Come cambia il mestiere di assicuratore
13/07/2017
Chi opera nel settore assicurativo è destinato ad affrontare, nelle varie mansioni e attività quotidiane, il tema del rischio, della tariffa, dell’evento sfortunato che può capitare a chiunque nel presente o nel futuro. Parliamo di una veste che tradizionalmente rende questo mercato poco “appealing” al grande pubblico. Un’immagine che le compagnie cercano di alleggerire con messaggi di marketing più o meno incisivi, e con contenuti e modalità di offerta più “smart” rispetto al passato: una spinta, in generale, che nasce prevalentemente dall’utilizzo della tecnologia (digital e social) e dal confronto con altri settori.
Ma tra le pieghe delle tante tematiche di cui parliamo ogni giorno sui nostri strumenti di informazione, e attraverso iniziative come il recente convegno dal titolo “Gestire i rischi dal territorio al mondo virtuale” che ha analizzato l’insieme delle minacce a cui aziende e cittadini sono esposti, resta comunque il tema di fondo su come coniugare rigore tecnico e capitale umano.
Perché a far evolvere il mestiere di assicuratore non sono solo la tecnologia o gli obblighi imposti da rischi sempre più complessi e imprevedibili.
Oggi possedere competenze tecniche non basta più. A queste vanno affiancate capacità di adattarsi al cambiamento, e quindi di confrontarsi con il resto del mondo, oltre che immaginazione e creatività.
Un’espressione di questo cambio di passo, tra le tante, è rappresentata dalle iniziative di smart working a cui le compagnie stanno lavorando con investimenti, impegno e risultati sulla soddisfazione (e produttività) dei dipendenti.
L’espressione “well- being” è sempre più diffusa e vissuta come sinonimo di efficienza nella capacità di vivere l’azienda e condurre il proprio lavoro.
Immaginiamo però quali altri passaggi positivi si potrebbero percorrere se solo si aggiungesse a queste iniziative anche una maggiore valorizzazione dell’intelligenza emotiva (la centralità del fattore umano, appunto).
Considerata da molte aziende, non forse appartenenti al settore assicurativo, come elemento fondamentale nella scelta del personale, l’intelligenza emotiva si traduce in ascolto e in capacità di comprendere le situazioni, valutarne gli effetti, costruire relazioni con il mondo circostante, tenendo conto del punto di vista degli altri, della loro storia e delle loro aspettative. La parola chiave su cui insistere diventa allora “empatia”: una propensione, una volta adottata dagli intermediari più lungimiranti, che però oggi sembra essere decisamente caduta in disuso. Puntare anche su questo valore significa dunque, al di là delle nuove frontiere introdotte dai big data o in generale dall’industria 4.0, riuscire a incidere positivamente sull’abilità di prendere decisioni in azienda, migliorare le fasi di negoziazione così come la proattività commerciale e, perché no, anche favorire la creazione di una nuova immagine del mestiere di assicuratore.
Ma tra le pieghe delle tante tematiche di cui parliamo ogni giorno sui nostri strumenti di informazione, e attraverso iniziative come il recente convegno dal titolo “Gestire i rischi dal territorio al mondo virtuale” che ha analizzato l’insieme delle minacce a cui aziende e cittadini sono esposti, resta comunque il tema di fondo su come coniugare rigore tecnico e capitale umano.
Perché a far evolvere il mestiere di assicuratore non sono solo la tecnologia o gli obblighi imposti da rischi sempre più complessi e imprevedibili.
Oggi possedere competenze tecniche non basta più. A queste vanno affiancate capacità di adattarsi al cambiamento, e quindi di confrontarsi con il resto del mondo, oltre che immaginazione e creatività.
Un’espressione di questo cambio di passo, tra le tante, è rappresentata dalle iniziative di smart working a cui le compagnie stanno lavorando con investimenti, impegno e risultati sulla soddisfazione (e produttività) dei dipendenti.
L’espressione “well- being” è sempre più diffusa e vissuta come sinonimo di efficienza nella capacità di vivere l’azienda e condurre il proprio lavoro.
Immaginiamo però quali altri passaggi positivi si potrebbero percorrere se solo si aggiungesse a queste iniziative anche una maggiore valorizzazione dell’intelligenza emotiva (la centralità del fattore umano, appunto).
Considerata da molte aziende, non forse appartenenti al settore assicurativo, come elemento fondamentale nella scelta del personale, l’intelligenza emotiva si traduce in ascolto e in capacità di comprendere le situazioni, valutarne gli effetti, costruire relazioni con il mondo circostante, tenendo conto del punto di vista degli altri, della loro storia e delle loro aspettative. La parola chiave su cui insistere diventa allora “empatia”: una propensione, una volta adottata dagli intermediari più lungimiranti, che però oggi sembra essere decisamente caduta in disuso. Puntare anche su questo valore significa dunque, al di là delle nuove frontiere introdotte dai big data o in generale dall’industria 4.0, riuscire a incidere positivamente sull’abilità di prendere decisioni in azienda, migliorare le fasi di negoziazione così come la proattività commerciale e, perché no, anche favorire la creazione di una nuova immagine del mestiere di assicuratore.
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