Beni comuni e interesse delle generazioni future
La nostra giurisprudenza è tradizionalmente incentrata sul “qui e ora”, ma nella logica della tutela ambientale, culturale e artistica è necessario ragionare in prospettiva. Una soluzione in uso sono gli accordi tra comuni e privati per la gestione dei beni, una funzione che potrebbe trovare l’interesse anche del settore assicurativo
22/03/2022
L’emergenza sanitaria ha riaperto, tra gli studiosi di diritto civile e pubblico, un dibattito sull’applicazione del principio costituzionale di solidarietà sociale anche nell’ambito dell’istituto della proprietà, che dovrebbe essere considerato non solo come un diritto soggettivo assoluto che esclude gli altri ma in una visione più ampia, che tenga conto della natura di determinati beni che fanno parte di una collettività e che vanno tutelati nell’interesse generale, compreso quello delle generazioni future.
Mi rendo conto che è un mutamento culturale copernicano, immersi come siamo nella prospettiva individualista ed egocentrica che domina la nostra vita, ma un cambiamento di paradigma è indispensabile se vogliamo preservare alcuni beni ambientali dalla catastrofe ecologica.
E quali sono questi beni? Come li qualificano la dottrina e la giurisprudenza? E qual è il ruolo dell’assicuratore nelle istituzioni che sono state create per curare e rigenerare i beni comuni?
LA NOZIONE DI BENE COMUNE
Il codice civile non prevede una nozione di “beni comuni”, ma una loro definizione si ricava da una legge delega proposta dalla Commissione Rodotà nel 2007, che è sfociata anche in un disegno di legge, e dalla giurisprudenza di legittimità.
Secondo la proposta della Commissione Rodotà, i beni comuni sono identificati nelle “cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona”.
L’articolato normativo fa alcuni esempi di beni comuni tra i quali i fiumi, i torrenti, i laghi, i parchi, le foreste, i ghiacciai, la fauna selvatica, i beni archeologici, culturali e ambientali.
Nella definizione sono inclusi anche i beni immateriali, tra i quali la conoscenza in rete e i saperi tradizionali di una comunità.
La nozione, come si vede, è molto ampia e ha il pregio di contemplare un nuovo soggetto sconosciuto al nostro ordinamento che è l’interesse delle generazioni future. Questi beni vanno tutelati non solo per il nostro interesse individuale, tipico della nostra tradizione romanistica (io e la controparte, qui e ora), ma anche nell’interesse delle generazioni future.
LA DEFINIZIONE DELLA CASSAZIONE
C’è anche una famosa definizione di beni comuni che si ricava da una sentenza della Corte di Cassazione (la n. 3665 del 2011).
Il contenzioso aveva per oggetto la natura giuridica demaniale o privata delle Valli da Pesca nella Laguna di Venezia e, in un obiter dictum, la Cassazione definisce bene comune “quel bene immobile che, indipendentemente dalla sua titolarità, risulta, per le sue caratteristiche di tipo ambientale e paesaggistico, destinato alla realizzazione degli obiettivi dello Stato sociale”.
La Cassazione precisa che le Valli da Pesca della Laguna di Venezia sono beni demaniali, ma il ragionamento tende a superare il concetto di demanialità elaborando una categoria nuova di beni che necessitano sia di forme di godimento collettivo sia di una tutela più incisiva nell’interesse delle generazioni future.
Purtroppo il messaggio che la Cassazione ha lanciato non è stato recepito dal legislatore nazionale, ma fortunatamente è stato seguito da qualche legge regionale e dalla società che ha messo in pratica delle istituzioni che si occupano proprio della cura e gestione dei beni comuni.
La nostra Costituzione, che è lungimirante, aveva peraltro già previsto all’articolo 43 che la legge può riservare a comunità di utenti la gestione di servizi pubblici essenziali.
UN CASO CONCRETO: I PATTI DI COLLABORAZIONE TRA COMUNI E CITTADINI
Sono oltre 250 i Comuni che hanno sottoscritto dei patti di collaborazione con i cittadini per la cura, gestione e rigenerazione dei beni comuni. Questi patti ricalcano un modello elaborato da un ente del terzo settore, Labsus, che ha predisposto un regolamento seguito da quasi tutti i Comuni.
Questi accordi sono il terreno di sperimentazione più importante che si è affermato nel nostro Paese negli ultimi anni per rendere effettivo il concetto di bene comune.
Con questi patti, i cittadini (singole persone fisiche, associazioni non riconosciute, comitati, enti del terzo settore) si accordano con i Comuni per curare e gestire dei beni che appartengono per lo più agli stessi Comuni e che necessitano di essere recuperati e rigenerati.
Di esempi se ne possono fare molti. Le piazze sono oggetto di numerosi patti, tra cui quello stipulato tra il Comune di Milano e associazioni ambientaliste e culturali per rigenerare il quartiere Adriano.
Un altro bene comune è rappresentato dai parchi, che sono stati oggetto di numerosi patti di collaborazione tra cui quello promosso da un ente del terzo settore con il Comune di Brindisi.
Le fontane sono oggetto di altri patti, tra cui quello della Città di Pedimonte Matese e un gruppo informale di cittadini.
Ma ci sono patti che hanno per oggetto beni immobili destinati a scopi sociali, o confiscati alla mafia, o teatri in disuso, come è accaduto nel Comune di Bagheria in un accordo con un centro di servizi per il volontariato e altre associazioni.
IL RUOLO DEGLI ASSICURATORI
La crescente importanza dei beni comuni pone molti problemi anche in relazione alla prevenzione dei rischi.
I patti di collaborazione, come si è visto, prevedono la cura di beni da parte di Comuni e cittadini affinché tali beni possano essere accessibili e fruibili da tutti.
Ebbene, tale gestione e cura comporta problemi connessi alla responsabilità di Comuni e cittadini, e questioni relative alla sicurezza delle persone che usufruiranno di questi beni.
Assicurare le relazioni che ruotano attorno a un bene comune urbano è, dunque, un aspetto importante nel diritto dei beni comuni che vede e vedrà in futuro sempre più protagonisti anche tutti gli operatori del settore assicurativo.
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