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Il danno punitivo da lite temeraria in Italia

Una legge del 2009 offre uno strumento di deflazione del contenzioso che mira a ridurre i ricorsi alla magistratura attraverso l’attribuzione delle spese processuali a una parte, nel caso in cui il giudice ritenga l’intervento finalizzato a procrastinare il compimento di un proprio dovere verso la controparte

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Il tribunale di Salerno, seconda sezione civile, ha pronunciato un’interessante sentenza in data 14 luglio 2016 (3505, giudice Cesare Taraschi) che ci consente di fare il punto su una voce di danno che sta avendo sviluppo nel nostro ordinamento e che trova conto in alcune situazioni dove il comportamento della parte presenti elementi di censurabilità dal punto di vista della correttezza nelle relazioni sociali, proprie di una comunità di persone.

Alludiamo ai così detti danni punitivi, ove il fattore causale censurato non risiede tanto in un illecito commissivo (inadempimento contrattuale o responsabilità extracontrattuale), ma piuttosto in un comportamento aggravato secondo un canone di convivenza sociale.

Un tipico esempio è quello della decisione che si segnala, legato alla così detta lite temeraria, quella cioè intentata con comportamenti pretestuosi e solo con il fine di procrastinare un proprio adempimento o il risarcimento di un danno.

Ricorrere insomma alla funzione giurisdizionale con il solo fine di ritardare nel tempo un proprio obbligo costituisce non solo ragione di reiezione della domanda, ma anche comportamento che genera discredito e critica sociale per il fatto che la parte ha inteso proporre un’azione non con l’intento di far valere un proprio diritto, ma solo per ritardare un proprio dovere.

Un caso esemplare
In questa vicenda, una parte proponeva opposizione avverso un decreto ingiuntivo col quale il tribunale di Salerno aveva ordinato di pagare la somma di 28.338,86 euro, oltre interessi e spese processuali, per il mancato pagamento di una fornitura di semi agricoli.

Il tribunale, nel giudicare la vicenda, rilevava che la parte ingiunta non aveva negato il rapporto di vendita dei semi agricoli, da cui ebbe origine il credito di controparte, né l’avvenuta consegna di tale merce, limitandosi ad eccepire la prescrizione del diritto al credito. Tale eccezione è ritenuta del tutto infondata dal tribunale e il credito è dunque confermato per l’intero.

In ragione della palese pretestuosità delle difese avanzate dalla parte debitrice, il tribunale ritiene di dover procedere alla condanna dell’opponente per lite temeraria ex articolo 96, comma 3, del Codice di procedura Civile.

Si legge nella sentenza che la legge 69/2009, applicabile ai procedimenti instaurati successivamente alla sua entrata in vigore (4 luglio 2009), ha introdotto all’art. 96 C.p.c. un terzo comma, il quale prevede che “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.
 
Si tratta di un ulteriore strumento di deflazione del contenzioso, che si differenzia dalle fattispecie di responsabilità processuale aggravata, di cui ai primi due commi della norma in esame, in quanto può essere attivato anche d’ufficio, cioè a prescindere da una specifica istanza di parte.

La nuova norma non prevede un limite nella determinazione dell’importo della condanna e non necessita nemmeno della preventiva instaurazione del contraddittorio, essendo posterius e non prius logico della decisione di merito.
 
Secondo l’opinione formatasi nella prevalente dottrina e giurisprudenza, il co. 3 dell’art. 96 C.p.c. ha introdotto nell’ordinamento una forma di danno punitivo per scoraggiare l’abuso del processo e preservare la funzione del sistema giustizia (si veda ad esempio trib. Piacenza 22-11-2010; trib. Varese 23-1-2010; trib. Prato 6-11-2009; trib. Milano 29-8-2009).
Salvaguardare la funzione di tutela della giustizia.

Per quanto riguarda poi i parametri ai quali ancorare la quantificazione della somma oggetto di condanna, nella giurisprudenza di merito si fa riferimento ad un criterio equitativo puro, oppure ai criteri di liquidazione adottati in materia di durata eccessiva dei procedimenti giudiziari o, ancora, all’ammontare delle spese di giudizio. La giurisprudenza di legittimità ha precisato che la determinazione giudiziale deve solo osservare il criterio equitativo, potendo essere calibrata anche sull’importo delle spese processuali o su un loro multiplo, con l’unico limite della ragionevolezza (Cassazione n. 21570/12).

Nel caso di specie, la colpa grave è desumibile dalla palese infondatezza dell’opposizione, basata su un unico motivo pretestuoso e meramente dilatorio, giuridicamente del tutto privo di fondamento.

In relazione alla somma da liquidare in favore dell’opposta, considerato il valore della controversia (oltre 28.000,00 euro) e che il giudizio si è protratto per circa un anno e mezzo, il tribunale provvede a liquidare la ulteriore somma di 750,00 euro (500,00 euro per ciascun anno), ponendola in capo alla parte soccombente del giudizio principale.
Il ricorso alla giustizia per ottenere la riparazione di un torto è una delle più alte funzioni sociali che un ordinamento deve garantire ai propri consorziati (e di questo ordine funzionale fanno parte giudici ed avvocati con eguale ruolo e dignità).

Ma lo stesso Ordinamento deve prevedere strumenti (come quello correttamente qui applicato e radicato nell’art. 96 comma 3 C.p.c.) che tutelino chi subisca un’azione palesemente illegittima e punisca chi ricorre a tale strumento di giustizia sociale per uno scopo meramente dilatorio, finalizzato a sottrarsi ai propri obblighi e sottraendo al tempo stesso energie e risorse destinate a chi alla funzione giurisdizionale legittimamente attinge.



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