Micropermanenti: la questione non è chiusa
La sentenza n. 1272 della Cassazione riapre il dibattito sulle lesioni, vere o presunte, lamentate dalle vittime di incidente stradale e non verificabili con esame strumentale, asserendo che quest’ultimo non potrà essere considerato unico oggetto vincolante di prova
09/02/2018
È stata depositata in data 19 gennaio 2018 la sentenza della III sezione della Corte di Cassazione n. 1272 (camera di consiglio 21.11.2017 – pres. Spirito, est. Cirillo) che affronta in via diretta il tema dell’interpretazione del testo letterale dell’art. 139 del Codice delle Assicurazioni Private con riferimento alla condizione di risarcibilità del danno da lesione di lieve entità non documentata da un accertamento strumentale obbiettivo.
È nota la questione, molto dibattuta in dottrina e controversa anche in sede giurisprudenziale, sorta in esito alla promulgazione della legge n. 27 del 2012 la quale, introducendo modifiche all’art. 139 del Codice delle Assicurazioni, si poneva chiaro l’intento di delimitare i risarcimenti dei danni alla persona così detti bagatellari o legati comunque a minime compromissioni della salute comprovate solo dalla narrazione dolorosa della stessa vittima.
Arginare la speculazione
I così detti colpi di frusta ovvero le “formiche del diritto” (per dirla con le parole sagaci ed ironiche del sempre compianto avvocato Gennaro Giannini) costituiscono da sempre un flagello per il ramo assicurativo auto, troppo spesso riconosciuti nelle corti anche se sostenuti da elementi probatori oggettivi inesistenti o dalla semplice narrazione sintomatologica della presunta vittima.
Quello che è sempre apparso come un fenomeno meramente speculativo, che spesso collima con vere e proprie attività fraudolente, fu oggetto del provvedimento normativo del 2012 che ebbe proprio lo scopo, imponendo la prova del danno attraverso un “accertamento strumentale obiettivo” (ovvero esigendo la prova di una refertazione per immagini radiografiche), di contrarre il fenomeno quanto meno nella sua macrodimensione.
Il punto centrale della discussione fu, fin da subito, legato per alcuni all’efficacia vincolante, ai fini del risarcimento del danno, delle prove documentali e di referto pretese dalla legge e, per altri e al contrario, alla non esclusività di tale strumento clinico diagnostico, ammettendo la possibilità per il medico legale di verificare altrimenti la presenza di una menomazione permanente pur in assenza di una refertazione per immagini.
Strumenti ed esame clinico
Ecco perché la sentenza qui evidenziata è oltremodo rilevante posto che, oltre a essere la prima ad affrontare il tema in via diretta (e non nel contesto di un semplice obiter come avvenne per la decisione n. 18773 del 2016 della stessa Corte), si pronuncia sul testo dell’art. 139 C.d.A. come appena emendato dalla recentissima legge Concorrenza (art. 1 comma XIX della legge n. 124 del 4 agosto 2017).
La decisione prende le mosse in ogni caso dal precedente richiamato (la n. 18773/2016) dal quale mostra di volersi affrancare quanto meno sul piano di un’interpretazione più esigente dell’indagine scientifica e documentale che il Ctu deve svolgere nella specifica disamina del caso.
Si legge nella massima della decisione, infatti, quanto segue:”In materia di risarcimento del danno da c.d. micropermanente, l’art. 139, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, nel testo modificato dall’art. 32, comma 3-ter, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, inserito dalla legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27, va interpretato nel senso che l’accertamento della sussistenza della lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica deve avvenire con rigorosi ed oggettivi criteri medico-legali; tuttavia l’accertamento clinico strumentale obiettivo non potrà in ogni caso ritenersi l’unico mezzo probatorio che consenta di riconoscere tale lesione a fini risarcitori, a meno che non si tratti di una patologia, difficilmente verificabile sulla base della sola visita del medico legale, che sia suscettibile di riscontro oggettivo soltanto attraverso l’esame clinico strumentale”.
Se dunque è vero che la decisione afferma che l’accertamento strumentale obbiettivo non può essere considerato “l’unico mezzo probatorio che consenta di riconoscere tale lesione a fini risarcitori”, è altrettanto vero che nella parte motiva la decisione evidenziata (contrariamente a quanto letto nella precedente decisione n. 18773/2016) che è sempre necessaria una rigorosa valutazione da parte del medico legale nelle lesioni in cui l’indagine si basi “sul dato puro e semplice del dolore più o meno accentuato che il danneggiato riferisca”.
Alla ricerca di un equilibrio
In questi casi la Corte sostiene che “l’accertamento clinico strumentale sarà in simili casi, con ogni probabilità, lo strumento decisivo che consentirà al Ctu (…) di rassegnare al giudice una conclusione scientificamente documentata e giuridicamente ineccepibile”.
Non è di minor conto, nella nostra valutazione legata a questa prima disamina della decisione, il passaggio della sentenza ove si valorizza la riflessione che “il legislatore (della legge n. 27/2012 ndr) ha voluto dettare una norma che, in considerazione dei possibili margini di aggiramento della prova rigorosa dell’effettiva sussistenza della lesione, imponga viceversa una prova sicura. Ciò è del tutto ragionevole se si riflette sul fatto che le richieste di risarcimento per lesioni di lieve entità sono, ai fini statistici che assumono grande rilevanza per la gestione del sistema assicurativo, le più numerose; per cui, nonostante il loro modesto contenuto economico, esse comportano comunque ingenti costi collettivi”. (Continua a pag.3)
La Corte, infine, richiama i noti precedenti sul tema reso dalla Corte Costituzionale, laddove rammenta quanto segue:
“Del resto anche la Corte Costituzionale, tornando ad occuparsi della materia, dopo la sentenza n. 235 del 2014, con l’ordinanza n. 242 del 2015, ha avuto modo di chiarire che il senso della normativa del 2012 è quello di impedire che l’accertamento diagnostico ridondi in una discrezionalità eccessiva, con rischio di estensione a postumi invalidanti inesistenti o enfatizzati, anche in considerazione dell’interesse generale e sociale degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi. Il che conferma l’esigenza economica di un equilibrio tra i premi incassati e le prestazioni che le società di assicurazione devono erogare”.
Da “necessario” a “non unico”
Per il vero appare evidente che la decisione oggi segnalata si discosti in modo sensibile dai pronunciamenti pur richiamati dei giudici della legge i quali, si rammenta, avevano valorizzato chiaramente il fatto che “la limitazione imposta al correlativo accertamento è stata, infatti, già ritenuta rispondente a criteri di ragionevolezza, in termini di bilanciamento, in un sistema, come quello vigente, di responsabilità civile per la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata, in cui le compagnie assicuratrici, concorrendo ex lege al fondo di garanzia per le vittime della strada, perseguono anche fini solidaristici, e nel quale l’interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi”.
La principale discrasia tra la decisone oggi segnalata e gli interventi della Corte Costituzionale, risiede, all’evidenza, nel fatto che nella segnalata sentenza il criterio dell’accertamento strumentale obiettivo è espressamente definito “non unico”, contrariamente alle pronunce dei giudici delle leggi che lo avevano elevato a criterio “necessario”.
Auspichiamo che nella futura interpretazione della norma (che sarà letta, specie negli uffici dei giudici di pace dello stato, alla luce certamente di questo pronunciamento) non si finisca per valorizzare il solo e semplice passaggio della non unicità dello strumento obiettivo, senza invece dare la giusta collocazione interpretativa e sistemica al passaggio, assai più importante della sentenza, ove si evidenzia la necessità di una rigorosa indagine scientifica da parte del medico legale specie per quelle lesioni (frequenti nei colpi di frusta) in cui manchi ogni evidenza scientifica e obiettiva della vulnus.
È nota la questione, molto dibattuta in dottrina e controversa anche in sede giurisprudenziale, sorta in esito alla promulgazione della legge n. 27 del 2012 la quale, introducendo modifiche all’art. 139 del Codice delle Assicurazioni, si poneva chiaro l’intento di delimitare i risarcimenti dei danni alla persona così detti bagatellari o legati comunque a minime compromissioni della salute comprovate solo dalla narrazione dolorosa della stessa vittima.
Arginare la speculazione
I così detti colpi di frusta ovvero le “formiche del diritto” (per dirla con le parole sagaci ed ironiche del sempre compianto avvocato Gennaro Giannini) costituiscono da sempre un flagello per il ramo assicurativo auto, troppo spesso riconosciuti nelle corti anche se sostenuti da elementi probatori oggettivi inesistenti o dalla semplice narrazione sintomatologica della presunta vittima.
Quello che è sempre apparso come un fenomeno meramente speculativo, che spesso collima con vere e proprie attività fraudolente, fu oggetto del provvedimento normativo del 2012 che ebbe proprio lo scopo, imponendo la prova del danno attraverso un “accertamento strumentale obiettivo” (ovvero esigendo la prova di una refertazione per immagini radiografiche), di contrarre il fenomeno quanto meno nella sua macrodimensione.
Il punto centrale della discussione fu, fin da subito, legato per alcuni all’efficacia vincolante, ai fini del risarcimento del danno, delle prove documentali e di referto pretese dalla legge e, per altri e al contrario, alla non esclusività di tale strumento clinico diagnostico, ammettendo la possibilità per il medico legale di verificare altrimenti la presenza di una menomazione permanente pur in assenza di una refertazione per immagini.
Strumenti ed esame clinico
Ecco perché la sentenza qui evidenziata è oltremodo rilevante posto che, oltre a essere la prima ad affrontare il tema in via diretta (e non nel contesto di un semplice obiter come avvenne per la decisione n. 18773 del 2016 della stessa Corte), si pronuncia sul testo dell’art. 139 C.d.A. come appena emendato dalla recentissima legge Concorrenza (art. 1 comma XIX della legge n. 124 del 4 agosto 2017).
La decisione prende le mosse in ogni caso dal precedente richiamato (la n. 18773/2016) dal quale mostra di volersi affrancare quanto meno sul piano di un’interpretazione più esigente dell’indagine scientifica e documentale che il Ctu deve svolgere nella specifica disamina del caso.
Si legge nella massima della decisione, infatti, quanto segue:”In materia di risarcimento del danno da c.d. micropermanente, l’art. 139, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, nel testo modificato dall’art. 32, comma 3-ter, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, inserito dalla legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27, va interpretato nel senso che l’accertamento della sussistenza della lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica deve avvenire con rigorosi ed oggettivi criteri medico-legali; tuttavia l’accertamento clinico strumentale obiettivo non potrà in ogni caso ritenersi l’unico mezzo probatorio che consenta di riconoscere tale lesione a fini risarcitori, a meno che non si tratti di una patologia, difficilmente verificabile sulla base della sola visita del medico legale, che sia suscettibile di riscontro oggettivo soltanto attraverso l’esame clinico strumentale”.
Se dunque è vero che la decisione afferma che l’accertamento strumentale obbiettivo non può essere considerato “l’unico mezzo probatorio che consenta di riconoscere tale lesione a fini risarcitori”, è altrettanto vero che nella parte motiva la decisione evidenziata (contrariamente a quanto letto nella precedente decisione n. 18773/2016) che è sempre necessaria una rigorosa valutazione da parte del medico legale nelle lesioni in cui l’indagine si basi “sul dato puro e semplice del dolore più o meno accentuato che il danneggiato riferisca”.
Alla ricerca di un equilibrio
In questi casi la Corte sostiene che “l’accertamento clinico strumentale sarà in simili casi, con ogni probabilità, lo strumento decisivo che consentirà al Ctu (…) di rassegnare al giudice una conclusione scientificamente documentata e giuridicamente ineccepibile”.
Non è di minor conto, nella nostra valutazione legata a questa prima disamina della decisione, il passaggio della sentenza ove si valorizza la riflessione che “il legislatore (della legge n. 27/2012 ndr) ha voluto dettare una norma che, in considerazione dei possibili margini di aggiramento della prova rigorosa dell’effettiva sussistenza della lesione, imponga viceversa una prova sicura. Ciò è del tutto ragionevole se si riflette sul fatto che le richieste di risarcimento per lesioni di lieve entità sono, ai fini statistici che assumono grande rilevanza per la gestione del sistema assicurativo, le più numerose; per cui, nonostante il loro modesto contenuto economico, esse comportano comunque ingenti costi collettivi”. (Continua a pag.3)
La Corte, infine, richiama i noti precedenti sul tema reso dalla Corte Costituzionale, laddove rammenta quanto segue:
“Del resto anche la Corte Costituzionale, tornando ad occuparsi della materia, dopo la sentenza n. 235 del 2014, con l’ordinanza n. 242 del 2015, ha avuto modo di chiarire che il senso della normativa del 2012 è quello di impedire che l’accertamento diagnostico ridondi in una discrezionalità eccessiva, con rischio di estensione a postumi invalidanti inesistenti o enfatizzati, anche in considerazione dell’interesse generale e sociale degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi. Il che conferma l’esigenza economica di un equilibrio tra i premi incassati e le prestazioni che le società di assicurazione devono erogare”.
Da “necessario” a “non unico”
Per il vero appare evidente che la decisione oggi segnalata si discosti in modo sensibile dai pronunciamenti pur richiamati dei giudici della legge i quali, si rammenta, avevano valorizzato chiaramente il fatto che “la limitazione imposta al correlativo accertamento è stata, infatti, già ritenuta rispondente a criteri di ragionevolezza, in termini di bilanciamento, in un sistema, come quello vigente, di responsabilità civile per la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata, in cui le compagnie assicuratrici, concorrendo ex lege al fondo di garanzia per le vittime della strada, perseguono anche fini solidaristici, e nel quale l’interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi”.
La principale discrasia tra la decisone oggi segnalata e gli interventi della Corte Costituzionale, risiede, all’evidenza, nel fatto che nella segnalata sentenza il criterio dell’accertamento strumentale obiettivo è espressamente definito “non unico”, contrariamente alle pronunce dei giudici delle leggi che lo avevano elevato a criterio “necessario”.
Auspichiamo che nella futura interpretazione della norma (che sarà letta, specie negli uffici dei giudici di pace dello stato, alla luce certamente di questo pronunciamento) non si finisca per valorizzare il solo e semplice passaggio della non unicità dello strumento obiettivo, senza invece dare la giusta collocazione interpretativa e sistemica al passaggio, assai più importante della sentenza, ove si evidenzia la necessità di una rigorosa indagine scientifica da parte del medico legale specie per quelle lesioni (frequenti nei colpi di frusta) in cui manchi ogni evidenza scientifica e obiettiva della vulnus.
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