Dall’abuso del diritto all’abuso del processo
La giustizia è una risorsa limitata a cui tutta la comunità ha diritto di accedere. Come richiamato da diverse sentenze della Cassazione, il ricorso a richieste di giudizio deve avvenire nella corretta forma e misura, per non sovraccaricare il sistema e nel rispetto del bene comune
11/05/2021
In un articolo pubblicato su Insurance Daily dell’11 febbraio scorso, ho trattato il tema dell’abuso del diritto che, grazie al diritto vivente, è ormai entrato nel nostro ordinamento e obbliga tutti a essere più solidali nei rapporti contrattuali e nelle obbligazioni risarcitorie.
La categoria dell’abuso del diritto è nata dal matrimonio tra principi costituzionali (in particolare il dovere di solidarietà affermato dall’articolo 2 della Costituzione) e la clausola generale di correttezza e buona fede prevista dagli articoli 1175, 1337 e 1375 del codice civile.
Qualsiasi soggetto, sia esso persona fisica o giuridica, non può, dunque abusare di un proprio diritto derivante da una legge o da un contratto se l’esercizio di tale diritto si scontra con il principio costituzionale di solidarietà abbinato con la clausola generale di buona fede.
L'ABUSO DEL PROCESSO
Una proiezione dell’abuso del diritto è rappresentata dall’abuso del processo che si configura quando una parte pone in essere un atto processuale non per perseguire lo scopo di tale atto ma per un obiettivo diverso, dando luogo così alla violazione del dovere di buona fede legato sempre a un principio costituzionale, che non è quello di solidarietà ma del giusto processo enunciato dall’art. 111 della Costituzione.
Quando sarà terminata l’emergenza sanitaria, sono in molti a temere che assisteremo a una pandemia giuridica, ovvero a un incremento delle cause nei confronti di strutture sanitarie, residenze sanitarie per anziani, esercenti le professioni sanitarie e datori di lavoro.
Ebbene, in questa situazione, è necessario, che gli assicuratori prestino molta attenzione alla categoria dell’abuso processuale.
ALCUNI ESEMPI DI ABUSO DEL PROCESSO
La giurisprudenza di legittimità e di merito è intervenuta diverse volte sul divieto dell’abuso processuale in materia di frazionamento giudiziale del credito nascente da un unico rapporto obbligatorio.
La sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite che ha fatto da apripista è stata la 23726 del 15 novembre 2017. Ne sono seguite poi molte altre. La sentenza della Cassazione 3738 del 15 febbraio 2018, ad esempio, ha riconosciuto un indebito frazionamento del credito nella condotta di un perito che ha proposto diverse iniziative giudiziarie nei confronti di una compagnia volte a ottenere i compensi relativi allo svolgimento di perizie riconducibili a un unico rapporto contrattuale e di durata.
Il frazionamento del credito, ha affermato la Suprema Corte, rappresenta un abuso processuale perché è in contrasto con il principio di buona fede abbinato al principio costituzionale del giusto processo, sicché il perito avrebbe dovuto introdurre un’unica azione legale per ottenere dalla compagnia il pagamento dei suoi compensi.
Un altro esempio di abuso processuale è rappresentato dalla condotta di quei danneggiati che propongono separate domande giudiziali per ottenere prima il risarcimento del danno patrimoniale e poi il ristoro del danno alla salute. Ebbene, la Corte di Cassazione, con sentenza 17019 del 23 giugno 2018, (ma ce ne sono molte altre) ha confermato la decisione della Corte d’appello che aveva ritenuto illegittima la condotta processuale del danneggiato che, dopo aver introdotto un’azione civile per ottenere il risarcimento del danno materiale, subito alla propria auto in conseguenza di un incidente stradale, aveva successivamente introdotto un nuovo giudizio per ottenere il risarcimento del danno alla salute.
La Cassazione ha affermato che il danneggiato ha abusato dello strumento processuale perché, quando ha proposto l’azione legale per ottenere il ristoro del danno patrimoniale, già conosceva le conseguenze che l’incidente stradale aveva provocato anche nella sua sfera non patrimoniale.
In questa pronuncia, gli ermellini fanno un primo riferimento alla giustizia come bene della collettività che va tutelato. Ma le sentenze nelle quali l’abuso processuale è correlato soprattutto all’abuso del sistema giustizia sono quelle che applicano l’art. 96, comma 3 del codice di procedura penale (c.p.c).
ABUSO DEL PROCESSO E ART. 96, COMMA 3 C.p.c
Scopo di questa norma, secondo la giurisprudenza di legittimità è proprio quello di scoraggiare l’abuso dello strumento processuale a tutela dell’interesse pubblico a un giusto processo.
Sono diverse le sentenze della Cassazione che richiamano il principio costituzionale del giusto processo e il dovere di buona fede che incombe sul soggetto che agisce in giudizio. Basta riandare, ad esempio, alla sentenza 3003 dell’11 febbraio 2014.
Ma anche molte sentenze della giurisprudenza di merito fanno riferimento all’interesse pubblico a una giustizia sana e funzionale, che scoraggia il contenzioso fine a se stesso aggravando il ruolo del magistrato e concorrendo a rallentare i tempi di definizione dei processi. Ho ripreso le parole utilizzate in una sentenza del tribunale di Varese del 23 gennaio 2010 del giudice Buffone che ha interpretato la disposizione dell’art. 96, terzo comma c.p.c. come una norma di natura sanzionatoria/punitiva.
In conclusione, il soggetto che agisce in giudizio in applicazione del diritto costituzione affermato dall’art. 24 della Costituzione lo può fare a condizione però che egli non abusi del sistema dell’amministrazione della giustizia che, come è noto, non è una risorsa infinita. Chi agisce in giudizio a scopo dilatorio, ad esempio, non solo danneggia la parte convenuta ma anche la giurisdizione nel suo complesso, perché taglia risorse per risolvere le liti allungando così la durata dei processi.
Sul punto, richiamo un bel libro di Giuliana Romualdi che si intitola proprio Dall’abuso del processo all’abuso del sistema giustizia.
È questo il messaggio che ci proviene da molte sentenze della Corte di Cassazione, della giurisprudenza di merito e, da ultimo, anche dal legislatore con l’art. 96, terzo comma c.p.c.. Non si può abusare della giustizia che è una risorsa limitata, appartenente alla comunità, nel rispetto del principio costituzionale del giusto processo e del dovere di correttezza e buona fede.
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