La tabella di Milano anche per l’abbandono morale
Una sentenza del 2014, tuttora rilevante, attribuisce il valore di danno morale da perdita anche nel caso di non rispetto del legame genitoriale verso il figlio. Il mantenimento economico può non essere l’unico richiesto al coniuge che lascia la famiglia
19/11/2015
Una sentenza della IX sezione civile del tribunale di Milano (23 luglio 2014) ha affrontato la tematica del danno endofamiliare derivante dalla violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole, a causa del disinteresse mostrato nei confronti dei figli per lunghi anni.
Il caso esaminato (benché deciso più di un anno fa porta con sé ancora grande rilevanza nel contesto giudiziario familiare) è quello di una figlia nata dall’unione di due coniugi che hanno convissuto fino al 2000. Dopo pochi mesi dalla nascita, il padre abbandona il domicilio familiare lasciando la sola madre a occuparsi della minore, provvedendo questa, soprattutto, a sostenerla integralmente dal punto di vista economico, senza alcun aiuto da parte del coniuge. Al di là del giusto riconoscimento dell’obbligo di mantenimento e del conseguente accoglimento della domanda di regresso, il tribunale di Milano era chiamato anche a valutare l’azione di risarcimento danni contro il padre per il disinteresse manifestato dal 2000, e quindi per l’abbandono morale della minore provato. La domanda era volta a favore della figlia per il riconoscimento di un danno non patrimoniale ex articolo 2059 del Codice civile (altrimenti detto esistenziale o da lesione di un diritto primario della persona) da privazione della figura genitoriale paterna, a causa del comportamento consapevole e colposo del padre. Tale voce risarcitoria trova tutela in effetti, nel nostro ordinamento, sulla base degli articoli 2043 e 2059 del Codice civile.
Il “dovere” dell’essere genitore
Come giustamente sostiene il tribunale, è acquisizione, ormai condivisa dalla giurisprudenza e dalla dottrina che nel sistema delineato dal legislatore del 1975, il modello di famiglia-istituzione, al quale il Codice civile del 1942 era rimasto ancorato è stato superato da quello di famiglia-comunità, i cui interessi non si pongono su un piano sovraordinato ma si identificano con quelli solidali dei suoi componenti. Si tratta di un disegno della nuova famiglia completato e arricchito dalla legge 219/2012 e dal dlgs 154/2013 che hanno ulteriormente amplificato il valore del singolo membro nella comunità familiare, in particolare sottolineando come i genitori non esercitano una potestà genitoriale ma sono titolari di una responsabilità genitoriale: concetto che già in sé richiama il dovere piuttosto che il diritto. Il rispetto della dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente del nucleo familiare assume i connotati di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia costituisce il presupposto logico della responsabilità civile.
Già la sentenza della Cassazione 9801/2005 ha ampliato le frontiere della responsabilità civile nelle relazioni familiari e, oggi, il principio di preminenza della tutela risarcitoria trova spazio applicativo anche all’interno dell’istituto familiare, pur in presenza di una specifica disciplina dello stesso (Cass. Civ., sez. I, sentenza 20 giugno 2013, n. 15481). Si tratta, appunto, dei cosiddetti illeciti endofamiliari, altrimenti noti come danni da privazione del rapporto genitoriale, in cui soggetto attivo è il genitore che omette di svolgere il ruolo da egli stesso scelto con la procreazione, e soggetto passivo è il minore, che perde, senza sua colpa, uno dei genitori.
Un danno da perdita che va risarcito
La perdita del genitore non è compensata dalla presenza dell’altro o dei parenti prossimi, non è nemmeno compensata dal mero sostegno economico. È perdita che segna la vita, è perdita che causa un danno alla sua stessa identità personale.
Nella sentenza qui in evidenza, dunque, questa è una situazione giuridica soggettiva di rango primario, come tale suscettibile di ristoro anche non patrimoniale in caso di lesione, venendo in rilievo situazioni giuridiche soggettive avvolte dalla coltre costituzionale. La conclusione è che il minore ha diritto al risarcimento del danno che abbia patito in conseguenza dell’assenza del genitore.
La quantificazione del danno ben può essere svolta, sostiene il tribunale, con l’adozione delle note tabelle di liquidazione in uso nel Foro e a livello nazionale, le quali, per la perdita di un genitore, liquidano il danno in misura tra 163 mila e 990 e 327 mila e 990 euro, a seconda della durata e della intensità della sofferenza derivata dal comportamento illecito.
Questa, dunque, la massima che sintetizza il giudizio di questa importante sentenza: “la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole, a causa del disinteresse mostrato nei confronti dei figli per lunghi anni, integra gli estremi dell’illecito civile, cagionando la lesione di diritti costituzionalmente protetti, e dà luogo a un’autonoma azione dei medesimi figli volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’articolo 2059 del Codice civile”.
Il caso esaminato (benché deciso più di un anno fa porta con sé ancora grande rilevanza nel contesto giudiziario familiare) è quello di una figlia nata dall’unione di due coniugi che hanno convissuto fino al 2000. Dopo pochi mesi dalla nascita, il padre abbandona il domicilio familiare lasciando la sola madre a occuparsi della minore, provvedendo questa, soprattutto, a sostenerla integralmente dal punto di vista economico, senza alcun aiuto da parte del coniuge. Al di là del giusto riconoscimento dell’obbligo di mantenimento e del conseguente accoglimento della domanda di regresso, il tribunale di Milano era chiamato anche a valutare l’azione di risarcimento danni contro il padre per il disinteresse manifestato dal 2000, e quindi per l’abbandono morale della minore provato. La domanda era volta a favore della figlia per il riconoscimento di un danno non patrimoniale ex articolo 2059 del Codice civile (altrimenti detto esistenziale o da lesione di un diritto primario della persona) da privazione della figura genitoriale paterna, a causa del comportamento consapevole e colposo del padre. Tale voce risarcitoria trova tutela in effetti, nel nostro ordinamento, sulla base degli articoli 2043 e 2059 del Codice civile.
Il “dovere” dell’essere genitore
Come giustamente sostiene il tribunale, è acquisizione, ormai condivisa dalla giurisprudenza e dalla dottrina che nel sistema delineato dal legislatore del 1975, il modello di famiglia-istituzione, al quale il Codice civile del 1942 era rimasto ancorato è stato superato da quello di famiglia-comunità, i cui interessi non si pongono su un piano sovraordinato ma si identificano con quelli solidali dei suoi componenti. Si tratta di un disegno della nuova famiglia completato e arricchito dalla legge 219/2012 e dal dlgs 154/2013 che hanno ulteriormente amplificato il valore del singolo membro nella comunità familiare, in particolare sottolineando come i genitori non esercitano una potestà genitoriale ma sono titolari di una responsabilità genitoriale: concetto che già in sé richiama il dovere piuttosto che il diritto. Il rispetto della dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente del nucleo familiare assume i connotati di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia costituisce il presupposto logico della responsabilità civile.
Già la sentenza della Cassazione 9801/2005 ha ampliato le frontiere della responsabilità civile nelle relazioni familiari e, oggi, il principio di preminenza della tutela risarcitoria trova spazio applicativo anche all’interno dell’istituto familiare, pur in presenza di una specifica disciplina dello stesso (Cass. Civ., sez. I, sentenza 20 giugno 2013, n. 15481). Si tratta, appunto, dei cosiddetti illeciti endofamiliari, altrimenti noti come danni da privazione del rapporto genitoriale, in cui soggetto attivo è il genitore che omette di svolgere il ruolo da egli stesso scelto con la procreazione, e soggetto passivo è il minore, che perde, senza sua colpa, uno dei genitori.
Un danno da perdita che va risarcito
La perdita del genitore non è compensata dalla presenza dell’altro o dei parenti prossimi, non è nemmeno compensata dal mero sostegno economico. È perdita che segna la vita, è perdita che causa un danno alla sua stessa identità personale.
Nella sentenza qui in evidenza, dunque, questa è una situazione giuridica soggettiva di rango primario, come tale suscettibile di ristoro anche non patrimoniale in caso di lesione, venendo in rilievo situazioni giuridiche soggettive avvolte dalla coltre costituzionale. La conclusione è che il minore ha diritto al risarcimento del danno che abbia patito in conseguenza dell’assenza del genitore.
La quantificazione del danno ben può essere svolta, sostiene il tribunale, con l’adozione delle note tabelle di liquidazione in uso nel Foro e a livello nazionale, le quali, per la perdita di un genitore, liquidano il danno in misura tra 163 mila e 990 e 327 mila e 990 euro, a seconda della durata e della intensità della sofferenza derivata dal comportamento illecito.
Questa, dunque, la massima che sintetizza il giudizio di questa importante sentenza: “la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole, a causa del disinteresse mostrato nei confronti dei figli per lunghi anni, integra gli estremi dell’illecito civile, cagionando la lesione di diritti costituzionalmente protetti, e dà luogo a un’autonoma azione dei medesimi figli volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’articolo 2059 del Codice civile”.
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