Responsabilità dell’avvocato ed efficacia temporale della copertura assicurativa
Prima parte - I termini della diligenza professionale
06/12/2017
La responsabilità professionale di natura civile dell’avvocato sorge in capo a quest’ultimo in virtù e ragione dello svolgimento del mandato professionale ex art. 2230 e ss. del Codice Civile, ossia del contratto che lega il legale al proprio cliente, nell’interesse del quale l’avvocato si impegna a prestare la propria opera professionale.
È utile sottolineare che, come da consaputa giurisprudenza, l’obbligazione che assume di adempiere l’avvocato nei confronti del proprio cliente è un’obbligazione di mezzi, in quanto il professionista si impegna non a conseguire un risultato, bensì a svolgere il proprio incarico adottando i mezzi necessari nel tentativo di perseguirlo, sicché il mancato raggiungimento del risultato sperato dal cliente non configura, di per sé, un inadempimento del professionista, che andrà invece ravvisato laddove sia mancato il rispetto dei doveri che compongono lo svolgimento della prestazione professionale, primo fra tutti il dovere di diligenza. Lo hanno affermato ancora recentemente i giudici della seconda sezione civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 2954/2016, i quali hanno osservato che nell’esercizio della sua attività di prestazione d’opera professionale, l’avvocato si fa carico non già dell’obbligo di realizzare il risultato (incerto e aleatorio) che questi desidera, bensì dell’obbligo di esercitare diligentemente la propria professione, che a quel risultato deve pur sempre essere finalizzata.
Pertanto, l’affermazione della responsabilità per colpa professionale dell’avvocato e la conseguente risarcibilità dei danni cagionati impongono una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita, arrivando a opposta soluzione qualora, in assenza dell’errore commesso dall’avvocato, l’esito negativo per il cliente si sarebbe ugualmente prodotto (cfr. Cass. n. 22882/2016; Cass. n. 1984/2016; Cass. n. 297/2015; Cass. n. 2638/2013), nonché nel caso in cui l’istante non abbia allegato e dimostrato il danno risarcibile quale concreto pregiudizio subìto in conseguenza dell’illecito contrattuale (Cass. n. 10698/2016).
Sono esclusi problemi di non stretta competenza
Sul punto, una delle norme civilistiche, oltre l’art. 1218 c.c., a rilevare è l’art. 1176 II comma, il quale fa riferimento alla diligenza professionale nell’adempimento, che deve essere commisurata alla natura dell’attività esercitata e deve fare riferimento alla diligenza posta nell’esercizio della propria attività dal professionista di preparazione professionale e di attenzione media (cfr. Cass. n. 2466/1995; Cass. n. 3463/1988).
Ciò, “a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, il cui accertamento sulla sussistenza spetta al giudice del merito, che vi provvede con giudizio incensurabile in sede di legittimità, purché sorretto da una congrua motivazione e privo di vizi logici o errori di diritto (Cass. n. 7618/1997): in tal caso la responsabilità del professionista è attenuata, configurandosi, secondo l’espresso disposto dell’art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave, con conseguente elusione nell’ipotesi in cui nella sua condotta si riscontrino soltanto gli estremi della colpa lieve” (Cass. n. 2954/2016; Cass. n. 8470/1995).
È colpa l’inadempimento della routine
Disseminate nel tempo sono le pronunce della giurisprudenza di legittimità che hanno stigmatizzato la condotta professionale dell’avvocato, configurando una serie di fattispecie concrete nelle quali è ravvisabile la responsabilità dell’esercente la professione forense, con tutte le ovvie conseguenze sotto il profilo risarcitorio.
Ne costituiscono ipotesi tipizzate, ad esempio, l’omesso compimento di atti processuali o notifiche in tempi utili da parte dell’avvocato che colposamente abbia lasciato decorrere inutilmente i termini (Cass. 2701/1994; Cass. 5322/1993), nonché il caso in cui il professionista non abbia accertato l’intercorsa prescrizione. Essendo il predetto accertamento adempimento rutinario e preliminare alla disamina della questione affidatagli, la mancata percezione di una situazione di prescrizione e l’omessa informazione, resa in favore del cliente, circa la possibilità di una fondata eccezione in tal senso a opera della controparte, costituiscono un’ipotesi di ignoranza di istituti elementari ovvero di incuria o di imperizia, suscettibile di configurare la responsabilità del professionista per inadempimento dell’obbligazione assunta (Cass. n. 16023/2002; Cass. n. 7618/1997; cfr., altresì, Cass. n. 14597/2004: “il professionista, infatti, deve porre in grado il cliente di decidere consapevolmente, sulla base di una adeguata valutazione di tutti gli elementi favorevoli ed anche di quelli eventualmente contrari ragionevolmente prevedibili, se affrontare o meno i rischi connessi all’attività richiesta al professionista medesimo”).
Responsabile per mancata indicazione di prove
Altro caso è la responsabilità per omissione di indicazione delle prove, in quanto, essendo il mandato legato allo svolgimento di tutte le attività utili per la tutela dell’assistito, costituisce grave inadempimento da parte dell’avvocato il fatto di omettere di indicare le prove indispensabili per l’accoglimento della domanda, responsabilità scongiurata nell’ipotesi in cui dimostri “di non aver potuto adempiere per fatto a lui non imputabile o di aver svolto tutte le attività che, nel caso di specie, potevano essergli ragionevolmente richieste” (Cass. n. 25963/2015), tenuto conto, in ogni caso, che “rientra nei suoi doveri di diligenza professionale non solo la consapevolezza che la mancata prova degli elementi costitutivi della domanda espone il cliente alla soccombenza, poiché il cliente, normalmente, non è in grado di valutare regole e tempi del processo, né gli elementi che debbano essere sottoposti alla cognizione del giudice, così da rendere necessario che egli, per l’appunto, sia indirizzato e guidato dal difensore, il quale deve fornirgli tutte le informazioni necessarie, pure al fine di valutare i rischi insiti nell’iniziativa giudiziale” (Cass. n. 8312/2011).
È utile sottolineare che, come da consaputa giurisprudenza, l’obbligazione che assume di adempiere l’avvocato nei confronti del proprio cliente è un’obbligazione di mezzi, in quanto il professionista si impegna non a conseguire un risultato, bensì a svolgere il proprio incarico adottando i mezzi necessari nel tentativo di perseguirlo, sicché il mancato raggiungimento del risultato sperato dal cliente non configura, di per sé, un inadempimento del professionista, che andrà invece ravvisato laddove sia mancato il rispetto dei doveri che compongono lo svolgimento della prestazione professionale, primo fra tutti il dovere di diligenza. Lo hanno affermato ancora recentemente i giudici della seconda sezione civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 2954/2016, i quali hanno osservato che nell’esercizio della sua attività di prestazione d’opera professionale, l’avvocato si fa carico non già dell’obbligo di realizzare il risultato (incerto e aleatorio) che questi desidera, bensì dell’obbligo di esercitare diligentemente la propria professione, che a quel risultato deve pur sempre essere finalizzata.
Pertanto, l’affermazione della responsabilità per colpa professionale dell’avvocato e la conseguente risarcibilità dei danni cagionati impongono una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita, arrivando a opposta soluzione qualora, in assenza dell’errore commesso dall’avvocato, l’esito negativo per il cliente si sarebbe ugualmente prodotto (cfr. Cass. n. 22882/2016; Cass. n. 1984/2016; Cass. n. 297/2015; Cass. n. 2638/2013), nonché nel caso in cui l’istante non abbia allegato e dimostrato il danno risarcibile quale concreto pregiudizio subìto in conseguenza dell’illecito contrattuale (Cass. n. 10698/2016).
Sono esclusi problemi di non stretta competenza
Sul punto, una delle norme civilistiche, oltre l’art. 1218 c.c., a rilevare è l’art. 1176 II comma, il quale fa riferimento alla diligenza professionale nell’adempimento, che deve essere commisurata alla natura dell’attività esercitata e deve fare riferimento alla diligenza posta nell’esercizio della propria attività dal professionista di preparazione professionale e di attenzione media (cfr. Cass. n. 2466/1995; Cass. n. 3463/1988).
Ciò, “a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, il cui accertamento sulla sussistenza spetta al giudice del merito, che vi provvede con giudizio incensurabile in sede di legittimità, purché sorretto da una congrua motivazione e privo di vizi logici o errori di diritto (Cass. n. 7618/1997): in tal caso la responsabilità del professionista è attenuata, configurandosi, secondo l’espresso disposto dell’art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave, con conseguente elusione nell’ipotesi in cui nella sua condotta si riscontrino soltanto gli estremi della colpa lieve” (Cass. n. 2954/2016; Cass. n. 8470/1995).
È colpa l’inadempimento della routine
Disseminate nel tempo sono le pronunce della giurisprudenza di legittimità che hanno stigmatizzato la condotta professionale dell’avvocato, configurando una serie di fattispecie concrete nelle quali è ravvisabile la responsabilità dell’esercente la professione forense, con tutte le ovvie conseguenze sotto il profilo risarcitorio.
Ne costituiscono ipotesi tipizzate, ad esempio, l’omesso compimento di atti processuali o notifiche in tempi utili da parte dell’avvocato che colposamente abbia lasciato decorrere inutilmente i termini (Cass. 2701/1994; Cass. 5322/1993), nonché il caso in cui il professionista non abbia accertato l’intercorsa prescrizione. Essendo il predetto accertamento adempimento rutinario e preliminare alla disamina della questione affidatagli, la mancata percezione di una situazione di prescrizione e l’omessa informazione, resa in favore del cliente, circa la possibilità di una fondata eccezione in tal senso a opera della controparte, costituiscono un’ipotesi di ignoranza di istituti elementari ovvero di incuria o di imperizia, suscettibile di configurare la responsabilità del professionista per inadempimento dell’obbligazione assunta (Cass. n. 16023/2002; Cass. n. 7618/1997; cfr., altresì, Cass. n. 14597/2004: “il professionista, infatti, deve porre in grado il cliente di decidere consapevolmente, sulla base di una adeguata valutazione di tutti gli elementi favorevoli ed anche di quelli eventualmente contrari ragionevolmente prevedibili, se affrontare o meno i rischi connessi all’attività richiesta al professionista medesimo”).
Responsabile per mancata indicazione di prove
Altro caso è la responsabilità per omissione di indicazione delle prove, in quanto, essendo il mandato legato allo svolgimento di tutte le attività utili per la tutela dell’assistito, costituisce grave inadempimento da parte dell’avvocato il fatto di omettere di indicare le prove indispensabili per l’accoglimento della domanda, responsabilità scongiurata nell’ipotesi in cui dimostri “di non aver potuto adempiere per fatto a lui non imputabile o di aver svolto tutte le attività che, nel caso di specie, potevano essergli ragionevolmente richieste” (Cass. n. 25963/2015), tenuto conto, in ogni caso, che “rientra nei suoi doveri di diligenza professionale non solo la consapevolezza che la mancata prova degli elementi costitutivi della domanda espone il cliente alla soccombenza, poiché il cliente, normalmente, non è in grado di valutare regole e tempi del processo, né gli elementi che debbano essere sottoposti alla cognizione del giudice, così da rendere necessario che egli, per l’appunto, sia indirizzato e guidato dal difensore, il quale deve fornirgli tutte le informazioni necessarie, pure al fine di valutare i rischi insiti nell’iniziativa giudiziale” (Cass. n. 8312/2011).
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