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La sostenibilità sociale influirà anche sui contratti

Appena il regolamento sulla tassonomia sociale sarà approvato dalla commissione europea, nuove linee di condotta entreranno a formare il rapporto tra compagnia e cliente. La sintesi di questa nuova responsabilità verso il mercato sarà espressa nei contratti, più equi e trasparenti

La sostenibilità sociale influirà anche sui contratti hp_vert_img
Nell’articolo pubblicato su Insurance Daily n. 2589 del 3 giugno scorso ho trattato il tema della sostenibilità ambientale alla luce degli articoli 9 e 41 della Costituzione, che stabiliscono rispettivamente il diritto delle persone alla tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi e l’obbligo delle imprese a svolgere le proprie attività nel rispetto dell’utilità sociale. 
E qui sorge il grande tema della sostenibilità sociale che deve essere perseguita nel prossimo futuro dallo Stato e dalle imprese, in applicazione della normativa comunitaria già vigente e che sarà emanata a questo scopo. Come è noto, la commissione europea sta discutendo la proposta di un regolamento di tassonomia sociale che si conformi a quello sulla tassonomia ambientale del 2020.
Parlare di sostenibilità sociale significa entrare in un universo di questioni che hanno per oggetto la soddisfazione e la tutela di molti diritti, tra i quali quello a ottenere dal mercato prodotti sani e sicuri, il diritto all’alimentazione, il diritto a una abitazione dignitosa, il diritto a condizioni di lavoro sicure (mai così attuale come oggi), il diritto a un’istruzione adeguata, a trasporti e a un servizio sanitario efficienti.
Ma parlare di sostenibilità sociale vuol dire anche affrontare il tema del diritto delle persone a modelli contrattuali che siano più equi e trasparenti.
Come è noto, la tragedia della pandemia ha riaperto tra gli studiosi di diritto civile (e non solo tra questi) il dibattito sulle sopravvenienze contrattuali e sulla possibilità di rinegoziare i contratti che in quel contesto non potevano essere eseguiti.
Ma ha anche riaperto il dibattito sul ruolo dell’interprete nel modificare e integrare i contratti attraverso l’utilizzo del principio di solidarietà sociale affermato dalla Costituzione insieme alla clausola generale di buona fede prevista dall’art. 1325 del codice civile.
Nel prossimo futuro la Corte di Cassazione, con tutta probabilità, confermerà un orientamento che vede la clausola generale di buona fede e il principio di solidarietà sociale come strumenti per ottenere scopi di maggiore equità e giustizia sociale nei rapporti tra le imprese e i privati.

Sulla trasparenza si può fare di più

E nel settore assicurativo qual è la situazione?
Una maggiore equità, trasparenza e solidarietà nell’ambito dei contratti assicurativi sarà oggetto di nuove direttive e regolamenti comunitari nella prospettiva sopra delineata di una sostenibilità sociale che tenga conto della rivoluzione digitale, dell’ingresso prepotente della tecnologia e dell’impatto dell’intelligenza artificiale anche in questo settore.
Per queste ragioni, è indispensabile un maggiore sforzo culturale da parte delle compagnie per rendere più equi e trasparenti alcuni contratti assicurativi e a contenuto assicurativo finanziario o parzialmente finanziario.
L’obiezione che le compagnie faranno è che la normativa sulla trasparenza ed equità dei contratti assicurativi è già molto estesa e articolata e non si sente certo la necessità di appesantire l’ordinamento, e di riflesso le imprese, di nuove norme e nuovi obblighi. 
Ma è un dato di fatto incontestabile che, nonostante le numerose iniziative poste in essere da Ania, Ivass, intermediari e dalle stesse compagnie, lo standard contrattuale di diversi contratti vada ancora migliorato sotto il profilo dell’equità e di una maggiore comprensibilità.
Ci sono, infatti, ad esempio, alcune clausole nelle assicurazioni sulla vita a componente finanziaria e nelle assicurazioni contro gli infortuni e malattie che sono ancora poco chiare e che contengono clausole sbilanciate a favore delle imprese.
Anche certi concetti come quello dell’accidentalità dovrebbero essere chiariti meglio dalle imprese nei modelli contrattuali.
Occorre anche intervenire sulla cultura scrittoria delle compagnie (che era uno degli scopi della normativa sulla trasparenza) per rendere alcune clausole più comprensibili, eliminare le clausole vessatorie ancora presenti e diminuire il numero delle pagine di diversi contratti, che contengono anche 100/150 pagine tra condizioni generali, particolari e appendici.
Quando ci sarà una semplificazione anche sotto questo profilo?
Mi rendo conto che intervenire sui contratti per renderli più equi e trasparenti è un processo complesso, ma è necessario farlo se vogliamo un diritto assicurativo che sia al servizio di un paese moderno, sostenibile e solidale. 

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