Assicuratori e vittime di infortuni sul lavoro
Il comparto assicurativo si trova ad affrontare una questione, che è al contempo sociale, economica e di gestione del rischio, di fronte ai dati pubblicati dall’Inail sugli incidenti nei luoghi di lavoro

30/06/2024
I quotidiani pubblicano ogni giorno dati allarmanti sul numero di incidenti sul lavoro e non c’è da stupirsene: secondo i dati dell’Inail, gli infortuni sul lavoro denunciati nel corso del 2023 sono stati ben 585.356, 1.041 dei quali con esito mortale.
È come dire che sono morte sul lavoro tre persone al giorno.
Inoltre sono aumentate considerevolmente le patologie di origine professionale denunciate, che sono state 72.754, con un incremento che sfiora il 20% sull’anno precedente.
In realtà, in termini assoluti, si è registrato un leggero calo complessivo, rispetto al 2022, ma i dati non sono omogenei.
Gli infortuni avvenuti sul luogo di lavoro sono passati da 607.806 del 2022 a 491.165 del 2023, dunque la riduzione appare sensibile (-19,2%), ma gli infortuni in itinere, occorsi nel tragitto dall’abitazione al posto di lavoro e viceversa, sono aumentati del 4,7%.
Il dato spezzato per settore produttivo mostra un miglioramento di quasi il 20% nell’ambito dell’industria e dei servizi, ma non si può dire altrettanto per il settore agricolo, ad esempio, che ha visto un aumento, seppure leggero.
L’Amministrazione Pubblica, che comprende l’attività sanitaria, ha registrato una riduzione del 54,8% sul 2022, ma questo dato è drogato dai numeri della pandemia, che negli anni precedenti aveva mietuto molte vittime in quest’ambito, come sappiamo.
Ci sono poi alcuni settori in controtendenza. Il manifatturiero, ad esempio, ha segnato aumenti anche considerevoli: +24,9% nel settore bevande, +22% nella fabbricazione di autoveicoli, + 8,7% nella riparazione, manutenzione e installazione di macchine e apparecchiature, + 5,4% nell’abbigliamento.
Insomma, a guardare i numeri, sembra che la situazione sia stabile o in lieve miglioramento, ma parliamo comunque di un numero altissimo di incidenti: una vera e propria strage, tale da incoraggiare il governo a intraprendere iniziative al riguardo.
I dati parziali del 2024, inoltre, prospettano un peggioramento e la questione è senza dubbio molto grave. Coinvolge tutti sul piano etico, perché è semplicemente incredibile che, al giorno d’oggi e con gli strumenti che possediamo vi siano così tanti incidenti, molti dei quali mortali, e chiama direttamente in causa il comparto assicurativo.
L’assicurazione della responsabilità datoriale in Italia: un sistema misto
La legge italiana obbliga il datore a tenere sicuro il luogo del lavoro e a coprire il lavoratore contro il rischio di infortuni e malattie professionali presso l’Inail. La materia è regolata principalmente dal DPR 1124 del 30 giugno 1965 e da numerose successive disposizioni speciali.
Inizialmente l’obbligo era limitato alle attività pericolose o che prevedevano l’uso di macchinari, ma l’evoluzione dei processi lavorativi e l’introduzione di tecnologie sempre più avanzate e pericolose hanno imposto l’estensione dell’obbligo assicurativo a quasi tutte le attività della produzione e dei servizi.
In base agli articoli 10 e 11 del DPR 30 giugno 1965 n° 1124: “L’assicurazione a norma del presente decreto (cioè l’Inail) esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro”. Ciò vuol dire che, una volta assicurati presso l’Inail, gli imprenditori non sono obbligati a contrarre anche una polizza nel mercato assicurativo privato. Tuttavia, lo stesso articolo 10 prevede un’eccezione per il caso in cui il datore di lavoro stesso o un suo dipendente abbiano riportato una condanna penale, anche senza querela di parte. La “Legge di depenalizzazione” n.689/1981 prevede poi che per le lesioni gravi (superiori a 40 giorni e con conseguenze di carattere permanente) sia comunque prevista la procedura d’ufficio, in caso di dimostrata violazione di norme antinfortunistiche.
Infine, in virtù dell’articolo11 del DPR 30 giugno 1965 n° 1124: “L’istituto assicuratore deve pagare le indennità (...), salvo il diritto di regresso per le somme pagate a titolo d’indennità e per le spese accessorie contro le persone civilmente responsabili”.
Bisogna quindi considerare che la responsabilità del datore di lavoro (o responsabilità datoriale) si configura assai facilmente, perché mantenere sicuro il luogo in cui si svolge l’attività dipende da quanto la stessa sia complessa, e le regole imposte dalla legge sono assai numerose e diversificate.
Funzionamento della polizza che assicura la Rco
Emergono dunque la necessità e l’ambito di operatività della copertura Rco (Responsabilità civile verso i prestatori d’opera, offerta dalle compagnie assicurative e valida nel caso in cui sussista una responsabilità del datore di lavoro nella causa dell’infortunio o della malattia professionale.
Il datore di lavoro, e conseguentemente il suo assicuratore, si troveranno così a essere debitori nei confronti:
- dell’Inail (ed eventualmente dell’Inps), per il rimborso della rendita e del capitale liquidati all’infortunato (azione di regresso), se ritenuti responsabili;
- dell’infortunato, per il pagamento della differenza tra quanto liquidatogli dall’Inail e l’eventuale quantificazione civilistica del danno.
In pratica, la polizza di assicurazione della Rco finisce con l’essere necessaria, perché tiene indenne il datore di lavoro per quanto sia tenuto a pagare, quale civilmente responsabile, per gli infortuni sofferti dai suoi dipendenti, includendo le azioni di rivalsa esperibili dall’Inail e dall’Inps e le richieste di risarcimento poste direttamente dai lavoratori infortunati o dai loro aventi causa.
Ma come funziona il rapporto esistente tra l’assicurazione obbligatoria prevista da Inail ed Inps e quella offerta dal mercato assicurativo privato, attraverso la polizza Rco?
La giurisprudenza al riguardo è molto ricca e si è dedicata in particolar modo alla questione che concerne se, e in quale misura, le indennità corrisposte dall’Inail al lavoratore infortunato debbano ridurre l’ammontare del danno dovuto allo stesso lavoratore dal responsabile (in questo caso, dal datore) e dal suo assicuratore.
Trattandosi del pagamento della differenza tra l’importo liquidato dall’Inail e la quantificazione civilistica del danno, definiamo questo danno differenziale.
Una delle ultime e più interessanti sentenze della Corte di Cassazione, la 30293 del 31/10/2023, affronta ad esempio come le detrazioni della quota riconosciuta dall’Inail debbano riguardare “poste di danno identiche e non semplicemente omogenee con quelle corrisposte dall’assicuratore”.
Bisogna infatti considerare che all’interno del danno alla persona esistono molte voci di danno (o poste) e che le stesse non vengono egualmente riconosciute da tutte le parti in causa.
L’assicurazione obbligatoria dell’Inail, ad esempio, non indennizza alcun danno biologico temporaneo, non tiene conto dei conteggi utilizzati dai tribunali per la cosiddetta personalizzazione del danno trattato e, in genere, non riconosce danni non patrimoniali che non abbiano un preciso fondamento medico-legale. In pratica, l’Inail non riconosce alcune voci di danno (in particolar modo per i cosiddetti danni non patrimoniali), che vengono invece conteggiate dalle Corti.
Differenza tra il danno Inail e quello liquidato dai tribunali
In assicurazione esiste il cosiddetto principio indennitario, in base al quale non è possibile che un soggetto si arricchisca o tragga comunque vantaggio dall’aver subito un danno. Quindi, il risarcimento del danno subito non può in alcun modo superare il valore del danno stesso. La regola è anche nota con l’espressione latina compensatio lucri cum damno.
Dal momento che nel nostro sistema misto accade che lo stesso danno venga risarcito da più soggetti (in questo caso, l’Inail e l’assicuratore della Rco), bisogna vigilare perché la somma dei due risarcimenti non superi l’ammontare complessivo del pregiudizio subito. Di conseguenza , il liquidatore della Rco dovrà tenere presente quanto corrisposto dall’Inail e detrarlo dall’importo da pagare, in modo che il danneggiato non guadagni dalla liquidazione.
Ma se le voci di danno sono diverse, si finirebbe per cercare di sottrarre le mele dalle pere, come dicono gli anglosassoni. Insomma, possiamo detrarre un importo da un altro solo quando si tratti di voci di danno identiche, ed è questo che la Corte di Cassazione sottolinea nella sentenza.
Pertanto, qualora l’Inail abbia riconosciuto un indennizzo a un lavoratore dipendente infortunato, il danno civile dovuto dal responsabile (cioè il danno differenziale) non potrà essere calcolato detraendo semplicemente quanto pagato dall’assicurazione obbligatoria. Bisognerà individuare criteri identici per ciascuna delle voci di indennità spettanti, il che è tutt’altro che semplice. Avremo da una parte la somma riconosciuta dall’Inail e il conteggio del tribunale dovrà essere ridotto solo per lo stesso tipo di pregiudizio utilizzato dall’Inail stessa. Dall’altra, però, il giudice civile potrà comunque concedere un risarcimento per danni morali, menomazioni temporanee e “personalizzazione”, che verrà integralmente risarcito dall’assicuratore Rco.
Un bel mal di testa per i liquidatori, soprattutto se rapportato al gran numero di sinistri, date le statistiche evidenziate in premessa.
L’analisi dei dati
Da quanto abbiamo accennato, è probabile che l’andamento tecnico delle polizze Rco esistenti nel nostro mercato non sia molto buono, ma sfortunatamente non siamo in grado di esaminare i dati di questo sotto-ramo in maniera adeguata. L’assicurazione della Rco, infatti, fa parte dell’assai più ampio ramo della Rc generale, il ramo ministeriale 13, ma le statistiche a essa relative non vengono fornite separatamente.
Ivass ed Ania ci informano su come si comporta la responsabilità civile verso terzi nel suo complesso, ma in questi dati troviamo quelli della Rct, Rco, Rc Medica e professionale, D&O etc.
Insomma, di dati aggregati, forniti dalle compagnie per la sola Rco, non ne abbiamo: possiamo sapere come evolve l’assicurazione della responsabilità senza conoscerne i particolari per sotto-ramo. Inoltre, ciascuna compagnia possiede le sue proprie statistiche e può lavorarci sopra, senza però avere la possibilità di confrontarle con quelle delle altre.
Però abbiamo i dati dell’Inail, che sono pubblici e preziosissimi, giacché offrono statistiche relative a tutti i settori economici di attività, permettendo agli attuari delle compagnie di elaborare tariffe anche molto particolareggiate. Inoltre, operano raffronti con i dati europei (attraverso Eurostat) e con quelli mondiali, forniti da enti quali l’International Labour Organization.
Certo, anche in questo caso abbiamo il problema di dover analizzare dati che siano il più possibile omogenei, perché ciascun paese funziona in modo diverso e fornisce le proprie statistiche su basi differenti. In questo caso, gli infortuni sul lavoro sono misurati, oltre che dal numero assoluto degli infortuni stessi, anche da un indicatore definito tasso standardizzato di incidenza infortunistica. Esso rappresenta il numero di incidenti sul lavoro occorsi durante l’anno per ogni 100.000 occupati, corretto per tener conto dell’influenza delle differenti strutture economiche degli Stati membri. I risultati sono sufficientemente credibili da fornirci alcune informazioni importanti, che vanno al di là della semplice possibilità di elaborare una tariffa. Una di queste ci consente di raffrontare il tasso di incidenza degli infortuni sul lavoro con quelli di altri paesi simili al nostro.
Insomma, le nostre aziende tendono a essere più sinistrose e dunque ad applicare una gestione del rischio più carente, rispetto alle loro omologhe in Francia o Germania? Anche se è difficile generalizzare, nel complesso sembrerebbe di no. I numeri di Eurostat (che però sono numeri ufficiali, ai quali sfugge tutto il sommerso, ovviamente), non evidenziano particolari carenze sotto questo aspetto; ma allora perché le statistiche dell’Inail preoccupano tanto le compagnie assicuratrici?
Un problema di risk management molto serio
La questione è che, all’interno del nostro sistema giuridico (che è reputato come particolarmente litigioso), a fare la differenza è il trattamento che riserviamo ai danni alla persona, quali sono appunto gli infortuni sul lavoro.
Svariati studi offerti dalle maggiori compagnie di riassicurazione hanno evidenziato come, a parità di danno sofferto, il risarcimento conteggiato in Italia sia più elevato che altrove. Ciò dipende principalmente dal modo in cui viene risarcito il danno non patrimoniale, cioè quella categoria del danno alla persona che delinea il pregiudizio conseguente alla lesione degli interessi dell’individuo, non connotati da rilevanza economica (che si distingue perciò dal danno patrimoniale).
Abbiamo accennato a questa categoria di danno alla persona in precedenza, perché l’Inail non ne riconosce integralmente l’applicazione. In pratica, si tratta del danno che riguarda la vita affettiva, la salute, l’onore e il prestigio della persona e non rileva sulla sua capacità di produrre reddito. Per i nostri giuristi, questa categoria di danno è molto importante, viene risarcita con un sistema a tabelle elaborato dai tribunali (in particolare, da quello di Milano) e viene costantemente aggiornata per adeguarsi all’aumento del costo della vita. Ciò che ne deriva è un continuo inasprimento della severità dei danni alla persona liquidati, che infatti continua ad aumentare, anche a fronte di una certa riduzione della frequenza, come enucleato dalle più recenti statistiche fornite dall’Ania per il ramo 13.
A questo punto è facile intuire come un aumento del numero di sinistri, applicato a una severità crescente, determini un peggioramento degli andamenti tecnici e la preoccupazione delle compagnie di assicurazione nella gestione del rischio della Rco, soprattutto se consideriamo che gli obblighi che la legge impone ai datori di lavoro, proprio per combattere l’inasprimento del numero delle vittime, diventano sempre più stringenti. Ciò prescinde dalla qualità della gestione del rischio praticata dalle aziende italiane, che rappresenta una questione direttamente collegata, ma troppo lunga e complessa per essere affrontata in questa sede.
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