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MedMal e Covid-19: prospettive del contenzioso risarcitorio

Si sono già manifestati i primi casi di richieste di risarcimento alle strutture sanitarie per eventi di responsabilità medica legati alla pandemia. Lo scudo legale approvato con il dl 44/21 unitamente all’articolo 3 della Costituzione dovrebbero essere sufficienti per dissuadere i tentativi non realmente fondati

MedMal e Covid-19: prospettive del contenzioso risarcitorio hp_vert_img
Si è detto e scritto molto sulla opportunità di mitigare il regime della responsabilità medica nel contesto pandemico. Sul versante penale, com’è noto, il legislatore è già intervenuto approvando i due scudi previsti dagli articoli 3 e 3-bis del decreto legge 44/2021. Il primo ha escluso la responsabilità dell’operatore che abbia somministrato un vaccino in conformità al provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio e alle indicazioni ministeriali vigenti. Il secondo, introdotto in sede di conversione, ha limitato la punibilità delle condotte sanitarie “che trovano causa nella situazione di emergenza” ai soli casi di colpa grave.
Ma queste norme protettive, pur salutate con favore (non soltanto dalla classe medica), non risolvono i dilemmi interpretativi che già vanno delineandosi in tema di lesioni o decessi legati, più o meno direttamente, al Covid-19.

UN COSTO MEDIO DI 127MILA EURO
L’edizione appena divulgata da Marsh del proprio Report MedMal, che ogni anno fornisce un suggestivo spaccato della sinistrosità nel comparto salute, ha dedicato uno specifico focus all’argomento. Nonostante sia comprensibilmente difficile raccogliere ed elaborare dati relativi a un fenomeno tutto sommato recente, si possono rinvenire spunti di sicuro interesse: ad esempio, il fatto che le strutture pubbliche del (pur esiguo) campione analizzato abbiano già ricevuto ciascuna, in media, più di 16 richieste di risarcimento danni correlati a infezione da Sars-CoV-2; che la maggior parte delle denunce riguardino casi di decesso, piuttosto che di lesioni; che sia di quasi 127mila euro il costo medio, solo annotato a riserva, beninteso, di ogni sinistro.
Si stanno dunque progressivamente concretizzando i rischi, da tempo e da più parti ventilati, di un profluvio di vertenze tese a rivendicare una pretesa responsabilità civile delle strutture e degli operatori sanitari, vuoi per il contagio infettivo avvenuto in ambito nosocomiale di un paziente ammesso con tampone negativo, vuoi per il trattamento inadeguato o intempestivo di un paziente ricoverato per le complicanze del Covid-19 contratto fuori dall’ospedale, vuoi infine per le problematiche organizzative dovute allo stato di emergenza che abbiano comportato disfunzioni nella gestione di un paziente affetto da altra patologia.

IL PESO DELLA ECCEZIONALITÀ DEL CONTESTO
Da quali regole sarà disciplinato questo contenzioso? Naturalmente dalla disciplina generale della responsabilità per fatto illecito e dalle disposizioni in materia di responsabilità professionale sanitaria contenute nella legge 24/2017. Che andranno però applicate tenendo in debita considerazione i connotati inediti e del tutto peculiari assunti dall’evento pandemico.
Se è vero che i presupposti della responsabilità civile medica restano sempre gli stessi (la condotta colpevole, il danno, e il nesso causale tra loro), è altrettanto chiaro che, nel rispetto dei principi di uguaglianza e ragionevolezza ricavabili dall’articolo 3 Costituzione, essi debbano essere calati nel contesto, straordinario quanto drammatico, dell’emergenza epidemiologica che il Servizio sanitario nazionale si è trovato ad affrontare.
Contesto ben descritto dal secondo comma dell’art. 3-bis dl 44/2021, che condivisibilmente richiama le limitate conoscenze scientifiche sulla patologia e sulle terapie appropriate, la scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili, anche in relazione al numero dei casi da trattare, nonché il minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale impiegato spesso in ambiti disciplinari estranei alla propria specializzazione.
È evidente, allora, che questa disposizione, seppur dettata per delimitare i confini tra colpa grave e colpa lieve in sede penale, riveli una valenza ermeneutica di più ampio respiro, perché contiene parametri oggettivi che si prestano a essere utilizzati anche in sede civile, per la valutazione a fini risarcitori delle condotte sanitarie avvenute in pandemia.

RIMANGONO VIVI I CASI DI DOLO O COLPA GRAVE
Per il singolo operatore sanitario, a dire il vero, soccorre anche il disposto dell’art. 2236 del codice civile, che limita la responsabilità alle ipotesi di dolo o colpa grave, quando si tratti di risolvere problemi tecnici di speciale difficoltà. La norma tuttavia, per come è sempre stata interpretata dalla giurisprudenza, riguarda il solo caso di imperizia (non di imprudenza o negligenza) e, soprattutto, non si applica alle strutture sanitarie, ma soltanto al personale.
Ad ogni modo, qualsiasi addebito di colpa presuppone che fosse esigibile, nel caso concreto, una condotta medica diversa da quella che, nella prospettazione dei richiedenti, avrebbe generato un danno per il paziente. Si tratta, quindi, di capire se la pretesa di un diverso comportamento sia compatibile con i fattori evidenziati, per l’appunto, dall’art. 3-bis dl 44/2021 e, in definitiva, con l’incontestabile eccezionalità dell’emergenza sanitaria.
Se così è, anche nel giudizio di responsabilità civile dovrà giocoforza prevalere un approccio rigoroso e garantista rispetto alle vicende cliniche correlate al Covid-19, con la conseguenza di vedere generalmente escluso il riconoscimento di un impegno di responsabilità, salva naturalmente l’eccezione di sporadiche e straordinarie ipotesi di grossolana malpractice.
Perciò il problema della responsabilità civile di strutture e operatori sanitari impegnati a contrastare il virus è verosimilmente destinato ad autolimitarsi, e le ricadute economiche in termini risarcitori saranno molto meno gravose di quello che si paventa.

MEGLIO UNO SCUDO IN PIÙ PER IL CIVILE
Dunque non rendono un buon servizio quei professionisti (legali o paralegali) che continuano a incoraggiare la proposizione di azioni giudiziarie per danni a vario titolo associati alla pandemia, le quali non hanno ragionevoli chance di esito favorevole. Ciò non toglie che un intervento legislativo per introdurre uno scudo civile, sulla falsariga di quelli già varati in ambito penale, possa comunque reputarsi opportuno. Non tanto al fine di contenere l’entità dei risarcimenti, che, come detto, si limiterà da sé, grazie al prudente apprezzamento della magistratura. Ma soprattutto per scongiurare il rischio di un sovraffollamento processuale di cause seriali, probabilmente destinate all’insuccesso, ma in grado di appesantire il nostro sistema giudiziale già sufficientemente provato dal contenzioso ordinario e da un arretrato notoriamente bisognevole di smaltimento.

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