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Il potenziale rischio dei cellulari

Una recente sentenza ha riconosciuto come malattia professionale un neurinoma all’apparato uditivo, confermando come possibile origine l’uso abnorme del telefono portatile e imponendo all’Inail il pagamento del relativo beneficio: un giudizio che apre la strada ad altri ricorsi?

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Un’interessante sentenza (tribunale di Ivrea, n. 96 del 21 aprile 2017, GU Dott. Fadda) affronta la controversa questione (sul piano giuridico e scientifico) della potenzialità lesiva di un’esposizione abnorme alle onde elettromagnetiche dovuta ad uso frequente dei telefoni cellulari.
La vertenza in argomento vedeva contrapposto l’Inail e un ex lavoratore, il quale lamentava non gli fosse stata riconosciuta dall’ente la malattia professionale (neurinoma dell’acustico destro, diagnosticatogli nel gennaio 2011), a suo dire contratta per l’uso abnorme di telefoni cellulari nel periodo 1995/2010 in cui aveva lavorato alle dipendenze di una società di telefonia.
Si costituiva in giudizio l’Inail, chiedendo la reiezione delle domande attoree in quanto infondate in fatto e diritto, mentre, nel corso del giudizio, venivano escussi alcuni testi e svolte due Ctu medico legali al fine di verificare il nesso causale tra patologia contratta dal ricorrente e uso del telefono cellulare, nonché in punto entità dei postumi permanenti residuati in capo al lavoratore.
All’esito di tale attività probatoria, il tribunale accoglie la domanda del lavoratore.

La quantificazione dell’uso abnorme
In particolare, quanto alla ricostruzione dei fatti e dell’entità dell’esposizione del lavoratore all’uso del telefono, il giudice rilevava che i testi escussi avevano consentito di confermare che l’attore, a causa della sua attività lavorativa svolta come referente/coordinatore di altri dipendenti, aveva effettivamente utilizzato in maniera abnorme telefoni cellulari nel periodo 1995/2010.
Emergeva, infatti, che lo stesso coordinava l’attività di 15-20 persone, che sentiva 2-3 volte al giorno, con telefonate non brevissime, della durata di circa 5-10 minuti l’una; il ricorrente, poi, doveva coordinarsi con il direttore lavori degli enti e le imprese esterne che coadiuvavano nei lavori, per cui usava spesso il telefono.
Analogamente, emergeva in istruttoria che l’attore trascorreva altro tempo al telefono per conferire con i propri superiori e per “coordinarsi con il direttore lavori degli enti e le imprese esterne che coadiuvavano nei lavori”, persino nei fine settimana. Sempre l’istruttoria aveva consentito di accertare che nessuno strumento all’epoca era stato fornito al lavoratore per attenuare la sua esposizione alle radiofrequenze (ad es. cuffiette) e che il tutto era poi aggravato dall’uso frequente di questi primi telefoni cellulari (per circa cinque anni, dal 1995 al 2000, con tecnologia Etacs) all’interno dell’abitacolo di un’autovettura.

Le Ctu confermano danno e rischio
Così ricostruita la vicenda in fatto, il tribunale (con l’ausilio di due Ctu medico legali tecniche) affrontava quindi il tema della relazione causale tra tale abnorme esposizione e la patologia tumorale contratta. Ebbene, il giudice non si nasconde che ancora oggi la scienza medica è del tutto disallineata sul punto, e che si registrano studi contraddittori e non definitivi. Tra le teorie positive circa la eziopatogenesi in argomento, il tribunale osserva che una prima pietra miliare è data dalle valutazioni dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), facente parte dell’Organizzazione mondiale della sanità, la quale, dopo un’approfondita analisi della letteratura dell’epoca, il 31/5/2011 ha reso nota una valutazione dell’esposizione a campi elettromagnetici ad alta frequenza, definendoli come “cancerogeni possibili per l’uomo”.
Nonostante le teorie pur rilevate ed esaminate di segno opposto, il tribunale ritiene tuttavia di poter aderire alle tesi rassegnate dai propri consulenti tecnici, i quali, nel giudizio, avevano concluso per l’evidenza di un nesso causale (o quantomeno concausale) tra tecnopatia ed esposizione, sulla base della regola del “più probabile che non”.
In conclusione, quindi, aderendo in toto alle argomentazioni di cui alle Ctu in atti, il tribunale ritiene sussistente una probabilità qualificata del ruolo, quanto meno concausale, dell’uso dei telefoni cellulari nella causazione della rara patologia che ha afflitto il ricorrente, condannando l’Inail alla corresponsione del  beneficio riconosciuto al lavoratore per malattia professionale, a decorrere dalla data della presentazione della domanda in sede amministrativa, oltre agli interessi al tasso legale e l’eventuale maggior danno.

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