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Se il capitale torna a casa

In vista del rientro delle somme detenute all’estero, a seguito dell’introduzione della procedura di voluntary disclosure, le unit linked rappresentano un’interessante opportunità di investimento nel nostro Paese

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In un contesto internazionale che vede l’evasione fiscale e i fatti di frode perseguiti con sempre maggiore determinazione e incisività, l’Italia ha introdotto una procedura straordinaria di collaborazione volontaria, cosiddetta voluntary disclosure, nata con lo scopo di riportare nel nostro Paese le somme che, negli anni, sono state trasferite, generate e/o detenute all’estero in violazione delle norme sul monitoraggio fiscale. 

Si tratta di uno strumento che, come avvenuto in passato con gli scudi fiscali, consente ai contribuenti che detengono illecitamente patrimoni all’estero di riparare alle infedeltà dichiarative commesse, e porre le basi per un futuro rapporto di reciproca fiducia con il Fisco.  La denuncia spontanea all’amministrazione finanziaria, prevista dalla voluntary disclosure, presenta, però, profonde differenze col passato, prima fra tutte (ma non unica) il suo essere completa, totale e dettagliata, dovendo essa ricomprendere ogni violazione, inclusa nel perimetro oggettivo di applicazione della norma, commessa dal contribuente in ciascuno degli anni accertabili oggetto di regolarizzazione.

Le amministrazioni fiscali dei Paesi più avanzati operano da tempo attraverso strategie comuni e condivise per contrastare gli illeciti fiscali, anche grazie alle facilitazioni introdotte con lo scambio automatico di informazioni fiscali e l’ottimizzazione del loro utilizzo, cui recentemente hanno aderito la Svizzera, il Liechtenstein e il Principato di Monaco, ponendo fine al cosiddetto segreto bancario.

Le stime sugli importi che saranno oggetto di collaborazione volontaria non sono uniformi; vero è che ci si aspetta un ingente flusso di capitali in rientro, fosse anche solo per il fatto che il provvedimento pare presentarsi come l’ultima occasione che il Fisco è disposto a concedere ai contribuenti. In molti, dunque, si chiedono come investire tali somme, una volta conclusa la procedura di regolarizzazione.  

Le polizze finanziarie: un’alternativa da valutare 

Tra i molti strumenti a disposizione del private banking vi sono certamente anche le polizze vita a contenuto finanziario, che godono ancora di alcuni vantaggi fiscali e di tutela del sottoscrittore, come l’assenza di imposta di successione, in caso di decesso o l’impignorabilità e insequestrabilità delle somme dovute ai beneficiari, ove la polizza fosse stata sottoscritta per fini previdenziali. 

Non può nascondersi che spesso in passato tali prodotti siano stati abusati e snaturati nella loro essenza, soprattutto in occasione degli scudi fiscali, prestando il fianco a numerose critiche e a pronunce fiscali e giurisprudenziali volte soprattutto a giudicarne la natura sostanziale (assicurativa, finanziaria o mista) e la tenuta in termini di protezione. Da ultimo, sono note le recenti vicende riguardanti l’indagine, in corso presso la Procura di Milano, a carico di un elenco di circa mille soggetti, i quali avrebbero sottoscritto polizze cosiddetto mantello, emesse da una compagnia delle Bermuda con lo scopo di distrarre all’Erario circa 8 miliardi di euro. 

Negli anni, il sistema ha reagito agli attacchi costruendo prodotti assicurativi di nuova generazione. Si tratta di polizze unit linked che, pur continuando a presentare una forte finanziarizzazione del sottostante, memori delle indicazioni della giurisprudenza che ha attribuito forte rilevanza all’effettiva presenza di un rischio demografico in capo all’assicuratore, tendono a mitigare il rischio di riqualificazione offrendo una copertura caso morte più elevata e spesso offrendo ai clienti una serie di ulteriori coperture e garanzie opzionali.  


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