La valorizzazione dei risultati dei lavoratori
17/12/2015
L’ipotesi di quantificare nei modelli contrattuali la retribuzione o la partecipazione dei lavoratori agli utili dell’azienda non è un’idea nuova. Ma assume un certo peso quando a volerla applicare a livello di sistema Paese, slegandola dall’orario di lavoro, è il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.
Oltre all’esenzione fiscale per le prestazioni di welfare aziendale contrattate in azienda, la manovra del Governo per il 2016 vorrebbe introdurre la detassazione del premio di risultato e delle somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili di un’impresa.
Comprensibili le levate di scudi dei sindacati, attenti a tutelare gli interessi generali di tutte le categorie, in particolare quelle più deboli.
Al di là di come evolveranno i dibattiti tra le parti, risulta utile qualche riflessione tutt’altro che scontata. Se è vero che bisogna fare i conti con la realtà, come sostiene Poletti, è anche vero che oggi ci troviamo a fare i conti soprattutto con le responsabilità di chi (o di cosa, cioè la crisi) ha contribuito e ancora contribuisce a generare questa difficile situazione.
Per concentrarci solo sul settore assicurativo, sarebbe per esempio interessante riuscire a dare una risposta a questa domanda: da chi dipendono i risultati delle compagnie?
Dipendono dall’andamento dell’economia e dei mercati finanziari, dalle strategie e dall’abilità dei top manager, dalla capacità delle reti distributive di vendere il prodotto giusto?
E ancora: quanto può davvero essere incisivo il contributo del singolo lavoratore alle strategie aziendali, in uno scenario di crisi che sembrava essersi risolto ma che oggi rischia di acuirsi a causa di un mondo minacciato dal terrorismo?
Lo sviluppo del settore assicurativo dipende dalla capacità delle compagnie di inserirsi in una serie di esigenze che spaziano da tematiche sociali come la previdenza, la sanità e la responsabilità civile, all’evoluzione dei rischi (dal terrorismo all’impatto dei cambiamenti climatici).
Fare i conti con la realtà significa allora essere in grado di trasformare l’attività quotidiana in un terreno fertile, a favore della crescita.
Ciascun lavoratore può dare il proprio contributo, non c’è dubbio. E legare la remunerazione al risultato non è impossibile: può essere anzi motivo di incentivo a beneficio di tutti.
Ma se non si riescono a stabilire con esattezza regole certe, condizioni e limiti sui fattori (chi e cosa) che ostacolano questo risultato, si rischia di spostare il potere contrattuale dalla parte dell’azienda, con la conseguenza di gettare il lavoratore stesso in una situazione di pericolosa subalternità. Saremo in grado di evitare questo rischio?
Oltre all’esenzione fiscale per le prestazioni di welfare aziendale contrattate in azienda, la manovra del Governo per il 2016 vorrebbe introdurre la detassazione del premio di risultato e delle somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili di un’impresa.
Comprensibili le levate di scudi dei sindacati, attenti a tutelare gli interessi generali di tutte le categorie, in particolare quelle più deboli.
Al di là di come evolveranno i dibattiti tra le parti, risulta utile qualche riflessione tutt’altro che scontata. Se è vero che bisogna fare i conti con la realtà, come sostiene Poletti, è anche vero che oggi ci troviamo a fare i conti soprattutto con le responsabilità di chi (o di cosa, cioè la crisi) ha contribuito e ancora contribuisce a generare questa difficile situazione.
Per concentrarci solo sul settore assicurativo, sarebbe per esempio interessante riuscire a dare una risposta a questa domanda: da chi dipendono i risultati delle compagnie?
Dipendono dall’andamento dell’economia e dei mercati finanziari, dalle strategie e dall’abilità dei top manager, dalla capacità delle reti distributive di vendere il prodotto giusto?
E ancora: quanto può davvero essere incisivo il contributo del singolo lavoratore alle strategie aziendali, in uno scenario di crisi che sembrava essersi risolto ma che oggi rischia di acuirsi a causa di un mondo minacciato dal terrorismo?
Lo sviluppo del settore assicurativo dipende dalla capacità delle compagnie di inserirsi in una serie di esigenze che spaziano da tematiche sociali come la previdenza, la sanità e la responsabilità civile, all’evoluzione dei rischi (dal terrorismo all’impatto dei cambiamenti climatici).
Fare i conti con la realtà significa allora essere in grado di trasformare l’attività quotidiana in un terreno fertile, a favore della crescita.
Ciascun lavoratore può dare il proprio contributo, non c’è dubbio. E legare la remunerazione al risultato non è impossibile: può essere anzi motivo di incentivo a beneficio di tutti.
Ma se non si riescono a stabilire con esattezza regole certe, condizioni e limiti sui fattori (chi e cosa) che ostacolano questo risultato, si rischia di spostare il potere contrattuale dalla parte dell’azienda, con la conseguenza di gettare il lavoratore stesso in una situazione di pericolosa subalternità. Saremo in grado di evitare questo rischio?
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