Previdenza, ferma al palo
Assoprevidenza lancia le sue proposte e critica il Governo sulla legge di stabilità e il ddl concorrenza
23/07/2015
La previdenza complementare in Italia non scoppia di salute. E oggi i soggetti privi di un’adeguata copertura previdenziale sono anche quelli appartenenti alle categorie più a rischio: giovani, donne e cittadini residenti nelle regioni meridionali. A distanza di oltre 20 anni dall’entrata in vigore della regolamentazione (nel ’92), e a dieci anni dalla sua riforma (2005), il comparto appare tendenzialmente statico. Il numero di fondi di nuova istituzione infatti (negoziali e aperti) è ormai stabilizzato. A scattare l’istantanea poco edificante è il presidente di Assoprevidenza Sergio Corbello, nel corso del seminario sui nuovi scenari in materia di previdenza e assistenza complementare che si è tenuto ieri al Palazzo Parigi di Milano.
Le maggiori criticità, secondo il numero uno di Assoprevidenza, si registrano sul fronte delle adesioni. Sebbene il numero degli aderenti sia pari a 6,5 milioni, questo rappresenta comunque meno del 30% degli occupati. Inoltre, da cinque anni a questa parte, anche a causa della crisi economica, si segnala una diminuzione sulle adesioni ai fondi negoziali di nuova istituzione che, unita alla contrazione fisiologica, fa registrare un -5% dal 2008. Infine, se vengono prese in considerazione anche le sospensioni degli apporti contributivi, considerando gli iscritti al netto di coloro che hanno interrotto i versamenti, il tasso di adesione rispetto agli occupati si riduce al 22,3%. Mentre la parte del leone è da attribuire ai fondi aperti e, soprattutto, ai Pip che a fine 2014, detenevano oltre il 50% del totale degli aderenti alla previdenza complementare. Un contesto che induce a una riflessione: “occorre riconsiderare il ruolo centrale della contrattazione collettiva per sviluppare adesioni del mondo dei lavoratori subordinati”, evidenzia il presidente dell’associazione. Un provvedimento, questo, che secondo Corbello può essere assunto in tempi rapidi, visto che la normativa vigente al riguardo non presenta elementi ostativi. Inoltre, anche la Cassa depositi e prestiti dovrebbe “studiare qualche strumento per la previdenza”.
Quell’equivoco sulla previdenza complementare
L’assetto previdenziale complessivo del Paese, a margine dei recenti interventi legislativi, presenta una serie di interrogativi di fondo. E Corbello non usa giri di parole per commentare la Legge di stabilità e il ddl concorrenza evidenziando un sostanziale dissenso per via dell’approccio utilizzato, ritenuto “punitivo e potenzialmente distruttivo”.
Corbello sostiene che il Governo abbia “totalmente equivocato il ruolo assolto dalle forme di previdenza complementare (e va aggiunto anche delle Casse professionali di primo pilastro) considerando i fondi alla stregua di prodotti finanziari”. Un metodo che è stato ritenuto sbagliato su diversi punti.
Tfr in busta paga, più saggi i governati dei governanti
Assoprevidenza rimarca che per raggiungere la soglia minima per un piano pensionistico efficace è necessaria un’aggiunta di 2 o 3 punti sul Tfr (allo stato circa 7% di contribuzione) di ulteriore contribuzione da ripartire tra datore di lavoro e lavoratore. L’associazione ha manifestato perplessità anche sull’anticipo del Tfr in busta che, oltre al rischio di impoverire l’assegno pensionistico futuro, graverebbe in maniera significativa sul bilancio delle piccole e medie imprese: ossia proprio quelle che sono alle prese con il credit crunch e in difficoltà ad accedere al credito. Stando alle prime stime sull’operatività del provvedimento introdotto dal Governo per rilanciare i consumi, non sembra che la misura abbia riscontrato il favore dei destinatari. Sulla questione Corbello chiosa con una battuta: “sembra di poter dire che talora si mostrano più saggi i governati dei governanti”.
Fondi, una tassazione pesante
Assopreviedenza reputa che la fiscalità sulla tassazione dei rendimenti conseguiti dai fondi pensione sia impattante, e non vada nella giusta direzione. E questo con particolare riferimento al regime tributario che deroga rispetto all’impostazione comunitaria, sintetizzabile nell’acronimo E/e/t: esenzione da imponibilità fiscale per una ragionevole misura di apporti contributivi pro anno; esenzione totale da prelievo tributario dei rendimenti tempo per tempo conseguiti; tassazione delle prestazioni in capo al singolo.
L’osservazione critica mossa è relativa allo schema seguito in Italia, che presenta una modesta esenzione per l’apporto contributivo (poco più di 5 mila euro l’anno); tassazione agevolata dei rendimenti (in passato 11%, poi 11,50% sul maturato e non già sul realizzato) tassazione di estremo favore per le prestazioni (al momento pressoché inesistenti), con riconoscimento di un credito di imposta per i tributi già pagati sui rendimenti (sottratti, quindi, a ulteriore tassazione quando percepiti in sede di prestazione). “L’aggravio dell’aliquota al 20% sul maturato – ammonisce Corbello – da un lato rende addirittura più pesante il prelievo fiscale per i fondi pensione rispetto a un prodotto finanziario, per il quale è prevista l’aliquota del 26% sul realizzato, dall’altro depaupera pesantemente la capacità di accumulo dei fondi, con gravi riflessi riduttivi sulle prestazioni in futuro erogate agli iscritti (derivanti dalla conversione in rendita dei montanti individuali) e ridotta possibilità di assolvere al ruolo di investitori istituzionali”. Infine, Assoprevidenza rileva come una deroga “così pesante allo schema generale europeo E/e/t/, rappresenti un grave ostacolo alla portabilità intracomunitaria delle posizioni individuali pensionistico complementari dei lavoratori italiani e, conseguentemente, ne limita la libera circolazione all’interno della Ue”. In questo modo, trasferendo la posizione individuale da un fondo italiano a uno europeo, infatti, il lavoratore italiano perde tutti i crediti di imposta maturati sui rendimenti e sarebbe nuovamente tassato in toto, all’atto di fruire delle prestazioni.
Assistenza complementare e l’anagrafe “fantasma”
Dal 2009 non si muove nulla. A ciò si aggiunga la “totale assenza di trasparenza da parte dell’anagrafe dei fondi sanitari”. Ci si trova così con una normativa quadro che, diversamente da quanto avvenuto per la previdenza complementare, non ha ancora trovato una soluzione univoca ed esaustiva. A tracciare lo scenario è la coordinatrice tecnica di Assoprevidenza, Laura Crescentini, che rileva “la forte eterogeneità del comparto” che “non appare idonea a realizzare una copertura sanitaria di secondo livello funzionale a fornire una risposta efficace ai bisogni sanitari quali si delineano oggi alla luce delle difficoltà budgetarie e alle sfide connesse all’invecchiamento della popolazione, realtà con le quali deve confrontarsi il servizio sanitario nazionale”. Cosa fare dunque? “È necessario – sottolinea Crescentini – un provvedimento di carattere legislativo che non si limiti a superare le significative incertezze applicative della disciplina vigente, ma realizzi altresì il passaggio dal concetto di mera integrazione a quello di complementarietà”. E ciò con un “adeguato grado di flessibilità, nella consapevolezza della necessità di non compromettere l’operatività delle importanti e numerose realtà del settore”.
Le maggiori criticità, secondo il numero uno di Assoprevidenza, si registrano sul fronte delle adesioni. Sebbene il numero degli aderenti sia pari a 6,5 milioni, questo rappresenta comunque meno del 30% degli occupati. Inoltre, da cinque anni a questa parte, anche a causa della crisi economica, si segnala una diminuzione sulle adesioni ai fondi negoziali di nuova istituzione che, unita alla contrazione fisiologica, fa registrare un -5% dal 2008. Infine, se vengono prese in considerazione anche le sospensioni degli apporti contributivi, considerando gli iscritti al netto di coloro che hanno interrotto i versamenti, il tasso di adesione rispetto agli occupati si riduce al 22,3%. Mentre la parte del leone è da attribuire ai fondi aperti e, soprattutto, ai Pip che a fine 2014, detenevano oltre il 50% del totale degli aderenti alla previdenza complementare. Un contesto che induce a una riflessione: “occorre riconsiderare il ruolo centrale della contrattazione collettiva per sviluppare adesioni del mondo dei lavoratori subordinati”, evidenzia il presidente dell’associazione. Un provvedimento, questo, che secondo Corbello può essere assunto in tempi rapidi, visto che la normativa vigente al riguardo non presenta elementi ostativi. Inoltre, anche la Cassa depositi e prestiti dovrebbe “studiare qualche strumento per la previdenza”.
Quell’equivoco sulla previdenza complementare
L’assetto previdenziale complessivo del Paese, a margine dei recenti interventi legislativi, presenta una serie di interrogativi di fondo. E Corbello non usa giri di parole per commentare la Legge di stabilità e il ddl concorrenza evidenziando un sostanziale dissenso per via dell’approccio utilizzato, ritenuto “punitivo e potenzialmente distruttivo”.
Corbello sostiene che il Governo abbia “totalmente equivocato il ruolo assolto dalle forme di previdenza complementare (e va aggiunto anche delle Casse professionali di primo pilastro) considerando i fondi alla stregua di prodotti finanziari”. Un metodo che è stato ritenuto sbagliato su diversi punti.
Tfr in busta paga, più saggi i governati dei governanti
Assoprevidenza rimarca che per raggiungere la soglia minima per un piano pensionistico efficace è necessaria un’aggiunta di 2 o 3 punti sul Tfr (allo stato circa 7% di contribuzione) di ulteriore contribuzione da ripartire tra datore di lavoro e lavoratore. L’associazione ha manifestato perplessità anche sull’anticipo del Tfr in busta che, oltre al rischio di impoverire l’assegno pensionistico futuro, graverebbe in maniera significativa sul bilancio delle piccole e medie imprese: ossia proprio quelle che sono alle prese con il credit crunch e in difficoltà ad accedere al credito. Stando alle prime stime sull’operatività del provvedimento introdotto dal Governo per rilanciare i consumi, non sembra che la misura abbia riscontrato il favore dei destinatari. Sulla questione Corbello chiosa con una battuta: “sembra di poter dire che talora si mostrano più saggi i governati dei governanti”.
Fondi, una tassazione pesante
Assopreviedenza reputa che la fiscalità sulla tassazione dei rendimenti conseguiti dai fondi pensione sia impattante, e non vada nella giusta direzione. E questo con particolare riferimento al regime tributario che deroga rispetto all’impostazione comunitaria, sintetizzabile nell’acronimo E/e/t: esenzione da imponibilità fiscale per una ragionevole misura di apporti contributivi pro anno; esenzione totale da prelievo tributario dei rendimenti tempo per tempo conseguiti; tassazione delle prestazioni in capo al singolo.
L’osservazione critica mossa è relativa allo schema seguito in Italia, che presenta una modesta esenzione per l’apporto contributivo (poco più di 5 mila euro l’anno); tassazione agevolata dei rendimenti (in passato 11%, poi 11,50% sul maturato e non già sul realizzato) tassazione di estremo favore per le prestazioni (al momento pressoché inesistenti), con riconoscimento di un credito di imposta per i tributi già pagati sui rendimenti (sottratti, quindi, a ulteriore tassazione quando percepiti in sede di prestazione). “L’aggravio dell’aliquota al 20% sul maturato – ammonisce Corbello – da un lato rende addirittura più pesante il prelievo fiscale per i fondi pensione rispetto a un prodotto finanziario, per il quale è prevista l’aliquota del 26% sul realizzato, dall’altro depaupera pesantemente la capacità di accumulo dei fondi, con gravi riflessi riduttivi sulle prestazioni in futuro erogate agli iscritti (derivanti dalla conversione in rendita dei montanti individuali) e ridotta possibilità di assolvere al ruolo di investitori istituzionali”. Infine, Assoprevidenza rileva come una deroga “così pesante allo schema generale europeo E/e/t/, rappresenti un grave ostacolo alla portabilità intracomunitaria delle posizioni individuali pensionistico complementari dei lavoratori italiani e, conseguentemente, ne limita la libera circolazione all’interno della Ue”. In questo modo, trasferendo la posizione individuale da un fondo italiano a uno europeo, infatti, il lavoratore italiano perde tutti i crediti di imposta maturati sui rendimenti e sarebbe nuovamente tassato in toto, all’atto di fruire delle prestazioni.
Assistenza complementare e l’anagrafe “fantasma”
Dal 2009 non si muove nulla. A ciò si aggiunga la “totale assenza di trasparenza da parte dell’anagrafe dei fondi sanitari”. Ci si trova così con una normativa quadro che, diversamente da quanto avvenuto per la previdenza complementare, non ha ancora trovato una soluzione univoca ed esaustiva. A tracciare lo scenario è la coordinatrice tecnica di Assoprevidenza, Laura Crescentini, che rileva “la forte eterogeneità del comparto” che “non appare idonea a realizzare una copertura sanitaria di secondo livello funzionale a fornire una risposta efficace ai bisogni sanitari quali si delineano oggi alla luce delle difficoltà budgetarie e alle sfide connesse all’invecchiamento della popolazione, realtà con le quali deve confrontarsi il servizio sanitario nazionale”. Cosa fare dunque? “È necessario – sottolinea Crescentini – un provvedimento di carattere legislativo che non si limiti a superare le significative incertezze applicative della disciplina vigente, ma realizzi altresì il passaggio dal concetto di mera integrazione a quello di complementarietà”. E ciò con un “adeguato grado di flessibilità, nella consapevolezza della necessità di non compromettere l’operatività delle importanti e numerose realtà del settore”.
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