Più welfare per i lavoratori autonomi
La previdenza sociale del nostro Paese è stata quasi sempre destinata a soddisfare in via preferenziale le esigenze dei lavoratori subordinati; questo perché l’intero sistema e gran parte dell’onere della tutela previdenziale veniva sostenuto proprio da quella categoria di lavoratori.
Tuttavia, già nei passati decenni cominciava a sorgere l’esigenza di provvedere alla tutela anche di tutti quei cittadini che non rivestivano il ruolo di lavoratori dipendenti o che, a causa della situazione economico-sociale, non riuscivano a realizzare i requisiti che condizionavano il sorgere del diritto alle prestazioni previdenziali economiche.
Con il progressivo sgretolarsi dei confini fra il mondo dei lavoratori subordinati ed autonomi (e il maggior apporto di risorse al sistema previdenziale/assistenziale da parte di questi ultimi) il nostro legislatore ha sentito l’esigenza di (o, meglio, è stato costretto a) mettere mano al sistema di sicurezza sociale, per far sì che alcune misure economiche e di protezione potessero estendersi anche al di là del recinto del lavoro dipendente.
L’ultima tappa di questo processo di riforma, ormai in atto da parecchi anni, è rappresentato dal c.d. “Statuto del lavoro autonomo” (o Jobs act degli autonomi), il cui disegno di legge (S 2233-B), ideato dal Governo, è approdato di recente nell’aula del Senato per la sua (più che probabile) definitiva approvazione.
Oltre ad introdurre nel nostro ordinamento la figura del “lavoro agile” o c.d. Smart working (ennesima misura volta ad assottigliare le differenze fra lavoro subordinato e non), il futuro testo legislativo dovrebbe prevedere in favore dei lavoratori autonomi due categorie di misure protettive: le prime nei confronti dei committenti, consistenti pressappoco in un rafforzamento dei diritti contrattuali e di credito verso questi ultimi; e le seconde, destinate ad irrobustire le prestazioni di sicurezza e di protezione sociale per i lavoratori non subordinati.
Il Governo, per esempio, sarà delegato ad emanare uno o più decreti legislativi per l’abilitazione degli enti di previdenza di diritto privato ad attivare, oltre a prestazioni di previdenza complementare e socio-sanitarie, anche altre prestazioni sociali (finanziate da apposita contribuzione) volte ad aiutare in particolar modo quegli iscritti che abbiano subito una significativa contrazione del reddito professionale per ragioni non dipendenti dalla propria volontà o che siano stati colpiti da gravi patologie. Inoltre, l’Esecutivo avrà il compito di adottare uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni in tema di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori applicabili agli studi professionali.
Il nuovo testo legislativo introdurrà anche agevolazioni fiscali per i lavoratori autonomi e alcune misure volte ad ampliare alcuni presidi, come:
- il congedo parentale: con l’entrata in vigore del provvedimento, tale trattamento economico potrà essere riconosciuto per un periodo di sei mesi ed entro il terzo anno di vita del bambino. I beneficiari saranno le lavoratrici ed i lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata INPS, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, tenuti al versamento della contribuzione maggiorata. Il congedo potrà sommarsi anche ad analoghi trattamenti economici, ancorché fruiti in altra gestione o cassa di previdenza, ma non potrà complessivamente superare tra entrambi i genitori il limite complessivo di sei mesi;
- l’indennità di maternità: tale prestazione potrà essere usufruita per i due mesi antecedenti la data del parto e per i tre mesi successivi allo stesso a prescindere dalla effettiva astensione dall’attività lavorativa. In tal modo, sperando che non sorgano nuovi abusi da parte dei committenti, le lavoratrici autonome potranno “emettere fattura” anche in quel periodo in cui si sarebbero dovute astenere dal lavoro;
- la tutela della gravidanza, malattia e infortunio: in questi casi i lavoratori autonomi che prestano la loro attività in via continuativa per il committente potranno godere, previa loro richiesta, di una sospensione dell’esecuzione del rapporto di lavoro senza diritto al corrispettivo per un periodo non superiore a centocinquanta giorni per anno solare, fatto salvo il venir meno dell’interesse del committente. In caso di gravidanza, però, le lavoratrici possono, previo consenso del committente, farsi sostituire da parte di altri lavoratori autonomi di loro fiducia (in possesso dei necessari requisiti professionali), nonché dei soci, anche attraverso il riconoscimento di forme di compresenza della lavoratrice e del sostituto. Invece, in caso di malattia o infortunio grave tale da impedire l’esercizio dell’attività lavorativa per più di sessanta giorni, il lavoratore autonomo potrà sospendere il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi per l’intera durata della malattia o dell’infortunio fino ad un massimo di due anni; tuttavia, terminato tale periodo, il lavoratore dovrà versare (anche a rate) i contributi e i premi maturati.
Si badi, le soluzioni che verranno introdotte dal nuovo provvedimento legislativo non risolveranno le numerose difficoltà che i lavoratori autonomi (molti dei quali solo in teoria, ma di fatto dipendenti) incontrano durante la propria vita professionale. Anzi, alcune delle misure sopra elencate risultano piuttosto fragili e, in alcuni casi, quasi inutili. Infatti, i committenti potrebbero benissimo vanificare quelle disposizioni a tutela della gravidanza, malattia e infortunio del lavoratore autonomo, dichiarando di non avere più interesse alla prestazione del lavoratore oppure negando il proprio consenso ad una loro sostituzione.
Ciò nonostante, non si può negare come il legislatore stia facendo importanti passi in avanti, i quali – se all’apparenza poco coraggiosi - potrebbero iniziare a colmare in minima parte quel vuoto di tutela previdenziale/assistenziale che caratterizza (o meglio penalizza) la categoria dei lavoratori autonomi.
Tuttavia, già nei passati decenni cominciava a sorgere l’esigenza di provvedere alla tutela anche di tutti quei cittadini che non rivestivano il ruolo di lavoratori dipendenti o che, a causa della situazione economico-sociale, non riuscivano a realizzare i requisiti che condizionavano il sorgere del diritto alle prestazioni previdenziali economiche.
Con il progressivo sgretolarsi dei confini fra il mondo dei lavoratori subordinati ed autonomi (e il maggior apporto di risorse al sistema previdenziale/assistenziale da parte di questi ultimi) il nostro legislatore ha sentito l’esigenza di (o, meglio, è stato costretto a) mettere mano al sistema di sicurezza sociale, per far sì che alcune misure economiche e di protezione potessero estendersi anche al di là del recinto del lavoro dipendente.
L’ultima tappa di questo processo di riforma, ormai in atto da parecchi anni, è rappresentato dal c.d. “Statuto del lavoro autonomo” (o Jobs act degli autonomi), il cui disegno di legge (S 2233-B), ideato dal Governo, è approdato di recente nell’aula del Senato per la sua (più che probabile) definitiva approvazione.
Oltre ad introdurre nel nostro ordinamento la figura del “lavoro agile” o c.d. Smart working (ennesima misura volta ad assottigliare le differenze fra lavoro subordinato e non), il futuro testo legislativo dovrebbe prevedere in favore dei lavoratori autonomi due categorie di misure protettive: le prime nei confronti dei committenti, consistenti pressappoco in un rafforzamento dei diritti contrattuali e di credito verso questi ultimi; e le seconde, destinate ad irrobustire le prestazioni di sicurezza e di protezione sociale per i lavoratori non subordinati.
Il Governo, per esempio, sarà delegato ad emanare uno o più decreti legislativi per l’abilitazione degli enti di previdenza di diritto privato ad attivare, oltre a prestazioni di previdenza complementare e socio-sanitarie, anche altre prestazioni sociali (finanziate da apposita contribuzione) volte ad aiutare in particolar modo quegli iscritti che abbiano subito una significativa contrazione del reddito professionale per ragioni non dipendenti dalla propria volontà o che siano stati colpiti da gravi patologie. Inoltre, l’Esecutivo avrà il compito di adottare uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni in tema di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori applicabili agli studi professionali.
Il nuovo testo legislativo introdurrà anche agevolazioni fiscali per i lavoratori autonomi e alcune misure volte ad ampliare alcuni presidi, come:
- il congedo parentale: con l’entrata in vigore del provvedimento, tale trattamento economico potrà essere riconosciuto per un periodo di sei mesi ed entro il terzo anno di vita del bambino. I beneficiari saranno le lavoratrici ed i lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata INPS, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, tenuti al versamento della contribuzione maggiorata. Il congedo potrà sommarsi anche ad analoghi trattamenti economici, ancorché fruiti in altra gestione o cassa di previdenza, ma non potrà complessivamente superare tra entrambi i genitori il limite complessivo di sei mesi;
- l’indennità di maternità: tale prestazione potrà essere usufruita per i due mesi antecedenti la data del parto e per i tre mesi successivi allo stesso a prescindere dalla effettiva astensione dall’attività lavorativa. In tal modo, sperando che non sorgano nuovi abusi da parte dei committenti, le lavoratrici autonome potranno “emettere fattura” anche in quel periodo in cui si sarebbero dovute astenere dal lavoro;
- la tutela della gravidanza, malattia e infortunio: in questi casi i lavoratori autonomi che prestano la loro attività in via continuativa per il committente potranno godere, previa loro richiesta, di una sospensione dell’esecuzione del rapporto di lavoro senza diritto al corrispettivo per un periodo non superiore a centocinquanta giorni per anno solare, fatto salvo il venir meno dell’interesse del committente. In caso di gravidanza, però, le lavoratrici possono, previo consenso del committente, farsi sostituire da parte di altri lavoratori autonomi di loro fiducia (in possesso dei necessari requisiti professionali), nonché dei soci, anche attraverso il riconoscimento di forme di compresenza della lavoratrice e del sostituto. Invece, in caso di malattia o infortunio grave tale da impedire l’esercizio dell’attività lavorativa per più di sessanta giorni, il lavoratore autonomo potrà sospendere il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi per l’intera durata della malattia o dell’infortunio fino ad un massimo di due anni; tuttavia, terminato tale periodo, il lavoratore dovrà versare (anche a rate) i contributi e i premi maturati.
Si badi, le soluzioni che verranno introdotte dal nuovo provvedimento legislativo non risolveranno le numerose difficoltà che i lavoratori autonomi (molti dei quali solo in teoria, ma di fatto dipendenti) incontrano durante la propria vita professionale. Anzi, alcune delle misure sopra elencate risultano piuttosto fragili e, in alcuni casi, quasi inutili. Infatti, i committenti potrebbero benissimo vanificare quelle disposizioni a tutela della gravidanza, malattia e infortunio del lavoratore autonomo, dichiarando di non avere più interesse alla prestazione del lavoratore oppure negando il proprio consenso ad una loro sostituzione.
Ciò nonostante, non si può negare come il legislatore stia facendo importanti passi in avanti, i quali – se all’apparenza poco coraggiosi - potrebbero iniziare a colmare in minima parte quel vuoto di tutela previdenziale/assistenziale che caratterizza (o meglio penalizza) la categoria dei lavoratori autonomi.
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