Le responsabilità del promotore
15/05/2012
La disciplina concernente la responsabilità per fatto illecito del promotore finanziario e del vincolo di solidarietà sussistente tra quest'ultimo e l'intermediario, avente come matrice l'art. 2049 del Codice Civile, è da inquadrarsi nell'ambito della cosiddetta responsabilità oggettiva" ed ha subito nel tempo innumerevoli modifiche.
Il primo intervento specifico in materia è rappresentato dalla Legge 2 Gennaio 1991 n°1 ("Disciplina dell'attività di intermediazione mobiliare e disposizioni sull'organizzazione dei mercati mobiliari"), la quale, all' art. 5, comma 4°, sanciva il principio della responsabilità solidale anche per i danni conseguenti a responsabilità accertata in sede penale.
Tale disposizione è stata fatta propria, in modo pressochè integrale, dall'art. 23 del D. Lgs. n°45 del 1996 (c.d. decreto Eurosim), nonchè, successivamente, dall' art. 31 del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, le quali stabiliscono che "il soggetto abilitato che conferisce l'incarico è responsabile in solido dei danni arrecati ai terzi dai promotori finanziari, anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale".
La norma de qua, pur non precisando che i danni devono essere arrecati nello svolgimento delle incombenze affidate, presuppone certamente la sussistenza di un tale requisito, e ciò in quanto, diversamente, si discosterebbe da quello che è un principio cardine in materia di responsabilità oggettiva: quello secondo il quale, tale tipo di responsabilità si giustifica unicamente in presenza di un nesso tra la condotta lesiva e il rapporto che lega l'intermediario al danneggiante.
A tale riguardo, la Suprema Corte, con orientamento ormai costante, ritiene sufficiente che tra l'esercizio dell'incarico e la consumazione dell'illecito intercorra un nesso di "occasionalità necessaria" (ex pluribus Cass. civ., Sez. III, 25/01/2011, n. 1741).
In altre parole, non occorre che sussista un rigoroso nesso di causa ed effetto, essendo sufficiente che il compito svolto abbia determinato una situazione tale da agevolare e rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso.
Il committente, il quale voglia esimersi dall'obbligo al risarcimento, dovrà provare l'insussistenza del rapporto di preposizione o del nesso di occasionalità necessaria fra le incombenze affidate e la consumazione dell'illecito.
PROMOTORE E TUTELA DEL RISPARMIATORE
In tale contesto, inoltre, si inserisce la delicata questione della possibilità di configurare un concorso del creditore - risparmiatore nella causazione dell'illecito.
A tale riguardo, si registrano in Giurisprudenza due distinti orientamenti.
Un primo orientamento favorevole all'applicazione dell'art. 1227 del Codice Civile sulla scorta essenzialmente della considerazione che, seppur è vero che le norme dettate in materia sono poste a tutela del risparmiatore (contraente debole), è anche vero che esse pongono a carico dello stesso un onere di collaborazione finalizzato a evitare la appropriazione indebita da parte del promotore (si veda a tale proposito, tra le tante, Cass. civ., Sez. III, 29/09/2005, n. 19166 o Trib. Milano, 11/06/1998).
Un secondo orientamento, meno risalente e ormai maggioritario, secondo il quale una applicazione dell'art. 1227 cc porterebbe alla vanificazione dello scopo della normativa di settore, finalizzata alla tutela del risparmiatore, e alla responsabilizzazione dell'intermediario (soggetto in grado più degli altri di "vigilare" sulla condotta del proprio preposto)
Quanto sopra, fatto salvo il caso in cui vi sia collusione tra il promotore ed il risparmiatore, o quantomeno quest'ultimo sia consapevole della contrarietà del comportamento posto in essere dal primo alle regole di condotta.
Siffatta ultima impostazione è stata di recente confermata dalla Terza Sezione Civile della Suprema Corte con la sentenza 16 Novembre 2011 n°24004.
In tale decisione i Giudici di legittimità hanno affrontato il caso di un risparmiatore il quale, dopo aver sottoscritto i necessari moduli per l'investimento, ed aver pertanto assunto l'obbligo di corrispondere il denaro con le modalità ivi previste, ha invece consegnato le somme de quibus in contanti, agevolando, secondo la prospettazione dell'istituto bancario, l'appropriazione delle stesse da parte del promotore.
Dopo due gradi di giudizio, la questione è per l'appunto giunta in Cassazione, davanti alla quale l'intermediario ha denunciato la violazione e falsa applicazione, da parte della Corte d'appello, dell'art. 1227 del Codice Civile, e ciò per non aver ridotto il risarcimento spettante al risparmiatore, "colpevole" di aver violato le regole, previste all'interno dei moduli, in base alle quali era espressamente vietato l'utilizzo del denaro contante.
La Suprema Corte, in adesione a quell'orientamento che potremmo definire "garantista", ha rigettato il ricorso proposto dall'istituto bancario ribadendo il principio secondo il quale "In tema di intermediazione finanziaria la mera circostanza che il cliente abbia consegnato al promotore somme di denaro con modalità difformi da quelle con cui quest'ultimo sarebbe stato legittimato a riceverle non esclude, in caso di indebita appropriazione di tali somme da parte del promotore, la responsabilità solidale dell'intermediario preponente per il fatto illecito commesso dal promotore, né - in mancanza di ulteriori elementi - può costituire da sola concausa del danno subito dall'investitore ovvero fatto idoneo a ridurre l'ammontare del risarcimento, ai sensi dell'art. 1227, rispettivamente commi primo e secondo, cod. civ.".
Il primo intervento specifico in materia è rappresentato dalla Legge 2 Gennaio 1991 n°1 ("Disciplina dell'attività di intermediazione mobiliare e disposizioni sull'organizzazione dei mercati mobiliari"), la quale, all' art. 5, comma 4°, sanciva il principio della responsabilità solidale anche per i danni conseguenti a responsabilità accertata in sede penale.
Tale disposizione è stata fatta propria, in modo pressochè integrale, dall'art. 23 del D. Lgs. n°45 del 1996 (c.d. decreto Eurosim), nonchè, successivamente, dall' art. 31 del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, le quali stabiliscono che "il soggetto abilitato che conferisce l'incarico è responsabile in solido dei danni arrecati ai terzi dai promotori finanziari, anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale".
La norma de qua, pur non precisando che i danni devono essere arrecati nello svolgimento delle incombenze affidate, presuppone certamente la sussistenza di un tale requisito, e ciò in quanto, diversamente, si discosterebbe da quello che è un principio cardine in materia di responsabilità oggettiva: quello secondo il quale, tale tipo di responsabilità si giustifica unicamente in presenza di un nesso tra la condotta lesiva e il rapporto che lega l'intermediario al danneggiante.
A tale riguardo, la Suprema Corte, con orientamento ormai costante, ritiene sufficiente che tra l'esercizio dell'incarico e la consumazione dell'illecito intercorra un nesso di "occasionalità necessaria" (ex pluribus Cass. civ., Sez. III, 25/01/2011, n. 1741).
In altre parole, non occorre che sussista un rigoroso nesso di causa ed effetto, essendo sufficiente che il compito svolto abbia determinato una situazione tale da agevolare e rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso.
Il committente, il quale voglia esimersi dall'obbligo al risarcimento, dovrà provare l'insussistenza del rapporto di preposizione o del nesso di occasionalità necessaria fra le incombenze affidate e la consumazione dell'illecito.
PROMOTORE E TUTELA DEL RISPARMIATORE
In tale contesto, inoltre, si inserisce la delicata questione della possibilità di configurare un concorso del creditore - risparmiatore nella causazione dell'illecito.
A tale riguardo, si registrano in Giurisprudenza due distinti orientamenti.
Un primo orientamento favorevole all'applicazione dell'art. 1227 del Codice Civile sulla scorta essenzialmente della considerazione che, seppur è vero che le norme dettate in materia sono poste a tutela del risparmiatore (contraente debole), è anche vero che esse pongono a carico dello stesso un onere di collaborazione finalizzato a evitare la appropriazione indebita da parte del promotore (si veda a tale proposito, tra le tante, Cass. civ., Sez. III, 29/09/2005, n. 19166 o Trib. Milano, 11/06/1998).
Un secondo orientamento, meno risalente e ormai maggioritario, secondo il quale una applicazione dell'art. 1227 cc porterebbe alla vanificazione dello scopo della normativa di settore, finalizzata alla tutela del risparmiatore, e alla responsabilizzazione dell'intermediario (soggetto in grado più degli altri di "vigilare" sulla condotta del proprio preposto)
Quanto sopra, fatto salvo il caso in cui vi sia collusione tra il promotore ed il risparmiatore, o quantomeno quest'ultimo sia consapevole della contrarietà del comportamento posto in essere dal primo alle regole di condotta.
Siffatta ultima impostazione è stata di recente confermata dalla Terza Sezione Civile della Suprema Corte con la sentenza 16 Novembre 2011 n°24004.
In tale decisione i Giudici di legittimità hanno affrontato il caso di un risparmiatore il quale, dopo aver sottoscritto i necessari moduli per l'investimento, ed aver pertanto assunto l'obbligo di corrispondere il denaro con le modalità ivi previste, ha invece consegnato le somme de quibus in contanti, agevolando, secondo la prospettazione dell'istituto bancario, l'appropriazione delle stesse da parte del promotore.
Dopo due gradi di giudizio, la questione è per l'appunto giunta in Cassazione, davanti alla quale l'intermediario ha denunciato la violazione e falsa applicazione, da parte della Corte d'appello, dell'art. 1227 del Codice Civile, e ciò per non aver ridotto il risarcimento spettante al risparmiatore, "colpevole" di aver violato le regole, previste all'interno dei moduli, in base alle quali era espressamente vietato l'utilizzo del denaro contante.
La Suprema Corte, in adesione a quell'orientamento che potremmo definire "garantista", ha rigettato il ricorso proposto dall'istituto bancario ribadendo il principio secondo il quale "In tema di intermediazione finanziaria la mera circostanza che il cliente abbia consegnato al promotore somme di denaro con modalità difformi da quelle con cui quest'ultimo sarebbe stato legittimato a riceverle non esclude, in caso di indebita appropriazione di tali somme da parte del promotore, la responsabilità solidale dell'intermediario preponente per il fatto illecito commesso dal promotore, né - in mancanza di ulteriori elementi - può costituire da sola concausa del danno subito dall'investitore ovvero fatto idoneo a ridurre l'ammontare del risarcimento, ai sensi dell'art. 1227, rispettivamente commi primo e secondo, cod. civ.".
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