Gestione del rischio, una priorità per le imprese europee
In una ricerca, Anra dimostra come la responsabilità del risk manager stia crescendo esponenzialmente
07/11/2013
Al via stamani il 14esimo convegno di Anra, l'associazione italiana dei risk manager, per parlare del ruolo sempre più importante di questa figura all'interno delle aziende. Da figure spesso poco visibili, impegnate in lavori poco comprensibili, ma essenziali, per il resto dei reparti aziendali e persino per il cda, i risk manager e i chief risk officer stanno gradualmente assumendosi responsabilità più improntanti all'interno soprattutto di grandi gruppi industriali impegnati su mercati internazionali. Ma anche in Italia, nonostante un tessuto industriale fatto di piccole e medie imprese che spesso non riescono ad attivare uffici per i monitoraggio dei rischi, la sensibilità al rischio e alla sua mitigazione è sempre maggiore.
L'evento, una due giorni che si conclude domani sta battendo ogni record di partecipazione. "In sala - ha esordito nell'intervento di apertura Paolo Rubini, presidente di Anra e risk manager di Telecom Italia - ci sono più di 100 tra risk manager e cro, cioè due terzi degli associati. In più ci sono tantissimi esponenti delle compagnie e del mondo dell'assicurazione: segno che questo è il momento in cui la categoria potrà davvero imporsi all'interno delle aziende". Questo sentiment è confermato anche da una ricerca promossa da Ferma, la federazione del risk management europeo, svolta tra oltre 200 dirigenti di grandi organizzazioni continentali che sottolineano come il top management e i cda siano sempre più orientati a una maggior integrazione del risk management nella strategia globale dell'azienda, insieme a una più sviluppata cultura aziendale del rischio.
Nello specifico, il 35% delle imprese assegna la responsabilità diretta della gestione del rischio a un chief risk officer o a un risk manager. Più della metà delle aziende intervistate, il 56%, ha detto di aver aumentato nel corso degli ultimi tre anni le risorse destinate all'istruzione e alla formazione per le funzioni di cro. Tuttavia, solo il 17% degli intervistati ha definito come "chiara e completa o quasi" la comunicazione tra la direzione e il chief risk officer; mentre più di uno su quattro, il 29%, ha espresso preoccupazione perché il management può ricevere informazioni rivisitate sulla realtà dei rischi. D'altra parte, il 40% dei risk manager intervistati ha detto che nella propria organizzazione non è stato ancora istituito un comitato di analisi del rischio che sia trasversale e rappresentativo di tutti i settori aziendali, e questo nonostante il ruolo cruciale che un tale organismo avrebbe nel fare in modo che i dati sul rischio siano discussi a fondo e trasmessi al cda.
Queste e altre evidenze, le ha ricordate Rubini, sottolineando come "dalla ricerca, prevalga una visione alta del risk management, come strumento per aumentare la redditività". Ma, contemporaneamente, i risk manager devono essere sempre più preparati e i partner naturali del cro, ovvero le assicurazioni a cui poter trasferire i rischi che non possono essere trattenuti, sempre più disponibili al dialogo per la definizione dei contratti.
L'evento, una due giorni che si conclude domani sta battendo ogni record di partecipazione. "In sala - ha esordito nell'intervento di apertura Paolo Rubini, presidente di Anra e risk manager di Telecom Italia - ci sono più di 100 tra risk manager e cro, cioè due terzi degli associati. In più ci sono tantissimi esponenti delle compagnie e del mondo dell'assicurazione: segno che questo è il momento in cui la categoria potrà davvero imporsi all'interno delle aziende". Questo sentiment è confermato anche da una ricerca promossa da Ferma, la federazione del risk management europeo, svolta tra oltre 200 dirigenti di grandi organizzazioni continentali che sottolineano come il top management e i cda siano sempre più orientati a una maggior integrazione del risk management nella strategia globale dell'azienda, insieme a una più sviluppata cultura aziendale del rischio.
Nello specifico, il 35% delle imprese assegna la responsabilità diretta della gestione del rischio a un chief risk officer o a un risk manager. Più della metà delle aziende intervistate, il 56%, ha detto di aver aumentato nel corso degli ultimi tre anni le risorse destinate all'istruzione e alla formazione per le funzioni di cro. Tuttavia, solo il 17% degli intervistati ha definito come "chiara e completa o quasi" la comunicazione tra la direzione e il chief risk officer; mentre più di uno su quattro, il 29%, ha espresso preoccupazione perché il management può ricevere informazioni rivisitate sulla realtà dei rischi. D'altra parte, il 40% dei risk manager intervistati ha detto che nella propria organizzazione non è stato ancora istituito un comitato di analisi del rischio che sia trasversale e rappresentativo di tutti i settori aziendali, e questo nonostante il ruolo cruciale che un tale organismo avrebbe nel fare in modo che i dati sul rischio siano discussi a fondo e trasmessi al cda.
Queste e altre evidenze, le ha ricordate Rubini, sottolineando come "dalla ricerca, prevalga una visione alta del risk management, come strumento per aumentare la redditività". Ma, contemporaneamente, i risk manager devono essere sempre più preparati e i partner naturali del cro, ovvero le assicurazioni a cui poter trasferire i rischi che non possono essere trattenuti, sempre più disponibili al dialogo per la definizione dei contratti.
Domani, 8 novembre, su Insurance Daily, un ampio articolo sulla prima giornata del convegno con gli interventi dei relatori della tavola rotonda "Prospettive del mercato assicurativo in Europa tra nuovi rischi e capacità", con Anthony Baldwin, managing director per l'Europa di Aig, Christian Hinsch, chairman dell'executive board di Hdi Gerling, Andrew Kendrick, presidente di Ace European group, Fredrik Rosencrantz, ceo del gruppo Zurich per l'area Emea e Paolo Vagnone, head of global business lines di Generali.
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