Tanta fame di dati
Ogni mattina, andando al lavoro, passiamo probabilmente davanti allo stesso negozio, allo stesso bar, alla stessa edicola. Avete mai pensato a quanto farebbero comodo i dati sulle vostre abitudini di guida e sugli orari dei vostri passaggi a quei piccoli imprenditori che stanno cercando di vendervi il loro prodotto? Probabilmente, se sulla vostra auto è installata una scatola nera, queste informazioni sono già state registrate dal vostro assicuratore.
Succede così negli Stati Uniti, dove alcune compagnie stanno pensando di trarre profitto dai dati sui loro assicurati, molto appetibili per tutte quelle piccole imprese che vorrebbero adottare strategie di marketing e fidelizzazione “iper-focalizzate” sulla customer experience. Tutto questo rimanendo all’interno dei confini del mondo assicurativo e potenziando le sinergie con i possibili data buyer. Per offrire un servizio diverso e che vada oltre il classico rapporto “pagamento del premio-indennizzo in caso di sinistro”.
I software dedicati al mondo delle quattro ruote possono ormai raccogliere innumerevoli informazioni: sullo stile di guida, sugli orari in cui l’auto viene utilizzata maggiormente, sullo stato di salute dell’auto stessa o della batteria. Con conseguenze non solo di carattere assicurativo.
E se da un lato ci sono le compagnie, dall’altro le aziende di data analytics sono pronte a fagocitare questi dati e a trasformarli in gettoni d’oro per i loro clienti: dalle multinazionali alle piccole realtà locali che non vedono l’ora di conoscere tutte le abitudini dei clienti per poterli intercettare con pubblicità personalizzate e ad alta precisione. Un po’ come succede ora online con i cookies.
Il problema sta proprio nel fatto che gli utenti di internet sono (parzialmente) consci del fatto che le pagine su cui navigano e i like che condividono possono portare delle conseguenze, mentre gli assicurati dovrebbero concedere volontariamente alle compagnie la libertà di utilizzare i loro dati. E questa barriera non è assolutamente facile da superare. Da un’analisi del mercato americano è emerso che circa il 40% degli assicurati interpellati sarebbe assolutamente contrario a una richiesta del genere. Ma dall’altro lato le compagnie sono sicure che, a fronte di vantaggi concreti e tangibili (in primis sconti sulle polizze), i clienti potrebbero cambiare facilmente idea.
Il divario, presumibilmente, si verrà a creare tra le piccole compagnie locali e le grandi corporation internazionali. Le prime, in un mercato auto in continua difficoltà e nel quale i premi sono in costante diminuzione, faticheranno a rimanere sul mercato. Mentre le seconde potranno utilizzare i dati anche in altri rami oltre quello auto.
Il valore delle informazioni è quindi in costante aumento. Per alcuni la logica conseguenza della loro raccolta da parte delle compagnie non può che essere la divulgazione delle stesse per ottenere condizioni economiche migliori e vantaggi per tutte le parti. La partita si giocherà però sul fronte della sicurezza: una grande quantità di dati può far gola per molti fini, non sempre leciti. Bisognerà saper incanalare le informazioni verso le giuste direzioni e all’interno di percorsi sicuri e protetti. Tutti, sicuramente, ne saremo soddisfatti.
Succede così negli Stati Uniti, dove alcune compagnie stanno pensando di trarre profitto dai dati sui loro assicurati, molto appetibili per tutte quelle piccole imprese che vorrebbero adottare strategie di marketing e fidelizzazione “iper-focalizzate” sulla customer experience. Tutto questo rimanendo all’interno dei confini del mondo assicurativo e potenziando le sinergie con i possibili data buyer. Per offrire un servizio diverso e che vada oltre il classico rapporto “pagamento del premio-indennizzo in caso di sinistro”.
I software dedicati al mondo delle quattro ruote possono ormai raccogliere innumerevoli informazioni: sullo stile di guida, sugli orari in cui l’auto viene utilizzata maggiormente, sullo stato di salute dell’auto stessa o della batteria. Con conseguenze non solo di carattere assicurativo.
E se da un lato ci sono le compagnie, dall’altro le aziende di data analytics sono pronte a fagocitare questi dati e a trasformarli in gettoni d’oro per i loro clienti: dalle multinazionali alle piccole realtà locali che non vedono l’ora di conoscere tutte le abitudini dei clienti per poterli intercettare con pubblicità personalizzate e ad alta precisione. Un po’ come succede ora online con i cookies.
Il problema sta proprio nel fatto che gli utenti di internet sono (parzialmente) consci del fatto che le pagine su cui navigano e i like che condividono possono portare delle conseguenze, mentre gli assicurati dovrebbero concedere volontariamente alle compagnie la libertà di utilizzare i loro dati. E questa barriera non è assolutamente facile da superare. Da un’analisi del mercato americano è emerso che circa il 40% degli assicurati interpellati sarebbe assolutamente contrario a una richiesta del genere. Ma dall’altro lato le compagnie sono sicure che, a fronte di vantaggi concreti e tangibili (in primis sconti sulle polizze), i clienti potrebbero cambiare facilmente idea.
Il divario, presumibilmente, si verrà a creare tra le piccole compagnie locali e le grandi corporation internazionali. Le prime, in un mercato auto in continua difficoltà e nel quale i premi sono in costante diminuzione, faticheranno a rimanere sul mercato. Mentre le seconde potranno utilizzare i dati anche in altri rami oltre quello auto.
Il valore delle informazioni è quindi in costante aumento. Per alcuni la logica conseguenza della loro raccolta da parte delle compagnie non può che essere la divulgazione delle stesse per ottenere condizioni economiche migliori e vantaggi per tutte le parti. La partita si giocherà però sul fronte della sicurezza: una grande quantità di dati può far gola per molti fini, non sempre leciti. Bisognerà saper incanalare le informazioni verso le giuste direzioni e all’interno di percorsi sicuri e protetti. Tutti, sicuramente, ne saremo soddisfatti.
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