Abuso del processo tra doveri di buona fede, principi di solidarietà e giusto processo
Secondo la Cassazione, confrontando determinati contenuti del Codice civile con gli articoli della Costituzione, emergono alcuni fattori che permettono di circostanziare i casi in cui i procedimenti portano un dannoso aggravio al sistema giudiziario
21/06/2022
Alcune recenti sentenze della Corte di Cassazione (Cass. 17/03/2021 n. 7409; Cass. 24/05/2021 n. 14143; Cass. 11/02/2022 n. 4430) in materia di abuso del processo dovrebbero contribuire a riaprire tra gli studiosi di diritto civile (e non solo) una riflessione sull’esercizio dei propri diritti in ambito giurisdizionale che va sempre bilanciato con il bene comune (il sistema giustizia), che non deve essere leso da condotte contrarie a buona fede, correttezza e ai principi di solidarietà e del giusto processo affermati dagli articoli 2 e 111 della Costituzione.
È questo il messaggio molto chiaro che proviene dalle sentenze sopra richiamate, ma anche implicitamente dal legislatore con l’art. 96, terzo comma del Codice di procedura civile, e già in precedenza dalla stessa giurisprudenza di legittimità con altre pronunce (Cass. 02/10/2013 n. 22502; Cass. 19/10/2017 n.24698; Cass. ordinanza n. 30539 del 26/11/2018).
Qual è il ragionamento seguito dalla Cassazione per affermare l’esistenza di un abuso processuale? E quali sono le fattispecie che hanno portato la Corte di legittimità ad accertare un abuso processuale in due recenti sentenze?
L’esistenza di elementi soggettivi e oggettivi
Gli ermellini hanno anzitutto precisato che l’abuso del processo è caratterizzato da un elemento soggettivo e uno oggettivo.
Il profilo soggettivo riguarda i doveri di correttezza (art. 1175 c.c.) e di buona fede (art. 1375 c.c.) che devono essere osservati nei rapporti tra consociati.
Tali doveri impongono al creditore, ad esempio, di accettare l’adempimento anche inesatto del debitore se lo scostamento rispetto a quanto dovuto sia minimo, non arrecando pertanto un apprezzabile pregiudizio all’interesse del creditore.
Sul piano oggettivo, invece, si ha abuso del processo quando lo strumento processuale viene utilizzato per fini diversi e ulteriori rispetto a quelli suoi propri e si traduce, in ultima analisi, nel pregiudicare il sistema giustizia perché sottrae la disponibilità dei giudici alla risoluzione di altre controversie allungando così i tempi di queste ultime.
Trasferendo i due profili sul piano normativo, l’abuso del processo si configura, dunque, quando sono violati sia i doveri di buona fede e correttezza previsti dal codice civile sia il principio di solidarietà e del giusto processo affermato dagli articoli 2 e 111 della Costituzione.
È, in buona sostanza, il matrimonio tra una clausola generale e i principi costituzionali che porta ad affermare l’abuso processuale.
Due fattispecie recenti
Nella sentenza 15077/2021 un avvocato era in possesso di cinque titoli esecutivi nei confronti di una compagnia e aveva iniziato altrettante azioni esecutive contro la debitrice nella forma del pignoramento presso terzi.
L’unico effetto di queste azioni, secondo la Cassazione “era stato quello di far lievitare i costi delle procedure esecutive per ottenere ad arte un ingiusto vantaggio, distorcendo i fini naturali del processo”.
Moltiplicare in sede esecutiva le iniziative giudiziarie al solo scopo di far lievitare il suo credito è, dunque, un abuso processuale.
In un’altra sentenza (n. 38528 del 06/12/2021) la Cassazione ha affermato che costituisce abuso processuale, sanzionabile dall’art. 96, terzo comma, c.p.c., la condotta di un soggetto che propone ricorso per cassazione basato unicamente su motivi manifestatamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata o una richiesta di rivalutazione del merito della controversia.
La Cassazione ha affermato che in tale ipotesi “il soggetto ha il solo scopo di aumentare il volume del contenzioso e, conseguentemente, di ostacolare la ragionevole durata del processo e il corretto impiego delle risorse per il buon andamento della giurisdizione”.
La Cassazione ci dice, in altre parole, che il processo non è un bene di “proprietà” di un soggetto che può farvi ricorso sempre, ma è una risorsa a disposizione della collettività e, come tale, espressione di un bene di interesse generale che va tutelato da iniziative meramente dilatorie o, peggio ancora, che hanno l’unico scopo di conseguire un ingiusto vantaggio, sottraendo così questa risorsa ad altri soggetti che ne hanno veramente bisogno e chiedono giustizia.
Uno sguardo al codice deontologico
Un discorso conclusivo serio sull’abuso del processo deve riguardare anche la deontologia professionale dell’avvocato e l’etica.
C’è un articolo del codice deontologico (l’art. 66) che vieta all’avvocato di aggravare con onerose e plurime iniziative la situazione debitoria della controparte.
Tale dovere è stato violato in alcune sentenze sopra richiamate, sicché occorrerebbe maggiore consapevolezza e attenzione degli avvocati ai doveri imposti dal codice deontologico.
Ma il discorso si può allargare all’intera società e ai principi/doveri fondamentali affermati dalla nostra Costituzione, tra cui la solidarietà e la cooperazione che purtroppo sono oggi meno applicati, immersi come siamo nell’affermazione del proprio ego e dei propri interessi individuali.
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