temporis) è dunque ampiamente più protettiva per il sanitario di quella ora varata.
L’impianto della legge Gelli, in buona sostanza, mostra già, a distanza di poco più di due mesi dall’entrata in vigore, crepe di portata sostanziale e di altissimo rilievo tanto nel profilo penale, qui esaurientemente esaminato con la sentenza in argomento, quanto in numerosi profili civili per i quali sono attesi interventi limitativi o integrativi di sostanza con gli emanandi decreti attuativi.
Non colpevole, se non per imperizia
Entrando nel dettaglio, si legge nella motivazione di questa importante sentenza (specialmente in ottica applicativa futura della legge Gelli) che “non è punibile l’agente che rispetta le linee guida accreditate, nel caso in cui esse risultino adeguate alle specificità del caso concreto”. Ma, osserva la Corte, l’enunciato “attinge alla sfera dell’ovvietà: non si comprende come potrebbe essere chiamato a rispondere di un evento lesivo l’autore che, avendo rispettato le raccomandazioni espresse da linee guida qualificate e pertinenti ed avendole in concreto attualizzate in un modo che risulti adeguato in rapporto alle contingenze del caso concreto, è evidentemente immune da colpa”. Prosegue la Corte rilevando che “la disciplina, tuttavia, risulta di disarticolate contraddittorietà quando l’ovvio enunciato di cui si è detto si ponga in connessione con la prima parte del testo normativo. Vi si legge, infatti, che il novum trova applicazione quando l’evento si è verificato a causa di imperizia”. Secondo la Corte, la drammatica incompatibilità logica è lampante: si è in colpa per imperizia e al contempo non lo si è, visto che le codificate leges artis sono state rispettate ed applicate in modo pertinente ed appropriato.
In buona sostanza, la Corte osserva che il richiamo al rispetto di linee guida pertinenti al caso concreto è quindi banale e, al tempo stesso, fuorviante. Viene riportata una considerazione paradossale che vale la pena riferire nei termini attinti dalla motivazione. Si legge infatti che “per esemplificare nel modo più triviale, il conducente di un’auto che impegna un incrocio con semaforo rosso determinando un incidente mortale non potrebbe invocare l’esonero da responsabilità per il solo fatto di aver rispettato il limite di velocità vigente in quel tratto di strada. Ed un atto normativo che prevedesse una disciplina del genere si esporrebbe a censure ben evidenti sul piano della razionalità, della coerenza con le fondamentali esigenze di difesa della vita e della salute, del rispetto del principio di colpevolezza”.
L’incognita dell’incompletezza delle linee guida
Chiarito così, con un tipico paradosso, la complessità normativa sul ruolo delle linee guida, aggiunge la Corte che le stesse non possono mai esaurire la disciplina dell’ars medica. Da un lato, infatti, vi sono aspetti della medicina che non sono per nulla regolati da tale genere di direttiva; dall’altro, può accadere che il sanitario debba operare e assumere decisioni che le direttive in questioni non prendono in considerazione. In tali situazioni, osserva la Corte, la considerazione della generica osservanza delle linee guida costituisce un aspetto irrilevante ai fini della spiegazione dell’evento e della razionale analisi della condotta ai fini del giudizio di rimproverabilità colposa.
Per altro aspetto, la Corte si sofferma a lungo su un ulteriore importante considerazione che è quella, da più parti già rilevata, secondo la quale “il legislatore, con scelta sovrana, ma con espressione lessicalmente infelice, ha ritenuto di limitare l’innovazione alle sole situazioni astrattamente riconducibili alla sfera dell’imperizia cioè al profilo di colpa che involge, in via ipotetica, la violazione delle leges artis”. Si sono volute troncare le discussioni e le incertezze verificatesi nella prassi con riferimento all’applicabilità della legge n. 189/2012 (c.d. legge Balduzzi), che invece, per giurisprudenza recente, era ritenuta estesa anche alla negligenza e non solo alla sfera dell’imperizia.
Appare chiaro, secondo la Corte, “che la nuova norma tronca in radice i dubbi: si è voluto mettere in chiaro che l’art. 590-sexies si applica solo quando sia stata elevata o possa essere elevata imputazione di colpa per imperizia”. A questo punto, però, appare evidente che la disciplina specialistica contenuta nell’art. 6 della legge Gelli sia meno favorevole per il medico rispetto a quella della precedente legge Balduzzi. Ciò è vero al punto che la Corte osserva che la proposta ricostruzione della novella implica problemi di diritto inter-temporale con riferimento ai fatti commessi in epoca anteriore.
Sotto il profilo strettamente applicativo della norma, delimitando così ampiamente il campo di intervento e di disciplina della legge Gelli, la Corte rileva quanto segue: “la nuova disciplina non trova applicazione negli ambiti che, per qualunque ragione, non siano governati da linee guida; e neppure nelle situazioni concrete nelle quali tali raccomandazioni debbano essere radicalmente disattese per via delle peculiarità delle condizioni del paziente o per qualunque altra ragione imposta da esigenze scientificamente qualificate. Inoltre il novum non opera in relazione alle condotte che, sebbene poste in essere nell’ambito di approccio terapeutico regolato da linee guida pertinenti ed appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo”. Così facendo, però, il margine operativo della nuova legge risulta essere assai ridotto: “il metro di valutazione costituito dalle raccomandazioni ufficiali è invece cogente, con il suo già indicato portato di determinatezza e prevedibilità, nell’ambito di condotte che delle linee guida siano pertinente estrinsecazione”.
Più protettiva la Balduzzi
La conclusione del lungo argomentare di questa importantissima decisione, porta ad un giudizio di inefficacia della legge rispetto alla ratio stessa che voleva privilegiare una tutela primaria per il medico, esentandolo da profili di responsabilità penale nell’ipotesi di adesione della condotta alle linee guida.
Basta leggere, infatti, la seguente chiosa finale per comprendere la sonora bocciatura che sotto tale profilo è riferita alla legge numero 24 dell’8 marzo 2017: “L’abrogazione della legge del 2012 implica la reviviscenza, sotto tale riguardo, della preveggente, più severa normativa che, per l’appunto, non consentiva distinzioni connesse al grado della colpa. Infatti la novella del 2017 non contiene alcun riferimento alla gravità della colpa. Naturalmente ai sensi dell’articolo 2 Cod. Pen. il nuovo regime si applica solo ai fatti commessi in epoca successiva alla riforma”.
Per fatti anteriori può trovare applicazione, invece, in quando pertinente, la normativa del 2012 che appare più favorevole con riguardo alla limitazione della responsabilità ai soli casi di colpa grave.
La valutazione finale che traspare da questa importante decisione, dunque, è quella di una bocciatura sotto il profilo della pretesa accresciuta protezione dell’operatore sanitario, sotto l’aspetto penale della sua imputazione e della valutazione della sua condotta colpevole. La legge precedente (in vigore ratione temporis) è dunque ampiamente più protettiva per il sanitario di quella ora varata.
L’impianto della legge Gelli, in buona sostanza, mostra già, a distanza di poco più di due mesi dall’entrata in vigore, crepe di portata sostanziale e di altissimo rilievo tanto nel profilo penale, qui esaurientemente esaminato con la sentenza in argomento, quanto in numerosi profili civili per i quali sono attesi interventi limitativi o integrativi di sostanza con gli emanandi decreti attuativi.
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