Il danno morale: quell’eterno indeciso!
Una recente sentenza della Cassazione ribadisce l’autonomia del danno morale rispetto a quello biologico, ma nella necessità di distinguerli le tabelle di Milano impongono l’applicazione di calcoli appropriati
21/12/2020
Sembra proprio che il danno morale soffra di una crisi di identità, che ben si confà a questi tempi di estrema incertezza, non solo giurisprudenziale. La crisi ha per oggetto la sua collocazione all’interno dello schema risarcitorio del danno alla persona, o meglio quello liquidativo.
L’occasione per affrontare la peculiare questione involgente profili di rilevanza nomofilattica è un ricorso per Cassazione proposto avverso una sentenza emessa dalla Corte di Appello di Trieste avente ad oggetto, sul piano del quantum debeatur, la liquidazione del danno alla persona a seguito di sinistro stradale.
Il giudice triestino di secondo grado liquidava il danno alla persona applicando le cosiddette tabelle di Milano per la liquidazione del danno non patrimoniale e aumentava l’importo riconosciuto per invalidità permanente del 25%, a titolo di personalizzazione del danno per gli aspetti dinamici compromessi, accordando una ulteriore somma a titolo di danno morale ritenendo che “le sofferenze di natura del tutto interiore e non relazionale” fossero meritevoli di un “compenso aggiuntivo”.
Veniamo subito al nodo gordiano della questione: ma a partire dal 2009 il danno morale non era stato ricompreso all’interno dei valori liquidati dalle tabelle di Milano per il cosiddetto danno biologico? Così facendo i giudici triestini non hanno compiuto una duplicazione risarcitoria (operazione non consentita dal nostro ordinamento)?
Sì, dopo una lunga e tortuosa storia che comincia negli anni ‘70 nelle corti genovesi, dal 2009 il Tribunale di Milano propone la cosiddetta liquidazione unitaria del danno alla persona che comprende quanto era risarcito come danno biologico standard e danno morale: il danno morale, mediante l’appesantimento del punto percentuale, è riconosciuto e liquidato in via automatica, mediante aumenti fissi o progressivi, sul e congiuntamente al danno biologico. Ma così facendo che fine fa la prova della lesione dell’integrità morale?
Tra ontologia e liquidazione
Con la sentenza n. 25164/2020 pubblicata in data 10/11/2020, la Sezione Terza della Corte di Cassazione Civile torna a occuparsi della collocazione del danno morale e quindi inevitabilmente delle tabelle di liquidazione del danno, fornendo ai giudici di merito una sorta di mappa da seguire nella liquidazione del danno alla salute nella triade composta da danno dinamico-relazionale (cosiddetto danno biologico), danno morale e personalizzazione del danno dinamico-relazionale.
La sentenza in esame conferma il principio, del tutto conforme a diritto e integralmente condiviso dalla Corte stessa, secondo il quale “la voce di danno morale mantiene la sua autonomia e non è conglobabile nel danno biologico, trattandosi di sofferenza di natura del tutto interiore e non relazionale, e perciò meritevole di un compenso aggiuntivo al di là della personalizzazione prevista per gli aspetti dinamici compromessi”.
Inquadrata la corretta ontologia del danno morale come autonoma componente del danno biologico, permane il problema circa la sua liquidazione. E qui l’esplicitazione di un certo dissenso che probabilmente era già stato percepito dai più attenti. Secondo la Corte di Cassazione, le tabelle di Milano, che prevedono la liquidazione di entrambe le voci di danno biologico e morale, pervengono non correttamente all’indicazione di un valore monetario complessivo costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno. Si mette in discussione la struttura delle tabelle stesse anche dal punto di vista della prova.
Per le Tabelle di Milano serve un calcolo matematico
Le linee guida che vengono indicate per i giudici di merito nel procedere alla liquidazione del danno alla salute sono chiare: dovrà essere accertata l’esistenza, nel singolo caso concreto, del danno morale. In caso di positivo accertamento, dovrà essere determinato il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, mentre in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, si dovrà procedere a liquidare esclusivamente il danno dinamico-relazionale. Come compiere concretamente quest’ultima operazione stante un valore monetario complessivo? Si dovrà procedere a una sottrazione aritmetica che elimini dal valore del danno biologico l’aumento tabellarmente previsto per il danno morale. A questo punto, laddove siano accertati i presupposti, personalizzare il danno così depurato, operazione da compiersi aumentando di una percentuale il solo valore del danno biologico (tornano i riferimenti agli artt. 138 e 139 del Cap con possibile aumento della liquidazione del danno biologico nella misura massima del 30% quando la menomazione incida su specifici aspetti dinamico relazionali).
Evidente come gli estensori della sentenza in commento non condividano la struttura elaborata dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano.
Ma ricordiamo il ruolo svolto dalle tabelle di Milano. Non costituiscono criterio codificato per la liquidazione del danno biologico. La quantificazione del danno non patrimoniale fa ricorso a un criterio equitativo che trova il proprio fondamento normativo negli artt. 1226 e 2056 c.c.. Dette tabelle non costituiscono norme di diritto, né fatti di comune esperienza di cui all’articolo 115 c.p.c..
Qualche problema pratico
In assenza di parametri normativi di riferimento, nell’eterna attesa che anche per le cosiddette macrolesioni (danni superiori alla percentuale di invalidità permanente pari al 9%) vengano elaborate delle tabelle ministeriali così come per il danno biologico di lieve entità, gli operatori del diritto dovranno ricorrere a parametri differenti e, nel caso delle tabelle di Milano, smontare i singoli elementi e rimontarli caso per caso (applicando o meno le percentuali relative al calcolo del danno morale sul danno biologico).
Appare evidente che posta così la questione, dal punto di vista applicativo, diversi potrebbero essere i problemi pratici nella gestione anche stragiudiziale delle singole liquidazioni. I più arditi avevano tentato di recidere l’automatismo creato dalle tabelle di Milano, eccependo la mancanza di prova del danno morale. Ma assistiamo ancora sovente a marchiane applicazioni anche, per esempio, della cosiddetta personalizzazione del danno, per alcuni sempre dovuta (anche tale aspetto viene analizzato dalla sentenza in esame: “La personalizzazione del danno deve trovare giustificazione «nel positivo accertamento di specifiche condizioni eccezionali ulteriori rispetto a quelle ordinariamente conseguenti alla menomazione»”).
Riuscirà la sentenza esaminata a sciogliere il meccanismo sotteso alle tabelle di Milano come Alessandro Magno nel 332 a.C. fece con il nodo gordiano? Non ci resta che attendere.
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