Itinerari Previdenziali, attenzione ad anticipi ed età di pensionamento
Il sistema pensionistico tiene ma, secondo l’ultima ricerca del centro studi, saranno necessarie scelte politiche sempre più oculate per garantire la sostenibilità dell’assetto previdenziale
Il sistema previdenziale pubblico in Italia regge, ma attenzione all’età di pensionamento e alle possibili misure di uscita anticipata dal mercato del lavoro. È questo, in estrema sintesi, il monito che arriva dalla decima edizione de Il Bilancio del sistema previdenziale italiano, ormai tradizionale pubblicazione periodica curata dal centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali che è stato presentato questa mattina nella sala stampa della Camera dei Deputati.
Punto di partenza della ricerca che è l’assetto pensionistico italiano, dopo il duro colpo arrivato con la pandemia di coronavirus, ha saputo mostrare una certa capacità di ripresa. Il rapporto fra attivi e pensionati nel 2021 si è attestato a 1,42, ancora lontano dal record di 1,44 raggiunto nel 2019 ma comunque in ripresa rispetto all’1,38 del 2020.
Nel 2021 si contavano poco più di 16 milioni di pensionati, una spesa pensionistica complessiva di quasi 240 miliardi di euro ed entrate contributive di circa 210 miliardi di euro, per un saldo negativo di 30 miliardi di euro imputabile soprattutto al -37 miliardi di euro della gestione dei dipendenti pubblici.
“A oggi il sistema è sostenibile e lo sarà anche tra 10-15 anni, nel 2035/40, quando le ultime frange dei baby boomer nati dal dopoguerra al 1980 si saranno pensionate”, ha commentato Alberto Brambilla (nella foto), presidente del centro studi. “Perché si mantenga questo delicato equilibrio – ha però subito ammonito – sarà però indispensabile intervenire maniera stabile e duratura sul sistema, tenendo conto di quattro principi fondamentali: le età di pensionamento, attualmente tra le più basse d’Europa nonostante un’aspettativa di vita tra le più elevate a livello mondiale, e che dovranno dunque gradualmente aumentare; l’invecchiamento attivo dei lavoratori, attraverso misure volte a favorire un’adeguata permanenza sul lavoro delle fasce più senior della popolazione; la prevenzione, intesa come capacità di progettare una vecchiaia in buona salute; e le politiche attive del lavoro, da realizzare di pari passo con un’intensificazione della formazione professionale, anche on the job”.
Altro motivo di preoccupazione è poi dato dall’assistenza, ambito di welfare che nel 2021 ha generato una spesa complessiva di 144,2 miliardi di euro: tutti soldi che sono stati attinti dalla fiscalità generale. Il rapporto, a tal proposito, stima che nel 2021 sono state necessarie tutte le imposte dirette (e anche parte di quelle indirette) per finanziare la spesa complessiva per assistenza e sanità.
Di fronte a queste cifre, ha osservato Brambilla, “ci si aspetterebbe per contro quantomeno una riduzione del numero dei poveri e, invece, secondo i dati dell’Istat, i cittadini in povertà assoluta sono più che raddoppiati, passando da 2,11 a 5,6 milioni, mentre quelli in povertà relativa sono saliti da 6,5 a 8,8 milioni”.
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