Terremoto
La maggior parte dei fenomeni sismici che si verificano sulla superficie terrestre avvengono in prossimità della delimitazione esistente fra due o più placche tettoniche: le zone di contatto, cioè le faglie, si muovono sfregando o cozzando le une con le altre. Ecco come vengono classificati e misurati, e quali sono i profili di assicurabilità di questo rischio - PRIMA PARTE
24/03/2023
Terremoto è un termine che deriva dal latino terrae motus, ovvero movimento della terra, anche detto movimento tellurico o sisma. Da quest’ultima locuzione proviene il vocabolo che indica la branca della geofisica che studia questo fenomeno: la sismologia.
Si tratta di una vibrazione o oscillazione improvvisa della crosta terrestre, provocata dallo spostamento di una massa rocciosa nel sottosuolo. Tale spostamento è generato dalle forze di natura tettonica che agiscono all’interno della crosta terrestre, provocando la liberazione di energia in una zona interna della Terra definita ipocentro, localizzata sulle fratture che caratterizzano la crosta stessa, note come faglie.
In pratica, una serie di onde elastiche (le onde sismiche), si propaga in tutte le direzioni dall’ipocentro, dando vita al fenomeno sismico.
Definiamo epicentro il punto della superficie terrestre che si trova sulla verticale rispetto all’ipocentro. La maggior parte dei fenomeni sismici che si verificano sulla superficie terrestre avvengono in prossimità della delimitazione esistente fra due o più placche tettoniche: come accennato, le zone di contatto, cioè le faglie, si muovono sfregando o cozzando le une con le altre, determinando il terremoto.
Più raramente, è possibile che un sisma si verifichi lontano dalle zone di confine tra le placche, a causa di movimenti definiti di riassestamento tettonico.
Si possono anche verificare sismi localizzati (seppure di minore intensità) nelle aree vulcaniche, per effetto del movimento di grandi masse magmatiche.
In realtà, il movimento delle placche è costante e impercettibile (a meno che non si rilevi con appositi strumenti) e continua a deformare le rocce, sia in superficie che nel sottosuolo. Alcune volte, però, a causa delle forze liberate internamente tra le masse rocciose, tali deformazioni si arrestano, determinando un accumulo di energia (anche per decine o centinaia di anni) fino a che la stessa raggiunge il cosiddetto carico di rottura. A questo punto, l’energia accumulata determina l’improvviso e repentino spostamento della massa rocciosa coinvolta. Questo movimento improvviso rilascia in pochi secondi tutta l’energia accumulata, provocando le onde sismiche e il relativo terremoto.
I METODI DI MISURAZIONE
Esistono vari metodi per misurare la potenza di un sisma.
Le scale più note sono la Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS), che definisce 12 gradi di intensità in base al modo in cui il fenomeno è avvertito dalla gente.
Ritenendo che questo tipo di misurazione implicasse un certo grado di soggettività, si è cominciato a preferire la scala Richter, che misura su base logaritmica e strumentale (ovvero per mezzo di un sismografo) l’energia sprigionata dal fenomeno sismico.
Al giorno d’oggi, i sismologi utilizzano per lo più la scala che definisce la magnitudo del momento sismico (nota con l’acronimo inglese MMS, Moment magnitude scale) che fu sviluppata negli anni Settanta come versione più complessa e raffinata della scala Richter e misura la dimensione dei terremoti in base alla quantità di energia scatenata.
In base a questa classificazione, il terremoto più grave mai registrato (dal momento in cui abbiamo cominciato a misurarne la potenza) è quello verificatosi in Cile nel 1960, con una magnitudo di grado 10.
In tale occasione, l’aspetto fisico delle zone colpite mutò per sempre e ancora oggi è possibile notare le conseguenze di questo terribile evento sismico, la cui potenza è stata associata allo scoppio di un ordigno da 56 miliardi di chili di esplosivo.
L’impatto di un terremoto, invece, si misura in funzione di un certo numero di fattori:
• la quantità di energia liberata;
• la tipologia (esistono vari tipi di fenomeni tellurici, come bradisismo, maremoto, tsunami, sciame, ecc.);
• il tipo di movimento (sussultorio, ondulatorio);
• il tipo di onda (di compressione, di taglio, superficiale)
• il livello di antropizzazione della zona colpita (densità di abitanti, esistenza di infrastrutture, organizzazione sociale, ecc.)
• le misure di protezione eventualmente presenti.
È ovvio che un terremoto di modesta entità che colpisca una zona altamente antropizzata può avere conseguenze assai più distruttive di un evento di magnitudo molto superiore, che però colpisca una zona a bassa densità abitativa.
LA MAPPATURA DELL’ITALIA PER ZONE DI RISCHIO
Come sappiamo, l’Italia è gravemente esposta al rischio del terremoto e sul sito del Dipartimento della Protezione Civile è possibile reperire informazioni sulla classificazione sismica adottata dalle Autorità.
Per quanto sia oggettivamente difficile prevenire un rischio catastrofale di questo tipo, soprattutto in un paese così fortemente antropizzato, è possibile ridurre gli effetti degli eventi sismici con l’adozione di norme speciali per le costruzioni nelle zone classificate a più alto impatto sismico.
La legislazione antisismica italiana, in conformità con le più avanzate normative a livello internazionale, prescrive le norme tecniche in base alle quali un edificio debba sopportare i terremoti meno forti senza gravi danni e quelli più forti senza crollare, salvaguardando prima di tutto le vite umane.
A partire dal 2003, inoltre, sono stati emanati i criteri di nuova classificazione sismica del territorio nazionale, basati sugli studi e le elaborazioni più recenti relative alla pericolosità del territorio e sulla probabilità che lo stesso venga interessato da un evento che superi una certa magnitudo in un certo intervallo di tempo (generalmente, un tempo di ritorno di 50 anni).
Lo Stato ha delegato l’adozione della classificazione sismica del territorio alle Regioni.
Le regioni hanno compilato l’elenco dei comuni con la relativa attribuzione a una delle quattro zone nelle quali è stato riclassificato il territorio nazionale:
• Zona 1 - È la zona più pericolosa. La probabilità che capiti un forte terremoto è alta.
• Zona 2 - In questa zona forti terremoti sono possibili.
• Zona 3 - In questa zona i forti terremoti sono meno probabili rispetto alla zona 1 e 2.
• Zona 4 - È la zona meno pericolosa: la probabilità che capiti un terremoto è molto bassa.
La mappatura che ne è derivata viene sistematicamente aggiornata, è molto particolareggiata e tiene conto di alcune sottozone, per una maggiore precisione.
Qui di seguito troverete l’ultima versione, aggiornata al 31 dicembre 2022.
IL SISMA IN TURCHIA E SIRIA
La questione della prevenzione e gestione del rischio, ovviamente, non è affatto di poco conto ed è doloroso constatare come il numero di vittime e la devastazione provocata dal gravissimo evento che ha recentemente colpito la Turchia e la Siria (zone fortemente esposte al rischio sismico) avrebbero potuto essere assai inferiori, se gli edifici di più recente costruzione fossero stati eretti rispettando le nuove normative.
Quando nel 1999 un terremoto di magnitudo 7,4 colpì la zona di Izmit, in Turchia, uccidendo più di 17mila persone, il governo turco introdusse nuovi regolamenti edilizi e un sistema obbligatorio di assicurazione contro i terremoti. Tuttavia, tanti edifici colpiti da quest’ultimo evento sono stati costruiti prima del 2000 e non seguono norme precise.
In Siria, inoltre, il conflitto che ha interessato il paese per oltre 11 anni ha reso impossibile il rispetto di qualunque regolamento edilizio e molti edifici danneggiati dalla guerra sono stati ricostruiti utilizzando materiali di bassa qualità, che li ha resi ancora più vulnerabili.
L’ASSICURABILITÀ DEL RISCHIO
Dal punto di vista assicurativo, la clausola di estensione che copre i danni da terremoto appartiene alle garanzie prestate nelle polizze del ramo incendio (o property) e nel nostro mercato viene concessa su richiesta dell’assicurato.
Solitamente essa copre le cose assicurate (i fabbricati e il loro contenuto) e comprende anche i danni da incendio, esplosione e scoppio direttamente causati dal sisma, ma esclude quelli da eruzione vulcanica, maremoto, anormale produzione o distribuzione di energia elettrica, termica o idraulica, nonché i danni derivanti da rapina, saccheggio e gli ammanchi in genere, che possono verificarsi in seguito all’evento.
Tali rischi sono in parte assicurabili, sempre su richiesta e con diversa pattuizione, di solito con applicazione di un premio aggiuntivo.
Così come accade per le alluvioni, i terremoti appartengono alla categoria delle calamità naturali e sono considerati eventi catastrofici per l’impatto devastante che possono avere su persone e cose. Per tale ragione, la copertura dei danni da terremoto prevede generalmente un limite di risarcimento espresso in percentuale sulla somma assicurata ed una cospicua franchigia o uno scoperto.
I premi applicati dagli assicuratori dipendono in gran parte dalle loro coperture riassicurative, giacché il ricorso alla riassicurazione consente alle compagnie di distribuire le gravi perdite causate da questa tipologia di rischi, ammortizzandone l’impatto economico.
Come accade per tutti gli eventi catastrofali il costo ultimo dei danni da terremoto è coperto per la maggior parte dai riassicuratori globali, che determinano di anno in anno i relativi tassi, all’atto del rinnovo dei corrispondenti trattati di riassicurazione.
Com’è intuibile, i costi dei trattati dipendono dalla classificazione delle zone coperte e dalla tipologia delle costruzioni prevista dalle leggi locali, ma sono anche influenzati dall’andamento generale delle coperture catastrofali a livello globale.
Sotto questo profilo, lo sviluppo incontrollato dei cataclismi registrati negli ultimi anni e legato al fenomeno del riscaldamento globale sta purtroppo giocando una carta determinante.
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