Il perimetro di applicazione dell'obbligo di assicurazione dei rischi catastrofali
Rispondendo a una domanda giunta in redazione da un lettore, l'avvocato Maurizio Hazan e l'avvocata Francesca Colombo, dello studio legale Thmr, propongono ulteriori riflessioni sul tema della polizza obbligatoria per le imprese
02/09/2024
Sollecitati dalla domanda di un lettore, che riportiamo qui sotto, l'avvocato Maurizio Hazan e l'avvocata Francesca Colombo, dello studio legale Thmr, tornano sul tema dell'obbligo di assicurazione dei rischi catastrofali che interessa le imprese, rispondendo e proponendo ulteriori riflessioni.
DOMANDA:
Buonasera, nell'articolo Catastrofi naturali, un’idea di decreto attuativo, pubblicato il 25/07/2024 si dice, alla fine del punto riguardante LE IMPRESE CHE DEVONO ASSICURARSI, che "non devono iscriversi al registro delle imprese, e dunque non sono tenute ad assicurarsi, i piccoli imprenditori, i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia".
Gli autori dell'articolo sono sicuramente competenti e affidabili ma non riscontro tale puntualizzazione in altri articoli e pareri esaminati. Potreste confermarmi la correttezza dello scritto?
Cordiali saluti.
RISPOSTA:
La domanda di un lettore, legittima e pertinente, su un passaggio trattato nel nostro precedente contributo (pubblicato su Insurance Daily il 25 luglio scorso Catastrofi naturali, un’idea di decreto attuativo) ci induce a tornare sull’argomento, con particolare riferimento all’individuazione del perimetro soggettivo e oggettivo dei nuovi obblighi assicurativi in tema di rischi catastrofali. Non c’è, e non ci poteva essere, una pretesa di esattezza interpretativa e applicativa in queste prime ricognizioni della nuova disciplina obbligatoria, a tutt’oggi carente della sua parte attuativa. Si tratta invero di una normativa (articolo 1, commi 101 e seguenti, legge 213/2023) che, pur dal sicuro impatto sociale e dai grandi sviluppi prospettici, pone numerose perplessità operative, legate non solo alla complessità e alla sostenibilità dei rischi sottesi ma anche alla stessa (non brillantissima) formulazione del testo di legge. Le bozze, sino a oggi circolate, del decreto attuativo, che dovrebbe fornire indispensabili precisazioni applicative e opportune regolazioni di dettaglio, risentono dello stesso imbarazzo e tentano, in qualche modo, di correggere, alcune opacità della norma primaria. Rischiando tuttavia di eccedere la delega e, per restare in tema, di esondare dall’alveo delle coordinate legislative di partenza.
Il primo tra gli argomenti perplessi riguarda un aspetto di rilevantissima portata: quello relativo all’individuazione di chi siano le imprese che, assoggettate all’obbligo di assicurarsi, andranno a comporre la platea mutualistica che dovrà fungere da base collettiva idonea a sostenere la copertura di un rischio di tale portata e dimensione. L’introduzione dell’obbligo, spinta dall’aumentata frequenza degli eventi sismici e alluvionali in questi ultimi anni, tende, da un lato, a sopperire alla carenza di iniziative spontanee da parte dei consociati (che non sentono il bisogno di assicurare un rischio che ritengono in qualche modo già coperto dallo Stato attraverso la fiscalità generale); dall’altro mira ad allestire una platea mutualistica sufficientemente ampia da permettere la presa in carico, da parte del mercato assicurativo e riassicurativo (in compartecipazione con Sace), di situazioni catastrofali che potrebbero mettere a repentaglio la sostenibilità delle operazioni assicurative, se mal calibrate in assenza di una sufficiente compensazione, anche territoriale, tra i rischi assunti in copertura.
Determinante, a tale fine, è capire quanto tale platea sia estesa e, correlativamente, quali siano le compagnie assicurative obbligate a contrarre, stabilendo in che modo debbano accogliere le richieste di polizze proveniente dalle imprese tenute ad assicurarsi. Ecco perché ben si pone la domanda del lettore, che si chiede se le imprese obbligate ad assicurarsi, che andranno a comporre il nuovo mercato di riferimento e la base mutualistica di cui abbiamo detto, siano tutte le imprese, con la sola eccezione di quelle agricole o, come abbiamo sostenuto, soltanto le imprese di più rilevante dimensione (perché, secondo la testuale definizione di legge, “tenute ex art. 2188 c.c. ad iscriversi nel relativo registro”). L’occasione ci è data dunque per riprendere l’argomento, con particolare e più specifica attenzione proprio a questi importanti profili soggettivi, meritevoli di esser trattati e, se possibile, chiariti nelle more della decretazione attuativa (e nell’imminenza dell’effettiva entrata in vigore dell’obbligo).
Muoveremo da alcune considerazioni di principio, che ci portano a interrogarci su quale fosse davvero l’intenzione del legislatore.
Mutualità e estensione soggettiva dell’obbligo di assicurarsi
Occorre, per tale aspetto, ripartire dalla precedente considerazione di sistema.
Come già osservato, la norma nasce per presidiare un interesse di carattere sociale e pubblico di ampie dimensioni, mosso dalle esigenze di tutelare la collettività dal rischio di subire danni, ingenti, per il verificarsi (sempre più frequente) di fenomeni catastrofali. Si sarebbe potuto, a tal fine, prevedere un obbligo generale (in tal senso si veda l’art. L125-1 del Code des assurances che stabilisce che i contratti di assicurazione, stipulati da una persona fisica o giuridica, diversa dallo Stato, che garantiscono contro i danni causati da incendio o da altri fattori a beni situati in Francia, consentono all’assicurato di beneficiare anche del diritto alla garanzia contro gli effetti delle catastrofi naturali) a carico di chiunque sia proprietario di un immobile, ad uso abitativo o produttivo.
Per quanto si senta dire che la legge 213/2013 costituisce soltanto il primo passo di un percorso destinato ad ampliare la sua portata a tutti gli immobili presenti sul territorio, la scelta del legislatore, sino a oggi, è stata contenitiva, limitando l’obbligo alle sole imprese produttive: vuoi per garantire miglior tutela e continuità al mondo del lavoro e della produzione, vuoi ritenendo che il costo delle nuove coperture possa essere assorbito tra gli oneri aziendali meglio di quanto un semplice privato possa fare nell’ambito della propria, non sempre florida, economia familiare.
Una tale selezione tra gli interessi astrattamente assicurabili e quelli da porre immediatamente e obbligatoriamente in copertura avrebbe potuto esser più nettamente operata, separando i privati cittadini dalle imprese tout court, quali che esse siano.
E invece il legislatore, mostrando un non proprio accurato senso della precisione e della coerenza espositiva, ha scelto una via diversa, compiendo, almeno in apparenza, un’ulteriore selezione tra le imprese assoggettate alla nuova disciplina; il comma 101 dell’art.1 della legge di bilancio 2024 riservando l’obbligo alle sole imprese “con sede legale in Italia e le imprese aventi sede legale all’estero con una stabile organizzazione in Italia, tenute all’iscrizione nel registro delle imprese ai sensi dell’articolo 2188 del codice civile”.
Una tale precisazione sembrerebbe dunque aver senso nella misura in cui esprime una volontà di limitare la portata dell’obbligo, circoscrivendolo soltanto a quelle imprese per le quali l’iscrizione al registro è doverosa, con esclusione (ad esempio) dei piccoli imprenditori, che hai sensi dell’art 2202 c.c. non hanno l’obbligo di iscriversi al registro. Tale granulazione dell’obbligo potrebbe razionalmente rispondere alle stesse esigenza di contenere l’impegno di copertura, in questa prima fase di avvio della nuova disciplina, riservandolo soltanto agli imprenditori strutturati e alle società di capitali, meglio in grado di sopportarlo, almeno fin tanto che il rodaggio della norma e i nuovi assetti di mercato rendano il rischio più accessibile anche alle fasce meno abbienti della nostra popolazione, produttiva o non. Il piccolo imprenditore, del resto, si confonde un poco, al netto della disciplina fiscale, con la persona fisica che lo incarna, riproponendo il problema della gradualità del percorso obbligatorio sin qui avviato dal legislatore.
In questo medesimo senso, del resto, si pone anche un altro non trascurabile tassello normativo: quello che si occupa del perimetro oggettivo dell’obbligo assicurativo, anche in questo caso circoscritto soltanto ad alcuni eventi naturali catastrofali ma, soprattutto, riferito a beni specificamente individuati attraverso una norma bilancistica (l’art. 2424 c.c.) destinata alle società di capitali e certamente non applicabile alla platea degli imprenditori minori, quali sono i piccoli imprenditori (esentati, ex art. 2214 ultimo comma, dall’obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili, anche se a livello fiscale anche tali piccole realtà sembrerebbero soggette all’obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili, artt. 13 e seg. Dpr 600/1973).
Quanto ai beni oggetto di copertura, l’art.1, comma 101 della legge 213/2023 prevede che la polizza sia stipulata a “copertura dei danni ai beni di cui all’articolo 2424, primo comma, sezione Attivo, voce B-II, numeri 1), 2) e 3), del codice civile”. Si tratta delle immobilizzazioni materiali costituite da: terreni, fabbricati, impianti, macchinari, attrezzature industriali e commerciali. Nella voce terreni sono ricomprese, a mero titolo di esempio: le pertinenze fondiarie degli stabilimenti, i terreni su cui insistono i fabbricati, fondi e terreni agricoli, moli, ormeggi e banchine, cave, terreni estrattivi e minerari, sorgenti. Non rientrano, invece, nel perimetro oggettivo dell’obbligo le merci, in quanto rientranti nella voce di bilancio “attivo circolante”.
Si sarebbe potuto optare per una più chiara, diretta e puntuale indicazione dei beni oggetto di copertura, senza appoggiarsi a un pigro rinvio normativo che, certo, mal si armonizza con l’idea di una estensione dell’obbligo agli imprenditori che da tale norma non siano riguardati. Il che potrebbe finire addirittura per limitarlo alle realtà cui tale norma è applicabile. Ciò creerebbe un ulteriore corto circuito applicativo.
Rimane il fatto che nel limitare il proprio riferimento alle imprese “tenute” a iscriversi al registro il legislatore, pur volendo evidentemente non estendere l’obbligo a tutte le imprese, incondizionatamente considerate, non sembra aver tenuto conto del fatto che la disciplina del registro delle imprese è nel tempo cambiata, integrando con normative successive il disposto dei richiamati artt. 2188 e ss c.c. e dando luogo, dunque, ad alcuni ulteriori dubbi interpretativi.
Ci riferiamo alla distinzione tra registro ordinario e registro speciale. Con la legge 580/1993 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura) e relativa decretazione (Dpr 581/1995-Regolamento di attuazione del Registro imprese; Dpr 558/1999-Regolamento recante norme per la semplificazione della disciplina in materia di registro delle imprese […]) è stato formalmente attuato il Registro delle imprese e sono stati estesi gli obblighi pubblicitari, con funzione di mera pubblicità notizia, anche a realtà per cui il codice civile non prevedeva l’iscrizione (tra le quali i piccoli imprenditori). Ora, dopo queste modifiche anche (tra gli altri) i piccoli imprenditori e gli artigiani sono iscritti nel pubblico registro, ma soltanto nella sezione speciale (a parziale modifica, come detto, di quanto a tutt’oggi più nettamente previsto dall’art. 2202 c.c).
Si tratta di una iscrizione certamente depotenziata, quanto agli effetti, rispetto a quella nel registro ordinario se è vero, come è vero, che la sola iscrizione nella sezione ordinaria ha valore costitutivo o comunque di opponibilità a terzi (dichiarativo), mentre quella prevista per la sezione speciale è di mera pubblicità notizia. Vi è dunque una ben diversa graduazione, in termini di doverosità, tra le iscrizioni ordinarie e speciali, potendosi sostenere che soltanto le prime producano effetti costitutivi, o comunque sostanziali, sul piano della validità e dell’efficacia civilistica di quanto ivi riportato, rimanendo le seconde nel campo degli oneri soggetti a semplice sanzione amministrativa in caso di loro inadempimento.
Vi è dunque, e dopo tutto, da chiedersi se riferendosi (maldestramente) alle (sole) imprese “tenute” a iscriversi al registro il legislatore abbia usato una formula consapevolmente limitativa e riferita alla sola sezione ordinaria (in relazione alla quale l’iscrizione è doverosa per l’essenzialità delle sue finalità e conseguenze giuridiche) o abbia invece aggiunto un sintagma (“tenute ad iscriversi”) del tutto pleonastico, volendo invece correlare l’obbligo a ogni forma di iscrizione prevista dalla legge; e dunque sostanzialmente a tutte le imprese, e anche quelle iscritte nella sezione speciale del registro, a prescindere dalla doverosità e dell’efficacia di tale iscrizione.
Ora, nella scelta tra i diversi razionali normativi possibili, per cercare di chiudere il cerchio e spiegare le ragioni delle nostre precedenti conclusioni occorre dar atto, oltre che del non irrilevante e già citato riferimento all’art. 2424 c.c., soprattutto di quanto si legge nella relazione finale illustrativa della legge di bilancio. Ci riferiamo a quanto contenuti nei documenti relativi al ddl 926 al Senato (poi AC 1627), reperibili sul sito di Camera e Senato, e in particolare al Dossier, datato 31 gennaio 2024, sulla legge definitivamente approvata (XIX Legislatura - Lavori - Progetti di legge - Scheda del progetto di legge (camera.it) nel quale si legge espressamente, proprio con riferimento al comma 101, che: “[…] non sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese i piccoli imprenditori (2202) ovvero i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia (2083)”.
Tale precisazione (va detto: un po’ lacunosa, non prendendo posizione sull’esistenza delle sezioni speciali…) sembra davvero chiudere il cerchio confermando l’intenzione delimitativa e non universale della norma primaria, diretta a circoscrivere l’obbligo alle sole imprese diverse da quelle che, nel Dossier ufficiale, vengono ritenute non assoggettate a un (vero e proprio) obbligo di iscrizione nel registro delle imprese di cui all’art. 2188; intendendosi per tale ultimo soltanto quello ordinario (al di là della unicità dello stesso, nella sua doppia e differente impostazioni strutturale successiva alla legge 580/1993 e relativa decretazione attuativa).
Va detto, ed è certamente vero, che i lavori preparatori e i dossier illustrativi non possono essere utilizzati come il criterio ermeneutico fondamentale (ai sensi dell’art. 12 delle preleggi), dal momento che “la volontà emergente dai lavori preparatori non può sovrapporsi a quella obiettivamente espressa dalla legge (quale emerge dal suo dato letterale e logico), ma soltanto affermare l'utilizzabilità dei lavori parlamentari, quando, come nella specie, essi, unitamente ad altri canoni interpretativi ed elementi di valutazione emergenti dalla norma stessa, siano idonei a chiarire la portata di una disposizione legislativa di cui appaia ambigua la formulazione” (in questo senso si legga tra gli altri quanto sostenuto dal Cons. St., Sez. III, 16 novembre 2021, n. 7618 che cita Cass. civ., Sez. I, 27 febbraio 1995, n. 2230). Ma nel caso di specie, tenuto conto delle possibili letture divergenti, della strutturazione limitativa e non estensiva della formula letterale del comma 101, dell’ambiguità dei riferimenti a norme certamente non applicabili alle piccole imprese e agli artigiani (art. 2424), l’indicazione ricavabile dal citato Dossier sembra in qualche modo conclusiva.
Certo, una tale lettura può non piacere soprattutto a chi (comprensibilmente) avrebbe voluto una più ampia e generale introduzione dell’obbligo assicurativo a carico di tutti i proprietari di immobili o comunque di tutte le imprese che ne siano titolari. Ma non vi è dubbio che l’opzione legislativa sia da intendersi come fortemente innovativa ma comunque prudente, come anche parsi poter desumere a proposito della limitazione dell’oggetto della copertura a determinati eventi naturali (grandine esclusa, ad esempio) e a circoscritte tipologie di danni (il pensiero corre alla cosiddetta business interruption, non prevista eppur così rilevante nel mondo delle attività produttive).
Merita infine di essere osservato che la bozza di decreto attualmente in lavorazione cerca di spingere verso un’interpretazione estensiva e verso il conseguente ampliamento dei soggetti destinatari dell’obbligo, forzando il concetto di tenutezza presente nel comma 101 dell’art. 1 L. 213/2023, e prevedendo che debbano essere assicurate le imprese “tenute all’iscrizione nel registro delle imprese ai sensi dell’art. 2188 c.c. o in ogni caso iscritte nel suddetto registro”.
La formulazione utilizzata evoca, all’evidenza, la volontà di estendere il perimetro soggettivo a tutte le imprese presenti nel registro, a prescindere dalla sezione di appartenenza, dall’efficacia dell’iscrizione e, soprattutto, dal fatto che siano effettivamente “tenute”, e dunque giuridicamente obbligate, a iscriversi. Si tratta di un’intelligente opera di rimodellamento razionale e funzionale del testo primario: l’evidente deviazione dal solco di partenza (giacché chi è in ogni caso iscritto, anche se non tenuto, non è il soggetto individuato dalla legge di bilancio) rischia però di dar luogo a un potenziale eccesso di delega. Alla fine di tutto, il lettore potrà farsi la propria idea, alla luce delle diverse, e in qualche modo contrapposte, chiavi di interpretazione suggerite. Noi continuiamo a ritener preferibile la soluzione individuata nel dossier che accompagna la legge, al netto di ogni valutazione di opportunità della scelta di fondo operata dal legislatore.
Senza volersi troppo dilungare oltre, cogliamo l’occasione per toccare un altro tra i molti temi che risentono di una certa opacità del testo di legge. Ci riferiamo a quello relativo all’individuazione delle compagnie tenute ad assolvere l’obbligo a contrarre, salva l’applicazione della pena pecuniaria, in caso di sua violazione, prevista dall’art. 1 comma 106 della legge. Nulla specifica al riguardo la norma primaria, sottendendo (almeno a priva vista) l’imposizione dell’obbligo a tutte le imprese assicurative attive nel ramo di pertinenza (ramo 8, danni) in relazione alla tipologia di eventi coperti. Ciò comporta, ovviamente, numerose possibili difficoltà operative da parte di quelle imprese che, pur astrattamente autorizzate ad assicurare gli eventi catastrofali, non si siano mai attivate in tal direzione, non essendo in grado di sostenerne la portata e decidendo dunque a limitare la propria attività alla copertura di eventi naturali non catastrofali o comunque a determinate e ben individuate categorie di assicurati, liberamente individuati al momento dell’assunzione del rischio.
Il pensiero corre, ad esempio, alle compagnie che assicurano rischi property non imprenditoriali o rischi accessori alla garanzia Rc auto, sui singoli veicoli. Pare evidente che per tali soggetti, la stessa idea di dover obbligatoriamente accettare proposte assicurative loro formulate da qualunque impresa intenda chiedere di essere coperta pone un problema, ovvio, di probabile incapacità di soddisfare qualsiasi richiesta, in relazione all’appetito di rischio della compagnia e, soprattutto, della sua effettiva capacità sottoscrittiva, anche in funzione dei propri requisiti di solvibilità.
Per questo la legge di bilancio ha previsto che "Le imprese di assicurazione possono offrire tale copertura sia assumendo direttamente l'intero rischio, sia in coassicurazione, sia in forma consortile mediante una pluralità di imprese. In tale ultimo caso il consorzio deve essere registrato e approvato dall'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (Ivass) che ne valuta la stabilità".
La bozza di decreto attuativo prova, giustamente, a correggere il tiro, in nome di una migliore e più razionale redistribuzione sottoscrittiva e di una più sensata e circoscritta definizione del perimetro dell’obbligo a contrarre. Viene così introdotto il concetto della propensione al rischio in funzione del fabbisogno di solvibilità globale delle imprese, prevedendo che “ai fini dell’adempimento dell’obbligo a contrarre le imprese di assicurazione autorizzate in Italia nell’ambito del sistema di gestione dei rischi e della propensione al rischio definita dall’organo amministrativo ai sensi dell’art. 5, comma 2, lettera e) del Regolamento Ivass n. 38 del 3 luglio 2018 definiscano, con riferimento ai complessivi rischi da assumere con i contratti assicurativi di cui all’art.1, comma 1, della legge, la propensione al rischio in coerenza con il fabbisogno di solvibilità globale delle stesse, fissando i relativi limiti di tolleranza al rischio”.
Tali limiti di tolleranza al rischio di cui al comma 1 sono aggiornati almeno con cadenza annuale e sono definiti con riferimento all’intero portafoglio acquisito su tali rischi, tenendo conto del ricorso ai meccanismi di cessione del rischio, ivi inclusa la cessione a Sace. Le imprese che superano il limite di tolleranza al rischio di cui al comma 1 cessano l’assunzione di ulteriori rischi nell’intero territorio nazionale. Di tale circostanza viene data immediata informativa all’Ivass e ai terzi mediante pubblicazione sul sito web della compagnia. Il che dovrebbe impedire, naturalmente, la configurazione di una violazione dell’obbligo a contrarre.
Viene poi indicato, nello schema di decreto, che tali disposizioni si applicano, compatibilmente con quanto previsto nei rispettivi ordinamenti nazionali, alle imprese abilitate all’esercizio in Italia del ramo 8 e operanti in regime di stabilimento o di libera prestazione di servizio. Ove tali imprese intendano cessare l’attività per superamento del limite di tolleranza al rischio, ne danno immediata informativa all’Ivass e all’autorità di vigilanza dello Stato di origine e ai terzi mediante pubblicazione sul sito web della compagnia.
Il riferimento all’art. 8 è peraltro ulteriormente rifinito e limitato nelle definizioni di “impresa di assicurazione”, che lo schema di decreto oggi in lavorazione porta nel proprio incipit, precisando che l’obbligo assicurativo riguarda non tutte le compagnie abilitate all’esercizio in Italia del Ramo 8 di cui all’articolo 2, comma 3, del dlgs 7 settembre 2005, n. 209, anche se operanti in regime di stabilimento e di libertà di prestazione di servizi; ma incombe soltanto a quelle che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, a livello singolo o di gruppo, già svolgano attività di sottoscrizione di contratti assicurativi a copertura dei danni derivanti dagli eventi di cui alla successiva lettera d) del presente articolo.
Il che significa che le compagnie che, sino al giorno di entrata in vigore della nuova disciplina, non abbiano assicurato (singolarmente o a livello del gruppo di appartenenza) i beni indicati nel riferimento allo stato patrimoniale di cui all’art 2424 c.c. potranno continuare a non farlo, anche se autorizzate all’esercizio del ramo 8. Con esclusione dall’obbligo tutte le imprese che abbiano coperto il rischio degli eventi naturali relativi soltanto dal veicoli iscritti al Pra, in accessorio alla garanzia della Rc auto, dal momento che lo schema di decreto escluderebbe espressamente tali beni dal paradigma di copertura obbligatoria del rischio aziendale.
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