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L'assicurazione della Responsabilità sanitaria nell'ultima versione del decreto Balduzzi: un'autentica rivoluzione d'ottobre?

Dal provvedimento evidenti elementi di precarietà e difficoltà di razionalizzazione di un impianto normativo rivelatosi, al di là della sua gestazione ultradecennale, forse troppo ambizioso per essere affidato alle dinamiche proprie di una decretazione d'urgenza. Ecco i passaggi fondamentali che illustrano il ruolo del settore assicurativo, le responsabilità di medico e paziente, con un ritorno al passato che non genera soluzioni realmente efficaci

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Dopo anni di indugi e ripensamenti, il legislatore ha preso finalmente coraggio, affermando la necessità di sorreggere il claudicante assetto della responsabilità professionale - e, soprattutto, sanitaria - con l'imposizione di un obbligo assicurativo (a tutela, in primis, dei clienti/pazienti). E lo ha fatto in modo quasi ossessivo, se è vero, come è vero, che nel breve volgere di un anno si sono succeduti ben quattro provvedimenti, tutti tesi a regolare quell'obbligo con prioritaria attenzione al comparto medico (ci riferiamo agli artt. 3 comma V° e 5 del D.L. 138/2011, all'art. 9 comma IV° del D.L. 1/2012, all'art. 5 del DPR 137/2012 e, naturalmente all'art. 3 del così detto Decreto Balduzzi" del 13 settembre 2012).

La franca apertura a un sistema di responsabilità sanitaria obbligatoriamente assicurata pareva, peraltro, implicare un necessario ripensamento circa l'attuale regime di quella responsabilità, da tempo andatosi aggravando in modo esponenziale, sino a costituire un centro di costo difficilmente sostenibile, sul versante assicurativo, se non a livelli di premio poco praticabili in concreto. In questo senso, del resto, si orientava proprio il D.L. 138/2011, il cui art. 5 comma I° già anticipava la successiva introduzione di una nuova e "specifica disciplina riguardante la
 responsabilità civile e le relative condizioni assicurative degli esercenti le professioni sanitarie".

Sull'onda di tali precedenti, e dal substrato dei pregressi tentativi normativi dipanatisi per lo più nell'arco dell'ultimo decennio (tra tutti si ricorderanno i D.D.L ad iniziativa del senatore Tomassini), ha visto dunque la luce l'ormai noto Decreto Balduzzi, il cui impatto sul difficile mercato assicurativo delle polizze di responsabilità è subito parso potenzialmente dirompente.

Non si pensava, peraltro, che una riforma a matrice sostanzialmente assicurativa potesse produrre - di rimbalzo e sul piano della responsabilità civile - effetti tanto radicali quanto quelli che sembrerebbero potersi ricavare dalla piana lettura dell'ultima versione dell'art. 3 del Decreto (così come recentemente emendato in vista della sua eventuale conversione).

Esaltazione del compito di garanzia affidato al sistema assicurativo

Enfatizzando, infatti, gli stretti legami tra responsabilità ed assicurazione - e finendo per disciplinare la prima in funzione della seconda - il "nuovo" art. 3 si apre con una ridefinizione - incidentale ma tranciante - del regime della responsabilità del medico (ma non della struttura...), ora apparentemente riportato entro l'alveo dell'illecito extracontrattuale. Il richiamo all'art. 2043 c.c. - oggi inseritosi di soppiatto, come un figurante distratto, nella nuova formulazione del primo comma dell'art. 3 - sembrerebbe cancellare in un sol colpo, se confermato, decenni di sforzi giurisprudenziali e dottrinali volti a condurre l'impegno del medico entro schemi "contrattuali" tali da offrire più sicuri appigli alle pretese risarcitorie dei pazienti in caso di malpractice.

Un così drastico revirement potrebbe - forse - spiegarsi soltanto in ottica, ed in funzione, del nuovo strumento assicurativo, reso oggi obbligatorio, anche per le strutture sanitarie (si veda l'emendamento di cui all'art. 3 comma 2 lettera c-bis del nuovo schema di testo ).

Certo, se tutto rimanesse come oggi risulta scritto, la nuova norma rischierebbe di assumere una portata innovativa tanto deflagrante da aver - probabilmente travalicato - e di molto - le intenzioni della vigilia.

Rimane il fatto che l'imposizione dell'obbligo di assicurare la responsabilità derivante dall'esercizio dell'attività sanitaria esalta il compito di garanzia affidato al sistema assicurativo, inteso quale strumento di protezione indispensabile dell'utenza e, più in generale, dei potenziali danneggiati. Parallelamente, la riformulazione dei criteri di imputazione della responsabilità (e, come vedremo, della stessa valutazione del danno e della quantificazione del compendio in concreto risarcibile), pare strutturarsi proprio attorno alla necessità di consentire all'assicurazione obbligatoria di funzionare, contando su riferimenti assuntivi meno incerti e su regimi risarcitori dal costo più controllato e perciò sostenibile.

A fronte dell'importanza dei temi toccati, lo strumento della decretazione d'urgenza non pareva essere quello più idoneo, né sembravano sussistere emergenze particolari tali da giustificare una tale fretta: soprattutto al cospetto di un dibattito protrattosi, senza mai sedimentarsi, nell'arco di più di un decennio (ed a fronte di una disciplina ancora lungi dall'essere attuabile in concreto, stante il rinvio ad un successivo decreto Presidenziale). 

Ma quel che pare evidente è che la "stampella" assicurativa, dimostrando ancora una volta la propria rilevanza sociale, costituisce oggi punto di partenza e di arrivo di un nuovo microsistema della responsabilità sanitaria (obbligatoriamente assicurata) non troppo distante da quello della R.C. Auto.

Sei punti di analisi

Entrando nel vivo del nuovo provvedimento, muoveremo, per quanto qui risulta di interesse, dalla disamina delle norme di più chiara natura assicurativa: norme che, eccezion fatta per l'introduzione di un nuovo obbligo a carico delle strutture sanitarie pubbliche e private (art 3 lettera c bis), sono passate al vaglio delle commissioni permanenti senza subire particolari modificazioni rispetto al testo di partenza, attualmente in vigore.
Gli aspetti che meritano di essere evidenziati sono, in fase di prima lettura critica, sei:

1)L'obbligo assicurativo riguarda gli "esercenti le professioni sanitarie", ma non è chiaro se sia esteso, oltre che ai liberi professionisti, anche ai medici dipendenti da strutture sanitarie; il riferimento al momento dell'assunzione dell'incarico (contenuto nel D.L. 138, di cui il "Balduzzi" costituisce attuazione) parrebbe presupporre un rapporto contrattuale diretto tra singolo professionista e paziente. Il contenuto del primo comma dell'art. 3, viceversa, implicando temi di responsabilità penale e richiamando la disciplina dell'art. 2043 c.c. sembrerebbe riferirsi a contesti diversi e non presidiati da alcun rapporto professionale di tipo contrattuale diretto.

2)Rimane oscuro quale sia il paradigma "minimo ed essenziale" della copertura obbligatoria "idonea". Per quanto l'argomento sembri destinato ad esser regolato nella successiva decretazione attuativa, pare sin d'ora potersi sostenere che una polizza obbligatoria, prima ancora di proteggere il patrimonio del medico responsabile, debba assolvere ad una funzione di effettiva tutela del paziente/danneggiato (come del resto espressamente dichiarato dall'art. 3 comma 5 lettera E del D.L. 138/2011). Ciò equivale a dire che il professionista non potrà adempiere l'obbligo assicurativo ricorrendo a coperture incomplete o ad una sola polizza che, strutturata secondo il modello "Claims made", lasci scoperti ambiti di garanzia correlati ad episodi di malpractice relativi ad attività svolte a favore del paziente in costanza di incarico e da questi non denunziati se non in una fase successiva alla cessazione della copertura assicurativa. Tale difficoltà potrebbe (meglio: dovrebbe) essere superata laddove venisse introdotta, in futuro, la regola di inopponibilità delle eccezioni contrattuali nei confronti di terzi, sulla falsa riga di quanto stabilito dall'art. 144 del CAP per la rc auto;

3) E' stabilita l'istituzione di un Fondo, probabilmente destinato ad intervenire in tutte le ipotesi in cui il professionista (e non anche la struttura..) non riesca a reperire sul mercato (in mancanza di un obbligo a contrarre a carico delle imprese di assicurazione), una copertura idonea e completa (devesi ritenere: a condizioni di premio sostenibile). Può immaginarsi, nelle more della futura attuazione, che tale fondo opererà in guisa di bad company ovvero sulla falsa riga di quanto già oggi avviene in Francia (bureaux de tarification);

4) Manca, per l'assicurazione professionale, la previsione di un'azione diretta a tutela del danneggiato; previsione, invece, del tutto incoerentemente introdotta nella nuova assicurazione obbligatoria delle strutture. Copertura, tale ultima, la cui componente obbligatoria è limitata - e non riusciamo a comprenderne il perché - alla responsabilità per colpa (e non per dolo) degli operatori sanitari e degli amministratori (questi ultimi in relazione alle carenze organizzative o di presidi). L'obbligo di assicurarsi in capo alle strutture sembra, infine, far venir meno la possibilità, da talune regioni già sperimentata, di ricorrere, in misura totale o parziale, a sistemi di c.d. "autoassicurazione";

5) I contratti di assicurazione dovranno prevedere la possibilità di assicurarsi "in base a condizioni che dispongano alla scadenza una variazione in aumento o in diminuzione del premio in relazione al verificarsi o meno di sinistri" (una sorta di bonus malus del medico.); non solo: il riferimento al potere di disdetta dell'impresa assicurativa (limitato alle sole ipotesi di reiterazione della condotta colposa del sanitario, accertata con sentenza definitiva) rivela l'obbligatorietà di meccanismi di durata della polizza con rinnovo automatico.

6)Ai sensi del comma 3, il danno biologico dovrà essere risarcito sulla base delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del cap. Tale disposizione, confermando la volontà di ricalcare le logiche autoctone e le regole proprie del sistema della rc auto (obbligatoriamente assicurata), finisce per importare, nel comparto della responsabilità sanitaria, i grandi dubbi rimasti aperti, in dottrina e giurisprudenza, a proposito della effettiva onnicomprensività della nozione codicistica di danno biologico (con particolare riferimento alla questione del "danno morale") e della insuperabilità dei limiti imposti per legge al potere di personalizzazione giudiziale. Il tutto senza considerare come l'attuale formulazione della norma potrebbe, invece, autorizzare un'interpretazione più stretta e tesa ad escludere che la nuova disposizione abbia inteso richiamare anche quei limiti di personalizzazione (del resto non espressamente menzionati dalla disposizione). E' comunque singolare il fatto che le tabelle di cui all'art. 138, pur assunte quale riferimento di legge, non siano a tutt'oggi venute alla luce.

Riflessi sulla responsabilità civile e penale del medico

Evidenti, dunque, la precarietà e le difficoltà di razionalizzazione di un impianto normativo rivelatosi, al di là della sua gestazione ultradecennale, forse troppo ambizioso per essere affidato alle dinamiche proprie di una decretazione d'urgenza. Tanto più in considerazione dei riflessi della riforma sugli assetti della responsabilità civile (e penale) del medico.

Al riguardo, il primo comma dell 'art. 3 sembra aver acquisito, nella sua ultima (e non ancora definitiva) veste, una portata travolgente; un vero e proprio "tsounami" in quello che , almeno fino a pochi giorni fa, pareva ormai un placido (seppur ambiguo) approdo. La disposizione recita : "L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'art. 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo." Va segnalato che la modifica dell'art. 3, nei termini qui trascritti, costituisce attuazione della "condizione" posta dalla Commissione Giustizia ai fini del proprio "imprimatur": il testo "originario" (sottoposto all'esame ai fini del parere) prevedeva, invero, che "L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale, risponde dei danni derivanti da tali attività solo nei casi di dolo e colpa grave".

L'aspetto sensazionale è rappresentato dal rinvio all'art. 2043 cc.: un riferimento espresso e preciso, che lascia pochi margini all'interprete e finisce per condurre a soluzioni obbligate. Se si valorizza a tutto tondo il dato "letterale", la prima impressione che se ne trae è che il legislatore abbia voluto fare un salto indietro nel tempo: un colpo di spugna, per cancellare la consolidata elaborazione giurisprudenziale e ricondurre la responsabilità del medico nell'alveo aquiliano (ossia in quella che, circa vent'anni prima, era la sua dimora "abituale", secondo l'impostazione all'epoca dominante ). 

Certo, un cambiamento così drastico avrebbe meritato (almeno) una "nota di accompagnamento": nel parere reso dalla Commissione Giustizia , invece, non si trova alcun riferimento specifico né al quadro pretorio preesistente (su cui domina una notissima pronuncia della Suprema Corte), né alle diatribe dottrinali (sulla possibilità o meno di assimilare il professionista ad un quisque de populo), né alle ragioni che dovrebbero giustificare un così radicale revirement.
Nella relazione si afferma solo che la modifica dell'art. 3 (nei termini di cui sopra) mira ad evitare che "la limitazione della responsabilità civile per danni ai soli casi di dolo e colpa grave nel caso in cui l'esercente la professione sanitaria si sia tenuto, nello svolgimento della propria attività, a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale" sia "in contrasto con il principio costituzionale di ragionevolezza in quanto per un medesimo fatto un soggetto potrebbe essere penalmente responsabile ma non civilmente rispetto ai danni derivanti dal reato commesso".

Tale preoccupazione sembra muovere dalla consapevolezza dell'esistenza di un (consolidato) orientamento giurisprudenziale che nega l'applicabilità dell'art. 2236 c.c. all'ambito penalistico; da qui l'avvertita necessità di evitare incongruenze e, quindi, di apportare le (sopra dette) variazioni.

Ma il nuovo testo contiene, nella sua monolitica ed "ingombrante" portata, un preciso riferimento all'art. 2043 del codice civile. E si è già osservato, in apertura, come il dato letterale autorizzi ed avalli una opzione ermeneutica "forte", di rottura. Resta da chiedersi se vi siano altre vie: si potrebbe sostenere che l'indicazione legislativa non sia "tassativa" ma lasci aperta la possibilità del cd. cumulo ( o concorso proprio) tra responsabilità contrattuale ed aquiliana; tale lettura, tuttavia, non convince perché , stando all'incipit del secondo periodo ("In tali casi"), la doppia tutela (e quindi il rafforzamento , almeno in tesi, della posizione del danneggiato) verrebbe ad essere accordata al paziente (solo) nelle ipotesi di colpa lieve; il che è un controsenso (dovendo semmai valere l'opposto). Contro tale ricostruzione pare poi deporre il rilievo per cui, alla luce del dictum delle famose sentenze gemelle del novembre 2008, la tesi del cumulo dovrebbe dirsi oggi archiviata.

E allora delle due l'una: o il richiamo all'art. 2043 cc. è del tutto aspecifico o casuale, oppure si è di fronte ad una chiara presa di posizione.
Seguendo tale seconda prospettiva, non può non cogliersi l'effetto dirompente: ove la norma, in questa livrea dell'ultim'ora, dovesse trovare definitiva conferma, si aprirebbe uno scenario nuovo ed al tempo stesso antico. Si tornerebbe cioè alla situazione antecedente alla pronuncia della Cassazione 589/1999 che ravvisò nel "contatto sociale" la fonte di un vero e proprio "obbligo" di protezione, la cui violazione costituiva "inadempimento" ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1218 cc..Ed è facile intuire quali siano le conseguenze di un tale rovesciamento di prospettiva: spetterà al paziente dimostrare.. tutto, ossia la condotta colposa, il nesso, il danno.. Per non parlare della prescrizione, ridotta, per un tratto di penna, da dieci e cinque anni. Si tratterebbe poi di capire come dovrebbero atteggiarsi i rapporti processuali: ove il malato convenga in giudizio sia la struttura che il singolo professionista, nell'ipotesi in cui l'evento lesivo sia dipeso dalla condotta di quest'ultimo, l'accertamento della colpa del sanitario (da effettuarsi secondo la logica aquiliana) diverrebbe presupposto indefettibile per l'affermazione della responsabilità (questa volta, però, ex contractu) dell'ente..

La determinazione del risarcimento del danno

Un ritorno al passato, dunque, che, con chiare finalità di "tutela" del medico, dischiude prospettive da esplorare e, con esse, nuovi problemi.
Ed è proprio tra le pieghe di tale sipario che si registra una ulteriore significativa apertura: ci riferiamo alla parte finale dell'art. 3, laddove si afferma che "Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo". Il che sta a significare, se non ci inganniamo, che il rispetto delle linee guida può venire in rilievo non solo ai fini della valutazione dell'an, ma anche per la "determinazione" del quantum: sembra dunque che l'accertamento della colpa lieve o, per converso di quella grave, possa (o addirittura debba, se si pone l'accento sull'avverbio "debitamente") di per sé fondare una diminuzione ovvero, correlativamente, un aumento delle poste risarcitorie, in una dimensione che pare a tutti gli effetti ispirata a quella del danno punitivo (a cui peraltro la giurisprudenza ha negato cittadinanza nel nostro ordinamento).

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