Italia 2021, fuga dalla razionalità
Scetticismo sulla pandemia e fascinazione per le teorie del complotto: gli italiani, secondo l’ultimo rapporto del Censis, si scoprono irrazionali con l’emergenza coronavirus. Pesano sicuramente gli effetti economici e sociali del Covid-19, ma anche un assetto che non sembra più in grado di soddisfare le aspettative dei cittadini
L’Italia colpita dalla pandemia si scopre inaspettatamente irrazionale. Scetticismo sul coronavirus, scarsa fiducia nei vaccini contro il Covid-19, poco affidamento sugli specialisti del settore e una insana fascinazione per le teorie del complotto. Tutti sintomi di quella strana malattia che il Censis, nel suo ultimo rapporto sulla situazione sociale del Paese, ha definito “una fuga fatale nel pensiero magico”.
Il rapporto, giunto alla sua 55esima edizione, è stato presentato come da tradizione al Cnel, con un evento trasmesso in diretta streaming che è stato aperto dal presidente dell’istituto Tiziano Treu. I numeri dell’indagine definiscono i contorni di una situazione sociale che, volendo parafrasare il noto aforisma di Ennio Flaiano, “è grave ma non è seria”. Per il 10,9% della popolazione il vaccino è inutile e inefficace, per il 31,4% si tratta di un farmaco sperimentale e le persone che si vaccinano sono delle semplici cavie da laboratorio. Per il 5,9% degli italiani, più semplicemente, il Covid-19 non esiste. Poi ci sono i grandi classici del complottismo. La teoria cospirazionista della grande sostituzione tocca e convince il 39,9% degli italiani. Un altro 10% è convinto che l’uomo non è mai sbarcato sulla Luna, mentre per il 5,8% la Terra è piatta. “Sembrano pochi in termini percentuali, ma in realtà si tratta di quasi 3,5 milioni di persone”, ha commentato Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis.
RENDIMENTI DECRESCENTI PER GLI INVESTIMENTI SOCIALI
Questa fuga dalla razionalità non nasce dal nulla: secondo Valerii, è il risultato di quella che è stata definita “l’epoca dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali”. Detto in altri termini, la popolazione non vede più soddisfatte le aspettative sociali che aveva maturato nel tempo. E risponde alla delusione rifugiandosi nel pensiero magico del complottismo.
“L’82% della popolazione pensa di meritare di più dal proprio lavoro, il 65% dalla vita in generale”, ha affermato Valerii. Per i giovani la situazione appare ancora più difficile. La stragrande maggioranza degli italiani (81%) ritiene che oggi è molto difficile vedersi riconosciuto nella vita lo sforzo messo nella propria formazione. Il 35,5% è convinto che non convenga più di tanto impegnarsi per conseguire lauree, master ed eventuali specializzazioni. “La fuga nell’irrazionalità è dettata dalla frustrazione delle aspettative sociali”, ha commentato Valerii. “L’Italia – ha aggiunto – ha seguito una parabola sociale che è partita dal rancore, ha attraversato quello che noi del Censis abbiamo definito ‘sovranismo psichico’ e si è oggi evoluta nel gran rifiuto del discorso razionale, ossia di quegli strumenti con cui in passato abbiamo costruito il nostro benessere”.
POCHE SPERANZE NEL FUTURO
Speculare alla fuga nell’irrazionalità è poi la nostalgia del passato. Per due italiani su tre (66,2%) si viveva meglio prima e per la metà della popolazione (51,2%), nonostante le positive prospettive di crescita, non torneremo più ai livelli di benessere a cui eravamo abituati prima della pandemia. Più in generale, il futuro non sembra alimentare grandi speranze. “Solo il 15,2% pensa che dopo l’emergenza sanitaria la propria situazione economica potrà migliorare: per la maggioranza degli italiani resterà sostanzialmente uguale, mentre per un consistente 28,4% ci sarà addirittura un peggioramento”, ha spiegato Valerii.
Anche il pessimismo sulla situazione economica non nasce con la pandemia. “Il Pil dell’Italia è cresciuto complessivamente in termini reale del 45,2% negli anni ’80, è aumentato del 26,9% negli anni ’80 e del 17,3% negli anni ’90, per poi proseguire lungo una parabola discendente che è arrivata al 3,2% negli anni 2000 e dello 0,9% nel decennio precedente alla pandemia”, ha illustrato Valerii. Nel 2020, nel primo anno dell’emergenza sanitaria, il Pil è poi sprofondato dell’8,9%. E neppure le positive prospettive di rimbalzo appaiono tanto solide: dopo il vigoroso +6,3 previsto per il 2021, l’andamento del Pil dovrebbe proseguire lungo una parabola discendente che non andrebbe oltre il +4,7% nel 2022 e il 2,9% nel 2023. E sono stime, ha avvertito Valerii, che “incorporano anche gli effetti del Pnrr”.
POVERTÀ IN AUMENTO, CONSUMI IN CALO
A tutto ciò si sommano poi gli effetti diretti della pandemia. A cominciare da un tasso di povertà che, a seguito dell’emergenza sanitaria e dei lockdown disposti per evitare ogni rischio di contagio, è tornata ad aumentare. Il rapporto, a tal proposito, stima che due milioni di famiglie italiane vivano in una condizione di povertà assoluta, con un aumento vertiginoso (+104,8%) rispetto alle 980mila del 2010. Posti questi numeri, non stupisce dunque che gli italiani si sentano più vulnerabili.
Anche l’andamento dei consumi sembra risentire della pandemia. Nonostante il +14,4% fatto registrare nel secondo trimestre dell’anno a seguito dell’allentamento delle misure di lockdown, il rapporto stima un aumento dei consumi del 5,2% per il 2021, inferiore dunque alla crescita del Pil e inadeguato, ha detto Valerii, a “riportare i livelli di spesa della famiglie italiane sui dati che si registravano nel 2019”. Del resto, ha proseguito, “il tasso medio annuo di crescita reale dei consumi si è progressivamente ridotto nel tempo, passando dal +3,9% degli anni ’70 al +2,5% degli anni ’80, al +1,7% degli anni ’90”. Negli anni 2000 si era attestato al +0,2%, per sprofondare in territorio negativo con l’emergenza coronavirus.
IL BISOGNO DI RIPARTIRE
Poste queste basi, la parola d’ordine è una sola: ripartire. Per farlo, tuttavia, saranno necessarie una progettualità e una visione a cui in Italia non siamo da tempo abituati. “C’è tanta voglia di ripartire, ma anche molta incertezza”, ha osservato Giorgio De Rita, segretario generale del Censis, nelle battute conclusive dell’evento. “La pandemia – ha aggiunto – ha rotto anche quei meccanismi di adattamento orizzontale, magari furbo e minuto, con cui le persone e le imprese erano riuscite a superare le difficoltà del passato: l’improvvisazione, in questo momento, non basta più”. E non basta soprattutto perché l’Italia si trova nel pieno di una serie di transizioni (digitale, ambientale, demografica e lavorativa) che devono essere affrontate con progettualità per porre le basi del benessere nel prossimo futuro. “Serve un progetto che tenga insieme tutto quanto per definire in maniera puntuale le nuove fondamenta della nostra società: in caso contrario, c’è il serio rischio che si esca dalla pandemia con un passo indietro rispetto alle sfide che dovremmo prima o poi affrontare”, ha commentato De Rita. Del resto, ha concluso, “il coronavirus ci sta offrendo una grande opportunità: quella di riconnettere le istituzioni con la vita sociale e con le aspettative della popolazione, generando uno sforzo che possa consentirci di non essere soltanto una semplice società mediocre”.
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