Un risarcimento del danno solidale
La pandemia, che ha cambiato il concetto di salute, cambierà anche il ristoro economico del danno non patrimoniale? Seguendo il principio di solidarietà sociale stabilito dalla Costituzione e dall’orientamento neocostituzionalista, come spiega l’avvocato Mariotti, si potrebbe pensare di destinarne una quota al servizio sanitario pubblico
10/12/2020
La pandemia ha contribuito a riaprire, tra gli studiosi del diritto civile, una riflessione sull’importanza dei principi costituzionali e delle clausole generali in materia di obbligazione risarcitorie e rimedi contrattuali e, dunque, sul ruolo della giurisdizione come fonte del diritto.
Come è noto, la dottrina sulla quale si fonda questa concezione della giurisprudenza, chiamata neocostituzionalismo, sostiene che la Costituzione è un insieme di principi/valori più che di regole, e i principi devono essere sempre bilanciati e ponderati dalla giurisdizione che deve valutare e scegliere quello più pertinente per risolvere il caso sottoposto al suo esame.
Il principio di solidarietà
Uno dei principi più importanti (il più importante in questo periodo storico) è quello della solidarietà e, come ci hanno insegnato grandi giuristi (Stefano Rodotà, Pietro Perlingieri, Francesco Macario), la solidarietà è una risorsa straordinaria a disposizione dell’interprete per ricostruire i singoli istituti del nostro vecchio codice civile (proprietà, contratti, responsabilità civile, ecc.) allo scopo di ottenere un diritto delle obbligazioni e dei contratti non individualista e, appunto, più solidale.
Il principio di solidarietà affermato dall’articolo 2 della nostra Costituzione però, come è stato rilevato recentemente da qualificata dottrina (Marcello Maggiolo), deve essere diffuso, imposto davvero a tutti e, dunque, non solo ai danneggianti e ai loro assicuratori ma anche ai danneggiati.
Certo, una solidarietà imposta anche a questi ultimi, implica una diversa logica del sistema risarcitorio del danno non patrimoniale alla luce di una mutata concezione del concetto di salute.
La salute, ce l’ha insegnato la tragedia della pandemia che abbiamo vissuto e purtroppo stiamo ancora vivendo, non deve essere concepita solo come un diritto individuale, ma va considerata anche nella sua dimensione pubblica, collettiva.
Ricordiamoci quello che è accaduto nello scorso mese di marzo quando, nello stato di emergenza del servizio sanitario nazionale, sin che è stato possibile gli operatori sanitari hanno sempre optato per un criterio clinico nel selezionare l’accesso alle cure intensive ma, a volte, hanno dovuto anche ricorrere a un criterio legato alle limitate risorse disponibili (la mancanza dei posti letto nelle terapie intensive). Ebbene, in quel contesto che alcuni hanno definito “la medicina delle catastrofi” (Giovanni Facci), si è compresa l’importanza di un servizio sanitario pubblico che offre gratuitamente a tutti il diritto alle cure senza escludere nessuno, si è compreso il senso profondo del concetto di salute nella sua dimensione collettiva.
L’articolo 32 della Costituzione
Per capire il vero senso del concetto di salute, però, basta fare un passo indietro e leggere l’articolo 32 della nostra Costituzione, che fa riferimento alla salute anche come “interesse fondamentale della collettività”.
D’altra parte, se ci pensiamo bene, tutti i principi fondamentali sui quali si basa la nostra Costituzione repubblicana, mettono al centro la persona immersa nel sociale e fanno emergere non solo i diritti ma, soprattutto, come dice Paolo Grossi, i doveri verso la collettività.
Una logica diversa del concetto di salute per un nuovo risarcimento del danno
Bene, la solidarietà sociale imposta davvero a tutti pone diversi interrogativi sull’attuale logica del risarcimento del danno alla salute che è fondata solo sull’io, e che non è mai stata posta in discussione sino a oggi o meglio, chi osava in passato criticare la logica esclusivamente individualista del danno alla salute veniva tacciato (se gli andava bene) come un filo-assicuratore.
E quali sono questi nuovi interrogativi sul concetto di salute che la pandemia ha fatto emergere? Ne cito solo uno.
È conforme al principio di solidarietà sociale che le somme liquidate nelle sentenze a titolo di danno non patrimoniale da responsabilità sanitaria siano destinate integralmente al danneggiato?
Certamente il danneggiato deve essere consolato per il danno subito con un’utilità sostitutiva, in applicazione della funzione consolatoria della responsabilità civile.
Ma in una logica risarcitoria che rispetti il principio di solidarietà e la salute come bene della collettività, non sarebbe più giusto che una parte della somma, anche minima, sia destinata al servizio sanitario pubblico?
Va da sé che una soluzione di questo tipo, necessita di un intervento del legislatore per costituire un patrimonio, ripartire le somme tra le varie strutture sanitarie pubbliche, attribuire al giudice il potere di fissare una quota da destinare al servizio sanitario nazionale. Il legislatore dovrebbe prendere come riferimento della nuova normativa l’articolo 2058 del codice civile sul risarcimento in natura.
E la giurisprudenza?
Non potrebbe già ora, in applicazione del principio di solidarietà sociale stabilito dalla nostra Costituzione e dell’orientamento neocostituzionalista, destinare una quota del risarcimento del danno alla salute al servizio sanitario pubblico?
È una provocazione, me ne rendo conto, ma, a volte, buttare lì qualcosa serve ad aprire un dibattito, a riflettere sul passato e soprattutto a gettare le basi (si spera) per un futuro del risarcimento del danno alla salute che vada oltre il proprio tornaconto personale e guardi anche alla società nella quale viviamo. Che sia, insomma, un risarcimento del danno più solidale.
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