Il virus che cambia il mondo
07/04/2020
Fine della globalizzazione, recessione, rivoluzione degli equilibri mondiali a livello politico ed economico. Una nuova pelle per il concetto di Europa finora conosciuto. Ma anche trasformazioni nell’idea di socializzazione e nelle modalità di interazione tra le persone. Tutte queste bombe sono state innescate in poche settimane da uno scenario che nessuno di noi avrebbe mai ipotizzato di poter vivere, e che si chiama Covid-19, inizialmente identificato come emergenza sanitaria e, ben presto, come pandemia. Uno scenario che ci restituisce oggi un’unica certezza: dopo il passaggio di questo coronavirus il nostro mondo non sarà più lo stesso.
Partiamo dalle ferite che il virus ha inflitto al concetto di globalizzazione che, favorendo scambi, sinergie e spostamenti, ci ha imposto conseguenze tanto grandi da riuscire a chiudere continenti, frontiere, porti, città, comuni e anche piccoli paesini di montagna.
Difficile pensare, oggi, alla conferma di un’Europa capace di identificarsi in un unico grande mondo da cui tutti i cittadini, senza frontiere, possano trarre benefici.
La stessa Europa, già messa in crisi da minacciosi venti di populismo, è ora in cerca di sé stessa, colpevole, agli occhi di tutti, di non essere stata in grado di agire fin da subito attraverso decisioni e azioni politiche unitarie e condivise su come affrontare, gestire e superare l’epidemia e le sue conseguenze. Nell’approcciare l’emergenza, ogni Paese ha assunto in modo autonomo misure, più o meno efficaci, per salvaguardare i propri interessi. Restano aperte tutte le incognite su cosa sarà l’Unione Europea da qui in poi, se riuscirà a resistere all’impatto del Covid-19 e a quali condizioni.
Ma la quarantena imposta al nostro Paese sta insinuando nella mente di molti, anche di chi contestava i proclami di Matteo Salvini su porti chiusi e navi da respingere, l’idea che una posizione più autoritaria e di chiusura verso il mondo ci avrebbe risparmiato questa tragedia. Con il rischio di perdere di vista il valore fondamentale contenuto in un sistema democratico basato sulla libertà individuale, e per cui l’Italia ha tanto lottato nella sua recente storia.
Le ultime settimane hanno coinvolto tutti, istituzioni, aziende, lavoratori e cittadini, e hanno inferto un colpo anche al modo di lavorare, di studiare, di socializzare. Alla chiusura del “mondo fisico” si è contrapposto il potere dei social network, dello smart working o di lezioni on line impartite a studenti smarriti, lasciando credere che il modo che abbiamo seguito finora per rapportarci agli altri (con una stretta di mano o lavorando fianco a fianco con un collega) sia superato, non più necessario.
Chissà quali alternative potranno essere studiate e proposte per sostituire gli spostamenti, il lavoro in ufficio, le attività di vendita e le relazioni personali con i clienti. Queste alternative riusciranno a trasformarsi in opportunità o finiranno per appiattire le nostre interazioni, isolandoci sempre più gli uni dagli altri?
Ma in risposta alle paure, alle incognite e agli interrogativi causati da questa situazione sono arrivate le iniziative messe in campo dalle aziende, dai privati, dal mondo bancario e dalle assicurazioni: la corsa ad aiutare la sanità, l’istituzione di fondi di solidarietà, gli investimenti e le partnership strette per unirsi intorno all’emergenza, per sostenere il tessuto economico del nostro Paese e la popolazione.
In questo caos, si levano con forza messaggi rassicuranti che puntano a esprimere positività, sicurezza, capacità di superare (tutti insieme) anche questa situazione. Messaggi di stabilità, nonostante tutto.
Perché proprio in questa fase, e con l’incertezza che prospetta il futuro, serve infondere fiducia, serietà, affidabilità. E punti di riferimento, per ciascuno di noi, che ci restituiscano alla normalità, ci auguriamo, non solo diversi ma in qualche modo anche migliori.
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