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L’infortunio da Covid non tocca le polizze di natura privatistica

Durante la pandemia, con la legge 27 del 2020 si è voluto tutelare presso l’Inail i lavoratori che fossero stati contagiati sul luogo di lavoro. Una sentenza della Corte d’appello di Torino ha fatto chiarezza escludendo che la questione possa essere estesa alle coperture assicurative infortunio

L’infortunio da Covid non tocca le polizze di natura privatistica hp_vert_img
Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito a un controverso dibattito in merito alla possibilità di qualificare come infortunio il contagio da coronavirus nel contesto delle polizze infortuni di natura privatistica, e se sia possibile affermare o meno la relativa operatività della garanzia in favore del beneficiario della polizza.
Il dubbio interpretativo ha avuto origine a seguito del dl 18 del 2020 (cosiddetto decreto Cura Italia), convertito dalla legge27 del 2020, che aveva previsto la tutela infortunistica da parte di Inail nei casi accertati di infezione da coronavirus contratta in occasione di lavoro, con conseguente equiparazione agli infortuni sul lavoro: in buona sostanza, l’infezione da Covid-19 per il personale sanitario veniva a qualificarsi come malattia-infortunio sul lavoro e, pertanto, la causa virulenta veniva equiparata a quella violenta. Successivamente, nella circolare 13 del 3 aprile 2020, l’Inail aveva altresì indicato l’ambito operativo della nuova previsione normativa, applicabile ai lavoratori dipendenti e assimilati nonché agli altri soggetti previsti con dlgs 38 del 2020, quali i lavoratori parasubordinati (e analoga previsione veniva introdotta per gli infortuni in itinere).
In sostanza, la legge operava una presunzione circa l’origine professionale dell’infezione da Covid-19, così tutelando maggiormente i lavoratori.

UN PRECEDENTE CHE POTREBBE ESSERE CRITICO
Sta di fatto che, a seguito di tali novità legislative, alcuni giudici di merito, chiamati a pronunciarsi sull’operatività di polizze infortuni di natura privatistica, concludevano per l’operatività di dette polizze, qualificando il contagio da Covid-19 quale infortunio e non quale malattia (esclusa, pertanto, dalla copertura assicurativa o operante a condizioni diverse da quelle previste per gli infortuni): così in tal senso, la sentenza del tribunale civile di Torino sezione V del 19 gennaio 2022, n. 184 sottolineando che “come, invero, stabilito dalla Suprema Corte (cfr. Cassazione, 17 gennaio 2008, n. 866), le clausole di polizza, che delimitino il rischio assicurato, ove inserite in condizioni generali su modulo predisposto dall’assicuratore, sono soggette al criterio ermeneutico posto dall’articolo 1370 del codice civile, e, pertanto, nel dubbio, devono essere intese in senso sfavorevole all’assicuratore medesimo”.
Tuttavia, la maggiore criticità di tale interpretazione è che essa consentirebbe di estendere la nozione di infortunio a qualsiasi tipo di infezione, vanificando la distinzione invalsa nella pratica assicurativa (legata, ricordiamo, a una causa fortuita, violenta ed esterna).
Il precedente torinese si poneva però in contrasto con altre sentenze di merito (cfr. tribunale di Pescara 22 marzo 2022 o anche la sentenza del tribunale di Roma 30 gennaio 2022). 

LE RAGIONI DEI GIUDICI
Finalmente, è intervenuta la Corte d’appello di Torino (con sentenza 653 del 29 giugno 2023) a dirimere (per il momento) ogni dubbio escludendo che, nell’ambito delle polizze di natura privatistica, il contagio da coronavirus che abbia determinato la morte del beneficiario possa integrare il concetto di infortunio (idoneo, come tale, a garantire la copertura assicurativa richiesta).
Il percorso argomentativo dei giudici di appello è molto ampio. Da un lato viene conferito importante rilievo a tutte le norme di carattere generale che il codice civile riserva in merito alla interpretazione del contratto (e quindi agli articoli 1362 ss c.c.) e dall’altro viene data luce alla ricostruzione del sinallagma contrattuale tra contraente e assicuratore (conferendo particolare rilievo agli aspetti relativi alla valutazione del rischio da parte dell’assicuratore): “è dunque evidente che le parti abbiano inteso ben distinguere i rischi malattia e infortunio e scelto [...] la copertura caso morte solo per il secondo, stabilendo anche la misura del premio in correlazione dell’entità della copertura, scelta che pare coerente con il criterio dell’offerta economica più vantaggiosa, dato che il decesso per malattia può essere considerato un rischio statisticamente assai più rilevante, per un medico, rispetto a quello derivante da infortunio, la cui copertura avrebbe presumibilmente implicato un premio differente. Va ricordato, a tal proposito che ‘nella assicurazione contro i danni la prestazione dell’indennità non è in rapporto di sinallagmaticità funzionale con la corresponsione dei premi da parte dell’assicurato, essendo l’obbligo fondamentale dell’assicuratore quello dell’assunzione e della sopportazione del rischio a fronte della obiettiva incertezza circa il verificarsi del sinistro e la solvibilità del terzo responsabile. Il pagamento dei premi, in altri termini, è in sinallagma con il trasferimento del rischio, non con il pagamento dell’indennizzo’, Cassazione civile sez. un., 22 maggio 2018, (ud. 13 febbraio 2018, dep. 22 maggio 2018), n.12565”.

LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO IN FASE DI SOTTOSCRIZIONE È IL TEMA CENTRALE
L’arresto ha il pregio di ricostruire in maniera molto dettagliata il contenuto del contratto guardando a esso quale unico “documento–guida” ai fini della ricostruzione della volontà delle parti, ma ben avrebbe potuto concludere per l’esclusione della copertura assicurativa mediante invocazione di un ulteriore argomento: come avrebbe potuto essere ricompreso, in polizza, il contagio da coronavirus quale infortunio, se il momento della stipula del contratto assicurativo è antecedente al diffondersi della pandemia?
Ci sembra che tale questione, non esplicitata, ma di fatto sottointesa nel percorso motivazionale dei giudici, sia una riflessione dirimente poiché, attenendo sempre alla valutazione e alla prevedibilità del rischio da parte degli assicuratori, riconduce tale valutazione alle reali consapevolezze delle parti del contratto al momento della sua conclusione. 
È opportuno ricordare che la polizza infortuni, così come la polizza malattia, sono polizze che comprendono i soli eventi assicurati: il rischio prevedibile è, dunque, l’unico rischio che un contratto di assicurazione di questo tipo può includere.
Del resto, la valutazione del rischio assicurato è il momento culminante nella genesi del contratto assicurativo e le norme che il codice civile dedica a questo aspetto (artt. 1892, 1893, 1894, 1895 c.c.), così come i documenti di valutazione del rischio sottoposti all’assicurato nella fase di conclusione del contratto, ne costituiscono ampia prova. 
La pandemia da Covid–19 ha quindi reso prevedibile un nuovo rischio, praticamente sconosciuto o comunque sottovalutato prima di allora: ricomprendere nella copertura assicurativa un evento praticamente non ponderabile al momento della conclusione della polizza costituirebbe una vera e propria forzatura della volontà contrattuale.

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