Lavoro, le donne straniere sono le più penalizzate
Per quelle che lavorano (molte meno rispetto agli uomini), la retribuzione media annua è inferiore del 30,5% rispetto alla media maschile. La metà di loro è impiegata come lavoratrice domestica, badante, addetta alle pulizie o cameriera
Nel nostro paese i lavoratori stranieri sono generalmente svantaggiati rispetto agli italiani, e la situazione è ancor più difficile per le donne: non solo la percentuale di quelle che lavora è inferiore rispetto a quella degli immigrati uomini, ma sono anche concentrate nelle occupazioni più umili e guadagnano nettamente di meno. Questi alcuni dei dati emersi dal seminario Immigrate e lavoro, il quinto della serie Le scomode cifre dell'Italia delle donne, organizzato a Roma dal Consiglio Nazionale degli Attuari in collaborazione con l’associazione Noi Rete Donne.
Secondo l’Inps, il 42,5% dei cittadini stranieri regolari presenti sul territorio sono donne, e la loro retribuzione media annua è di 12.788 euro, il 30,5% in meno rispetto alla media maschile (dati del 2023). Analizzando le informazioni sui paesi di provenienza, il differenziale retributivo rispetto agli uomini va dal -27,8% delle pakistane al -43,5% delle moldove, con un’unica vistosa eccezione. Le lavoratrici cinesi guadagnano infatti soltanto il 5,3% in meno degli uomini, che però sono quelli con la retribuzione più bassa tra tutti i lavoratori stranieri (una media di 12.167 euro lordi l’anno). La misura dello svantaggio dei lavoratori stranieri risulta ancor più chiara dal confronto con le medie del totale Italia: 29.409 euro annui lordi per gli uomini e 19.902 per le donne.
Il modello di segregazione occupazionale
“Nel nostro paese, le donne straniere nel mondo del lavoro subiscono gli effetti di un doppio stigma: essere straniere ed essere donne”, ha sottolineato Luca Di Sciullo, presidente del centro di ricerca Idos. Dietro differenziali retributivi così ampi c’è il peso di quello che Di Sciullo definisce “modello di segregazione occupazionale”: gli stranieri vengono convogliati verso il cosiddetto mercato secondario del lavoro, quello di tutte le professioni che gli italiani non vogliono più svolgere. Gli anglosassoni li chiamano i lavori delle tre d (dirty, dangerous, demeaning, cioè sporchi, pericolosi, degradanti), in Italia vengono definiti delle cinque p (precari, pesanti, pericolosi, poco pagati, poco riconosciuti socialmente). Si tratta di figure quali braccianti, manovali, facchini, addetti alle faccende domestiche o addetti alle cucine.
La penalizzazione femminile si vede anche nel tipo di occupazione: se il 50% della manodopera straniera maschile si concentra nelle prime 19 professioni più battute, per assorbire il 50% delle straniere ne bastano quattro: lavoratrice domestica, badante, addetta alle pulizie e cameriera. Inoltre il loro tasso di inattività è del 43,2%, contro il 16,5% degli uomini. Le altre o non lavorano, o sono relegate in casa a occuparsi dei figli o sono occupate in nero (molto più degli uomini).
Riguardo agli infortuni sul lavoro, invece, nell'ultimo biennio (2022-2023) si registra una nota positiva: dopo gli anni della pandemia gli episodi sono diminuiti del 2,9% per il totale dei lavoratori stranieri, calo che sale al 16% considerando soltanto le donne. La diminuzione è stata comunque maggiore per i lavoratori italiani (-18,9% il totale, -29,4% le donne).
Secondo l’Inps, il 42,5% dei cittadini stranieri regolari presenti sul territorio sono donne, e la loro retribuzione media annua è di 12.788 euro, il 30,5% in meno rispetto alla media maschile (dati del 2023). Analizzando le informazioni sui paesi di provenienza, il differenziale retributivo rispetto agli uomini va dal -27,8% delle pakistane al -43,5% delle moldove, con un’unica vistosa eccezione. Le lavoratrici cinesi guadagnano infatti soltanto il 5,3% in meno degli uomini, che però sono quelli con la retribuzione più bassa tra tutti i lavoratori stranieri (una media di 12.167 euro lordi l’anno). La misura dello svantaggio dei lavoratori stranieri risulta ancor più chiara dal confronto con le medie del totale Italia: 29.409 euro annui lordi per gli uomini e 19.902 per le donne.
Il modello di segregazione occupazionale
“Nel nostro paese, le donne straniere nel mondo del lavoro subiscono gli effetti di un doppio stigma: essere straniere ed essere donne”, ha sottolineato Luca Di Sciullo, presidente del centro di ricerca Idos. Dietro differenziali retributivi così ampi c’è il peso di quello che Di Sciullo definisce “modello di segregazione occupazionale”: gli stranieri vengono convogliati verso il cosiddetto mercato secondario del lavoro, quello di tutte le professioni che gli italiani non vogliono più svolgere. Gli anglosassoni li chiamano i lavori delle tre d (dirty, dangerous, demeaning, cioè sporchi, pericolosi, degradanti), in Italia vengono definiti delle cinque p (precari, pesanti, pericolosi, poco pagati, poco riconosciuti socialmente). Si tratta di figure quali braccianti, manovali, facchini, addetti alle faccende domestiche o addetti alle cucine.
La penalizzazione femminile si vede anche nel tipo di occupazione: se il 50% della manodopera straniera maschile si concentra nelle prime 19 professioni più battute, per assorbire il 50% delle straniere ne bastano quattro: lavoratrice domestica, badante, addetta alle pulizie e cameriera. Inoltre il loro tasso di inattività è del 43,2%, contro il 16,5% degli uomini. Le altre o non lavorano, o sono relegate in casa a occuparsi dei figli o sono occupate in nero (molto più degli uomini).
Riguardo agli infortuni sul lavoro, invece, nell'ultimo biennio (2022-2023) si registra una nota positiva: dopo gli anni della pandemia gli episodi sono diminuiti del 2,9% per il totale dei lavoratori stranieri, calo che sale al 16% considerando soltanto le donne. La diminuzione è stata comunque maggiore per i lavoratori italiani (-18,9% il totale, -29,4% le donne).
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