L’abuso del diritto: un monito per contratti più equi
La vessatorietà si manifesta con una disposizione contrattuale che si pone in contrasto con i principi costituzionali. È consigliabile per le compagnie, in particolare in un periodo di difficoltà come l’attuale, assumere un atteggiamento di trasparenza e di maggiore apertura basato sui principi di solidarietà
08/03/2021
Il tema dell’abuso del diritto è strettamente legato all’evoluzione che si è registrata negli ultimi venti anni nel nostro ordinamento sull’applicazione dei principi costituzionali (in particolare il principio di solidarietà) e delle clausole generali (in particolare la buona fede) nei rapporti contrattuali e nelle obbligazioni risarcitorie.
Come è noto, esiste una concezione del diritto molto diffusa denominata neocostituzionalismo o costituzionalismo principalista secondo la quale la giurisdizione è fonte del diritto e il giudice, più che applicare la legge, deve applicare i principi costituzionali scegliendo, di volta in volta, quello più pertinente al caso concreto sottoposto al suo esame.
Questa operazione viene effettuata applicando un principio costituzionale (solidarietà, diritto alla salute, giusto processo, ecc.) con una clausola generale (buona fede, equità, danno ingiusto, ecc.).
Il risultato al quale si perviene da questo matrimonio è, appunto, l’istituto dell’abuso del diritto. Una persona, un’impresa o un professionista non può abusare di un proprio diritto affermato da una legge o da un contratto se l’esercizio di tale diritto si scontra con i valori sui quali si fonda la comunità e la nostra democrazia costituzionale, nella quale i rapporti sociali ed economici sono ispirati alla cooperazione e alla collaborazione, non al conflitto e alla prevaricazione del soggetto che ha maggiore potere contrattuale ed economico su quello più debole.
L’abuso del diritto è stato prefigurato da grandi giuristi come Rosario Nicolò, Pietro Perlingieri, Luigi Mengoni e Stefano Rodotà. Quest’ultimo, in una famosa prolusione all’Università di Macerata nel 1966, aveva posto in luce l’importanza del ruolo dei princìpi costituzionali per attuare gli istituti civilistici (proprietà, responsabilità civile, ecc.) in una prospettiva solidaristica.
L’abuso del diritto nella legislazione
Il codice civile non prevede una nozione generale di abuso del diritto, ma una parte della dottrina ritiene che esista nel nostro ordinamento un principio generale di divieto di abuso del diritto attraverso il metodo induttivo.
Vi sono, cioè, delle disposizioni del codice civile dalle quali si può affermare un principio generale di divieto di abuso del diritto. Ecco qualche esempio. L’articolo 833 del codice civile vieta gli atti emulativi, sicché non si può abusare del diritto di proprietà. Gli articoli del codice del consumo sulle clausole abusive stabiliscono che le imprese non possono abusare del loro potere economico e contrattuale inserendo pattuizioni vessatorie. Il codice delle assicurazioni obbliga le compagnie a rendere trasparenti i contratti assicurativi e a evidenziare al contraente le clausole che prevedono decadenze, nullità, limitazioni delle garanzie e altri oneri a suo carico.
L’art. 9 della legge n. 192/1998 sulla subfornitura vieta l’abuso di dipendenza economica di un imprenditore nei confronti di un altro imprenditore.
Non si può, dunque, abusare della libertà contrattuale, intesa come potere, che deve essere contemperata con l’interesse di categorie protette e, più in generale, con l’interesse pubblico e con i valori espressi dalla nostra Costituzione.
L’abuso del diritto nella giurisprudenza
Come rilevavo all’inizio dell’articolo, il merito, però, di aver introdotto il principio generale dell’abuso del diritto nel nostro ordinamento spetta soprattutto alla giurisprudenza che ha seguito quell’orientamento neocostituzionalista sull’applicazione diretta dei principi costituzionali nei rapporti contrattuali. Facciamo quale esempio. La sentenza della Corte di Cassazione che ha fatto da apripista ad altre pronunce è stata la n. 20106 del 2009 sull’esercizio abusivo del diritto di recesso in un contratto di distribuzione commerciale. Nella vicenda che ha dato origine a questa sentenza, vi era una clausola che prevedeva la facoltà per la Renault di esercitare il diritto di recesso dai contratti di concessione delle auto. La Renault aveva esercitato tale facoltà, ma i concessionari si erano rivolti al tribunale di Roma per far dichiarare la nullità di tale clausola.
Il tribunale respinse le richieste dei concessionari e la Corte d’Appello di Roma confermò tale pronuncia.
La Corte di Cassazione, invece, cassò le sentenze del Tribunale, affermando che il giudice di primo grado avrebbe dovuto sindacare le modalità di esercizio del diritto di recesso, che appariva iniquo e in contrasto con il principio di solidarietà affermato dalla nostra Costituzione.
L’iter argomentativo seguito dai giudici di legittimità è quello indicato all’inizio dell’articolo. L’art. 2 della Costituzione entra nel contratto attribuendo vis normativa alla clausola generale di buona fede (art. 1375 c.c.) e funzionalizzando il rapporto negoziale anche nell’interesse dell’altra parte.
La Renault, dunque, secondo la Cassazione, aveva abusato di un proprio diritto, posto che la clausola di recesso appariva iniqua e sproporzionata. E il giudice di primo grado avrebbe potuto (dovuto) intervenire in senso modificativo per garantire l’equo contemperamento degli interessi in giudizio.
L’abuso del diritto è stato affermato anche in un’ordinanza della Corte di Cassazione in materia di responsabilità da fideiussione, la quale ha affermato che gli obblighi di correttezza e buona fede che permeano la vita del contratto impongono alla parte garantita di salvaguardare la posizione del proprio fideiussore e la loro violazione non consente l’esercizio di pretese nei confronti del garante, nella misura in cui la sua posizione sia stata aggravata dal garantito (Cass. 12 dicembre 2019, n. 32478).
Da ultimo, ricordo le due note ordinanze della Corte Costituzionale sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1385 c.c. (caparra confirmatoria) nella parte in cui tale disposizione non prevede la possibilità per il giudice di ridurre la somma da ritenere o il doppio da restituire in caso di manifesta sproporzione.
Più trasparenza e apertura
La storia dell’abuso del diritto nella legge e nella giurisprudenza, insomma, deve portare le imprese a offrire sul mercato contratti più equi e trasparenti.
Le compagnie dovrebbero, dunque, eliminare alcune clausole vessatorie, prevedere la possibilità di rinegoziare i contratti quando si verificano eventi eccezionali e imprevedibili come quello che stiamo vivendo e rendere più trasparenti le pattuizioni contrattuali. Non si può dimenticare che le compagnie hanno fatto molti passi avanti in questa direzione, ma tanti altri devono essere compiuti. Sarebbe necessario proprio nel contesto emergenziale attuale, pensare a una nuova formulazione dei modelli contrattuali. Il principio di solidarietà, dunque, dovrebbe diventare per le compagnie un criterio orientativo per fondare un nuovo diritto dei contratti assicurativi.
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