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L’Italia è digitale, ma non abbastanza

Imprese e cittadini hanno gli strumenti per sfruttare le opportunità dell’innovazione tecnologica, ma non le competenze

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L’Italia ci sta provando, a cambiare marcia nell’innovazione digitale. Quest’anno è stato varato un Piano triennale che indirizza in modo chiaro la trasformazione tecnologica della pubblica amministrazione, specificando come riqualificare i 5,6 miliardi di euro pubblici spesi in strumentazioni digitali. Nel frattempo, continua il piano per la diffusione della banda larga, la cui rete di copertura è quasi raddoppiata rispetto al 2015. Anche le imprese, grazie al Piano Industria 4.0, stanno lentamente innovando i loro processi e le infrastrutture. Gli strumenti non mancano nemmeno ai cittadini: l’88% ha almeno un dispositivo connesso ad internet. Sulla carta le possibilità per il nostro Paese dunque ci sono. Eppure, nel Digital Economy and Society Index (Desi), l'indice creato dalla Commissione europea che misura i progressi nella digitalizzazione, l’Italia è 25esima su 28 Paesi europei. Quasi ultima, e nella stessa posizione di due anni fa. Se gli strumenti ci sono e sono accessibili, dove sta il problema? Una ricerca dell’Osservatorio Agenda digitale del Politecnico di Milano individua la questione principale nella mancanza di competenze digitali, che nel nostro Paese sono ben al di sotto della media europea. Gli italiani utilizzano la rete poco e male: meno di uno su due (45%) è in grado di produrre un contenuto digitale o di utilizzare un foglio di calcolo. Nemmeno le imprese registrano performance all’altezza dell’Europa: solo il 71% ha un sito web, contro la media del 77%, e solo l’8% effettua vendite online per almeno l’1% del fatturato, contro il 18% degli altri Paesi. Una possibile soluzione per superare questa impasse, secondo la ricerca, è quella di ricalibrare le spese destinate alla digitalizzazione del Paese. L'Osservatorio stima che a fine 2018 la riqualificazione prevista dalla Finanziaria potrebbe far diminuire la spesa digitale a 5,1 miliardi di euro: le risorse così liberate dovrebbero essere reinvestite nell’ottimizzazione delle strumentazioni già acquistate, nella formazione e in un’opera di diffusione delle competenze necessarie per sfruttarle al meglio. 

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