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Pensioni e risarcimenti: quando possono cumularsi?

Lo scorso 22 maggio le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno finalmente fatto luce sulla portata del principio della compensatio lucri cum damno mediante l’emanazione di ben quattro sentenze “gemelle”, ognuna riservata ad uno specifico settore (assicurazioni danni, rendita INAIL, ecc.). 
Una di queste (Cass. SS.UU. 22 maggio 2018, n. 12564) si è dedicata a un tema di particolare rilievo per il mondo della previdenza, ovvero a quel dubbio inerente al fatto «se il danno patrimoniale patito dal coniuge di persona deceduta, consistente nella perdita dell’aiuto economico offerto dal defunto, debba essere liquidato detraendo dal credito risarcitorio il valore capitalizzato della pensione di reversibilità accordata al superstite» dall’Inps (ossia di quella provvidenza che, come ci descrive l’Istituto sul suo sito internet, viene garantita ai familiari superstiti per la morte di quel congiunto che «sia titolare di pensione diretta ovvero avendone diritto, ne abbia in corso la liquidazione»).
Tale dubbio era nato da un contrasto giurisprudenziale sorto circa quattro anni fa quando una sentenza della terza sezione civile della Cassazione (Cass. 13 giugno 2014, 13537) – sconfessando i precedenti orientamenti - aveva escluso il cumulo della pensione di reversibilità col risarcimento del danno patrimoniale patito dal familiare superstite beneficiario della provvidenza Inps, poiché tale operazione avrebbe determinato un ristoro ben superiore alla lesione subita e, dunque, un ingiustificato arricchimento.
Le Sezioni Unite hanno dunque approfittato dell’occasione per fornire alcuni principi di base che potranno servire a tutti gli interpreti per comprendere come e quando potrà applicarsi il principio della compensatio lucri cum damno in tutti quei casi in cui, a seguito di un fatto illecito, la vittima risulti allo stesso tempo beneficiaria di prestazioni risarcitorie e previdenziali/assistenziali. 

La selezione dei casi di operatività della compensatio
Non è certamente possibile in queste righe descrivere in dettaglio tutte le argomentazioni articolate dalle Sezioni Unite che, tuttavia, senza alcuna pretesa di esaustività, potrebbero sintetizzarsi in questi brevi punti:
  • Prima di tutto, bisogna comprendere se il risarcimento e l’asserito vantaggio ulteriore spettante alla vittima provengano dallo stesso soggetto autore del fatto lesivo. Secondo la Cassazione, la compensatio potrà operare in tutti i casi in cui sussista una coincidenza tra soggetto autore dell’illecito tenuto al risarcimento e quello tenuto per legge ad erogare un beneficio volto ad “assicurare al danneggiato una reintegra del suo patrimonio completa e senza duplicazioni” (nella sentenza si fa l’esempio delle emotrasfusioni di sangue infetto in cui il Ministero della salute viene chiamato a rispondere sia per l’indennizzo dovuto ai sensi della L. 210/1992 sia per il risarcimento del danno). Invece, precisano le Sezioni Unite, «in presenza di una duplicità di posizioni pretensive di un soggetto verso due soggetti diversi tenuti, ciascuno, in base ad un differente titolo, occorre rilevare che la prevalente giurisprudenza [di Cassazione] ritiene che per le fattispecie rientranti in questa categoria valga la soluzione del cumulo del vantaggio conseguente all’illecito, non quella del diffalco»;
  • Si deve poi indagare se le attribuzioni entrate nel patrimonio del danneggiato siano supportate non soltanto dal medesimo titolo (fatto illecito, norma di legge, contratto…), ma anche dalla medesima “ragione giustificatrice”, in modo da non confondere quelle prestazioni direttamente legate con l’evento lesivo rispetto a quelle che da questo siano soltanto “occasionate”. In particolare, secondo le Sezioni Unite, non possono essere scomputate tutte quelle attribuzioni patrimoniali derivanti da operazioni di sacrificio e/o di risparmio della vittima oppure da ragioni di solidarietà sociale (ad es. le indennità derivanti da un’assicurazione sulla vita, l’eredità acquisita a seguito della morte del prossimo congiunto, gli aiuti a sostegno di zone geografiche svantaggiate, i compensi derivanti da quella nuova occupazione che la vittima eserciti grazie alla suo spirito di resilienza o per necessità dovute alla scomparsa del “pater familiae”, ecc.). Insomma, per la Cassazione «La selezione tra i casi in cui ammettere o negare il diffalco deve essere fatta, dunque, per classi di casi, passando attraverso il filtro di quella che è stata definita la “giustizia” del beneficio e, in questo ambito, considerando la funzione specifica svolta dal vantaggio»; 
  • Bisogna poi indagare sull’esistenza di una espressa previsione da parte del legislatore di un diritto di surroga o di rivalsa che, secondo le Sezioni Unite, consenta ad uno o più dei soggetti che abbiano erogato la prestazione a favore della vittima di recuperare le risorse impiegate per fornire quella provvidenza. Date queste premesse, le Sezioni Unite hanno potuto affermare che «Dal risarcimento del danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta per colpa altrui non deve essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilità accordata dall'Inps al familiare superstite in conseguenza della morte del congiunto».
Questo perché: 
  • La pensione di reversibilità, appartenendo «al più ampio genus delle pensioni ai superstiti, [costituisce] una forma di tutela previdenziale» che si raccorda ad un peculiare fine solidaristico e di tutela della collettività, finalizzata all'adempimento di «una promessa rivolta dall'ordinamento al lavoratore-assicurato che, attraverso il sacrificio di una parte del proprio reddito lavorativo, ha contribuito ad alimentare la propria posizione previdenziale»;
  • non c’è una “ragione giustificatrice” sovrapponibile a quella del ristoro del danno derivante da fatto illecito «perché quel trattamento previdenziale non è erogato in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dal danneggiato, ma risponde ad un diverso disegno attributivo causale. La causa più autentica di tale beneficio - è stato osservato - deve essere individuata nel rapporto di lavoro pregresso, nei contributi versati e nella previsione di legge: tutti fattori che si configurano come serie causale indipendente e assorbente rispetto alla circostanza (occasionale e giuridicamente irrilevante) che determina la morte»; infine,
  • non sussiste «un subentro dell'Inps nei diritti del familiare superstite, percettore del trattamento pensionistico di reversibilità, verso i terzi responsabili del fatto illecito che ha determinato la morte del congiunto». 
Su queste riflessioni le Sezioni Unite si sono poi lasciate andare a considerazioni dal più ampio respiro, precisando come «il welfare previdenziale istituito e alimentato dai contributi del lavoratore, come tale espressione di una scelta di sistema pienamente conforme al respiro costituzionale della sicurezza sociale, [non] sia suscettibile di essere considerato un beneficio da assoggettare all'impiego contabilmente causale della compensatio lucri cum damno» e, dunque, allo scomputo da quelle prestazioni risarcitorie/indennitarie erogate da terzi (si pensi agli indennizzi assicurativi per i sinistri rc auto, ai risarcimenti per malpractice medica, ecc.).

Al lavoro per fare sintesi 
Bisognerà dunque fare molta attenzione e passare al vaglio dei principi sanciti dalla Cassazione ogni prestazione assistenziale/previdenziale per evitare facili speculazioni da parte di alcuni e permettere (ad esempio, ai giudici, alle assicurazioni, ecc.) liquidazioni dei danni più equilibrate. Si tratta di un esercizio piuttosto complesso che potrà essere aiutato grazie ad un serio lavoro di censimento di quella indistricabile selva di provvidenze elargite da assicuratori sociali, istituti pensionistici pubblici e privatizzati, istituti di welfare privato, enti pubblici territoriali, ecc.
Per fortuna, e ben prima della pronunzia delle Sezioni Unite, alcune associazioni e gruppi di studio hanno già iniziato ad affrontare il tema, prefiggendosi lo scopo di redigere e aggiornare apposite tabelle riportanti tutte le provvidenze appartenenti al mondo del welfare, nonché una specifica disciplina normativa utile al loro corretto cumulo o scomputo dalle eventuali prestazioni risarcitorie percepite dal beneficiario.

Sapranno convincere il legislatore? Chissà…
Una cosa è certa: sarà un lungo e duro lavoro.

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