Il principio costituzionale di solidarietà verso i medici
Ci si attende per l’inizio dell’autunno una grande mole di richieste di risarcimento da parte dei congiunti di persone decedute per il Covid-19. Legislatore e giurisprudenza hanno il dovere di tutelare il mondo sanitario che dovuto affrontare verso una malattia sconosciuta
02/07/2020
Il tema dell’applicazione diretta dei principi costituzionali e delle clausole generali nelle obbligazioni risarcitorie e nei contratti si inquadra in un ambito più ampio che ha per oggetto il ruolo svolto dalla giurisprudenza come fonte creatrice del diritto. Come è noto, la dottrina sulla quale si fonda questa nuova concezione della giurisdizione denominata neocostituzionalismo o costituzionalismo principialista, sostiene che le Costituzioni consistono in un insieme di princìpi, più che di regole, e i principi devono essere sempre ponderati e bilanciati dal giudice che deve scegliere di volta in volta quello che sostiene più plausibile e pertinente per risolvere il caso concreto sottoposto al suo esame.
Paolo Grossi, grande giurista e storico del diritto, è sicuramente l’esponente più importante di questa corrente dottrinaria. Ma non possiamo dimenticare l’apporto che altri giuristi come Rosario Nicolò e Pietro Perlingieri, hanno dato a questa concezione del diritto che vede nei principi costituzionali una forza espansiva che deve incidere nelle obbligazioni risarcitorie e nei rapporti tra i privati.
Nel mio articolo su La riscoperta della solidarietà all’epoca del coronavirus pubblicato su Insurance Daily del 24 aprile scorso, citavo poi un altro grande giurista, Stefano Rodotà, che, già negli anni Sessanta del secolo scorso, in un suo famoso libro sul problema della responsabilità civile, reinterpretava la clausola generale del danno ingiusto alla luce del principio costituzionale di solidarietà.
Nel precedente articolo evidenziavo anche che le parole di Rodotà sulla solidarietà (non quella di moda oggi) dovrebbero diventare una guida per il legislatore e la giurisprudenza nell’ambito della responsabilità sanitaria, per evitare che nel prossimo futuro un Paese senza memoria come il nostro dimentichi i medici e gli altri esercenti le professioni sanitarie che, a costo della loro vita, hanno combattuto in prima linea per tutelare la nostra salute da questa tragedia.
Ebbene, di fronte ai recenti comunicati di studi legali che offrono consulenza e assistenza ai congiunti dei pazienti che sono deceduti in conseguenza del coronavirus e a uno scenario che prevede, dopo l’estate, un proliferare di cause civili e penali nei confronti di medici e strutture sanitarie, si rende necessaria qualche ulteriore riflessione sul principio di solidarietà affermato dalla Costituzione che va calato nella normativa e nella giurisprudenza.
I doveri del legislatore
Il primo che deve attuare il principio costituzionale di solidarietà nei confronti degli esercenti le professioni sanitarie è il legislatore. A questo proposito occorre tenere sempre presente il pensiero di un filosofo del diritto, Luigi Ferrajoli, che nei suoi scritti, in contrapposizione all’orientamento neocostituzionalista sopra richiamato, ha evidenziato che questo principio e gli altri enunciati dalla nostra Costituzione hanno bisogno di leggi applicative.
E lo stesso vale per i diritti.
Persino il diritto alla vita, ha affermato Ferrajoli più volte, sarebbe un diritto sulla carta se non ci fosse una legge che punisce l’omicidio.
Il legislatore, dunque, dovrebbe emanare una normativa speciale che abbia lo scopo di limitare la responsabilità civile e penale dei medici e degli altri esercenti le professioni sanitarie per condotte colpose poste in essere nel periodo di emergenza sanitaria da coronavirus.
Come è noto, gli emendamenti presentati al Decreto Legge n. 18/2020 che perseguivano questo obiettivo (mi riferisco all’emendamento del senatore Marcucci) sono stati ritirati, ma se si vuole veramente applicare il principio costituzionale di solidarietà nei confronti dei medici, occorre introdurre un regime speciale che li tuteli nelle controversie che potrebbero travolgerli nel prossimo futuro.
Non possiamo far finta di dimenticare che i medici e gli altri esercenti le professioni sanitarie si sono trovati a fronteggiare una patologia sconosciuta in assenza di linee guida e di buone pratiche assistenziali e, in alcuni casi (ricordiamo i casi drammatici avvenuti negli ospedali di Bergamo, Lodi e Codogno), con risorse limitate (ad esempio il numero non sufficiente di posti letto nelle terapie intensive).
Tra l’altro, una normativa speciale permetterebbe anche ai pochi assicuratori che ancora assicurano il rischio sanitario di rimanere sul mercato. E tutti sappiamo quanto sia importante la leva assicurativa per gli esercenti le professioni sanitarie, le strutture sanitarie ma anche per i pazienti nella Legge n. 24/2017.
La soluzione dell’indennizzo
Il secondo intervento normativo che applicherebbe il principio costituzionale di solidarietà nei confronti dei medici e degli altri esercenti le professioni sanitarie, nonché di tutti coloro che sono deceduti in conseguenza di questa pandemia, ha per oggetto una legge che istituisca un indennizzo a favore dei congiunti che abbiano subito un danno da perdita di un rapporto parentale a causa del coronavirus.
Detto altrimenti, il principio di solidarietà imporrebbe l’adozione di uno strumento indennitario simile a quello introdotto dalla Legge n. 210/1992 in materia di danni alla persona conseguenti a vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati.
La solidarietà assicurata dallo Stato, dunque, con queste iniziative, rispecchierebbe il senso profondo dell’articolo 2 della Costituzione che individua un criterio ordinante nelle relazioni sociali. Non sono soltanto i danneggianti che devono essere solidali con i danneggiati, ma anche questi ultimi devono essere consapevoli del ruolo fondamentale svolto nella società dai medici e dagli altri esercenti le professioni sanitarie, soprattutto in un contesto di grave emergenza sanitaria.
I doveri della giurisprudenza
Anche la giurisprudenza dovrebbe applicare il principio costituzionale di solidarietà nelle future controversie tra i congiunti dei pazienti deceduti in conseguenza del Covid19 da una parte, e gli esercenti le professioni sanitarie nonché le strutture sanitarie dall’altra.
In pratica, le regole dettate dalla giurisprudenza sin dagli anni Ottanta del secolo scorso nell’ambito della responsabilità sanitaria, dovrebbero essere applicate in modo meno rigoroso o non essere applicate, punto.
Ecco due esempi. L’articolo 2236 del Codice Civile che la giurisprudenza, di fatto, non ha più applicato nella responsabilità sanitaria, dovrebbe essere a mio avviso recuperato per offrire ai medici un’àncora di salvataggio nelle cause civili che dovranno affrontare in futuro.
La giurisprudenza poi dovrebbe interpretare diversamente da quanto fatto sino a ora la clausola generale dell’impossibilità della prestazione prevista dall’articolo 1218 del Codice Civile.
Sappiamo tutti che l’articolo 1218 del Codice Civile non configura una responsabilità oggettiva, eppure la giurisprudenza ha interpretato questa clausola quasi sempre nell’interesse del paziente, rendendo praticamente impossibile la prova contraria da parte di medici e strutture sanitarie.
Ma di fronte all’emergenza sanitaria, penso che nelle future cause la giurisprudenza debba interpretare questa clausola configurando una situazione di impedimento oggettivo della prestazione per causa non imputabile a beneficio dei medici e delle strutture sanitarie.
La tragedia della pandemia, in conclusione, dovrebbe essere l’occasione anche per la giurisprudenza per ripensare alle regole dettate in materia di responsabilità sanitaria in modo più equilibrato, contemperando gli interessi in conflitto e prendendo in considerazione, in applicazione del principio di solidarietà, non solo i diritti dei pazienti ma anche l’attività dei medici e degli altri esercenti le professioni sanitarie.
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