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La ricerca di equilibrio nelle clausole vessatorie

Nella previsione di vessatorietà per contratti tra imprese assicurative e bancarie da una parte e avvocati dall’altra, il legislatore ha pochi strumenti e tende ad affidarsi a un “sottosistema dei contratti asimmetrici” con riferimenti propri

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Parlare di clausole vessatorie nelle convenzioni stipulate tra imprese assicurative, bancarie e grandi imprese da una parte, e avvocati dall’altra, significa richiamare (se pur con alcune differenze) termini, concetti e formule generali già utilizzati in altre leggi sui contratti asimmetrici. L’articolo 13 bis comma quarto della legge n. 247/2012 così come modificato dalla legge di bilancio 2018 stabilisce, infatti, che “si considerano vessatorie le clausole che determinano, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell’avvocato”. 
Il legislatore, quindi, oltre alla previsione di vessatorietà per la non equità del compenso come criterio base per affermare la vessatorietà di una clausola contenuta nelle convenzioni, si affida a una clausola generale: il significativo squilibrio contrattuale a danno dell’avvocato. 

La clausola dello squilibrio contrattuale 
Ma non c’è da meravigliarsi. Il ricorso a questa clausola generale è la regola in numerose leggi in materia di contratti asimmetrici. Faccio solo tre esempi. L’articolo 33, comma 1 del Codice del consumo, stabilisce che nel contratto concluso tra un consumatore e un’impresa, si considerano vessatorie le clausole che, in contrasto con la buona fede, determinino un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi a danno del consumatore. E ancora, la legge n. 182/1998 in materia di subfornitura, per neutralizzare la disparità di potere economico tra committente e subfornitore, prevede il divieto di inserire alcune clausole vessatorie e vieta l’abuso di dipendenza economica che si manifesta imponendo a danno del subfornitore un eccessivo squilibrio tra diritti e obblighi. Ma non è finita. Anche il d.lgs. n. 231/2002 in materia di ritardati pagamenti, poi modificato nel 2012, afferma la vessatorietà di quelle clausole che prevedono un significativo squilibrio di diritti e obblighi a danno del creditore (in genere la piccola e media impresa). Il legislatore ha, quindi, creato un sottosistema dei contratti asimmetrici che ha regole proprie e che si avvale della clausola generale del significativo squilibrio per affermare la vessatorietà di una pattuizione contrattuale.

Esempi di applicazione della clausola generale 
Il paradigma del significativo squilibrio ha una portata talmente vasta che può essere utilizzato dal giudice per affermare la vessatorietà di una clausola contenuta nei contratti tra compagnie e avvocati che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, non è ritenuta vessatoria. 
Ecco due esempi.

  • Clausola risolutiva espressa. Alcune convenzioni prevedono che, in caso di grave inadempimento dell’avvocato, la compagnia possa risolvere il contratto. Come è noto, la Corte di Cassazione ha escluso in numerose sentenze la vessatorietà di questa clausola (Cass. n. 15365/2010; Cass. n. 23065/2016). Cionondimeno, il giudice potrebbe affermare la vessatorietà della stessa alla luce della clausola generale del significativo squilibrio posto che, come ha rilevato autorevole dottrina che ha commentato la legge sull’equo compenso (Alpa G., Seminario sulla legge sull’equo compenso organizzato dal Consiglio Nazionale Forense, 2018) il diritto di risolvere il contratto a favore solo dell’impresa potrebbe essere considerato manifestazione di un significativo squilibrio contrattuale per mancanza di bilateralità.

  • Clausola arbitrale. Anche la clausola arbitrale potrebbe essere dichiarata vessatoria applicando la clausola generale sopra richiamata. Noi sappiamo che, dopo l’ordinanza della Corte di Cassazione del 2013 (nota come ordinanza Rovelli) l’attività degli arbitri ha natura paragiurisdizionale essendo espressione del principio di autonomia contrattuale. Ma il giudice, applicando la clausola dello squilibrio contrattuale a danno dell’avvocato, potrebbe dichiarare la vessatorietà di tale clausola laddove la formulazione della pattuizione fosse sbilanciata a favore della compagnia. La stessa sorte della clausola arbitrale e della clausola risolutiva espressa potrebbero subire altre clausole che, se pur ritenute non vessatorie, lo potrebbero diventare alla luce della applicazione della clausola generale del significativo squilibrio di diritte e obblighi. Pensiamo, ad esempio, alla clausola penale.

Le clausole ontologicamente vessatorie
L’articolo 13 bis della legge n. 247 prevede poi un elenco di nove clausole che sono ritenute ontologicamente vessatorie senza alcuna possibilità di prova contraria da parte dell’impresa.
Va detto che il legislatore ha fatto un po’ di pasticci perché il comma quinto, seguendo il modello del Codice del consumo, prevedeva una lista grigia di clausole vessatorie con possibilità di superare la presunzione di vessatorietà attraverso la prova dell’avvenuta trattativa individuale. Nella versione definitiva, invece, la lista grigia è sparita. Ecco alcuni esempi. 
Sono vessatorie, senza possibilità di prova contraria le clausole che:

  1. riservano all’impresa la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni della convenzione o del contratto con l’avvocato;
  2. consistono nell’attribuire all’impresa la facoltà di pretendere prestazioni aggiuntive che l’avvocato deve eseguire a titolo gratuito;
  3. prevedono, nell’ipotesi di liquidazione delle spese di lite a favore dell’impresa, che all’avvocato sia riconosciuto il minor importo previsto dalla convenzione/contratto.

L’apparato sanzionatorio e rimediale
Il comma ottavo della legge in parola stabilisce che le clausole vessatorie sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto, come accade nella disciplina del Codice del consumo. Si tratta, quindi, di una nullità di protezione perché opera soltanto a vantaggio dell’avvocato e può essere fatta valere solo da quest’ultimo. Il legislatore non dice nulla sul potere del giudice di rilevare d’ufficio altre nullità di protezione che l’avvocato non ha fatto valere ma, alla luce della giurisprudenza di legittimità in materia di nullità di protezione, (Cass. n. 26242/2012) ritengo che il giudice abbia il potere di rilevare d’ufficio altre nullità di protezione sempre che ciò non contrasti con l’interesse dell’avvocato sicché, sul punto il giudice dovrà sottoporle al contraddittorio delle parti interpellando il legale fiduciario.

Consigli utili e riflessioni finali
Questa legge impone alle compagnie di rivedere le convenzioni e contratti in essere con gli avvocati, eliminando quelle clausole che sono ontologicamente vessatorie e modificando anche i compensi previsti per adeguarli ai parametri stabiliti dalla legge. Ma c’è un discorso più profondo di carattere sociologico che accenno solamente, ma che dovrebbe essere approfondito. Questa legge non deve allargare le distanze tra compagnie e avvocati fiduciari, non deve preoccupare le compagnie che vedono questo intervento normativo come un vulnus alla loro autonomia negoziale, ma deve servire da stimolo per aprire un dialogo e una più stretta collaborazione con i legali. Anche il padre dei diritti, prof. Stefano Rodotà, ricordava sempre nei suoi scritti il rischio di una giuridificazione della società attraverso il diritto e l’importanza fondamentale che riveste il dialogo e la cooperazione tra le persone e tra le persone e le imprese per la risoluzione dei problemi. Le leggi lasciano sempre aperti degli spazi affinché i soggetti possano ricercare insieme soluzioni equilibrate che rispondano alle esigenze di ciascuno.

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