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Nella responsabilità civile sempre meno sostenibilità e solidarietà

Il ricorso all’istituto della Rc è in continua espansione e poco effetto sembrano avere gli inviti tesi a risposte che garantiscano comunque la sostenibilità del sistema assicurativo e sociale. È necessaria una riflessione che parta dal peso dei costi di gestione per trovare un equilibrio

Nella responsabilità civile sempre meno sostenibilità e solidarietà hp_vert_img
Un recente convegno organizzato dalla Commissione di diritto delle assicurazioni dell’Ordine degli avvocati di Milano ha avuto per oggetto l’incremento del contenzioso di responsabilità civile da Covid-19 che si è registrato negli ultimi tempi.
Un aumento del contenzioso è prevedibile in conseguenza del recente provvedimento del Consiglio di Stato, che ha sospeso il proprio parere consultivo sullo schema del Dpr della tabella unica nazionale prevista dall’art. 138 del Codice delle assicurazioni sulle macrolesioni.
Un incremento delle liti sarà prodotto sicuramente anche dalle nuove tecnologie, che stanno rivoluzionando la nostra vita professionale e sociale.

SOSTENIBILITÀ E PIL DELLA RESPONSABILITÀ CIVILE
Ebbene, di fronte alla continua crescita della responsabilità civile, mi sono posto questi interrogativi.
Che fine ha fatto il tema della sostenibilità del sistema assicurativo e sociale che la tragedia della pandemia aveva portato all’attenzione delle istituzioni, della giurisprudenza, delle persone e delle imprese?
Ed è giusto che il fatturato della responsabilità civile cresca ancora per tutelare i diritti dei danneggiati, come è avvenuto negli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso? oppure è giunto il momento di fare una riflessione profonda sui costi di gestione di questo istituto che rischiano di superare i suoi benefici sociali?
Per rispondere a questi interrogativi, ritengo che oggi il compito della giurisprudenza, e soprattutto del legislatore, sia quello di porre un argine alla crescita del Pil della responsabilità civile, con particolare riferimento a quella assicurata obbligatoriamente.
Porre un argine per far sì che il sistema assicurativo e sociale resti sostenibile.
Lo ha fatto in passato il legislatore con diverse leggi (ricordiamo solo l’art. 139 del Codice delle assicurazioni), ma lo ha fatto anche la Corte Costituzionale quando, con la sentenza n. 235 del 2014, ha affermato la legittimità costituzionale di tale articolo. Ricordiamo il ragionamento della Corte.
Il risarcimento del danno alla persona non è un valore assoluto e intangibile e, in caso di danni da circolazione stradale, l’interesse della vittima va bilanciato con l’interesse generale a beneficiare di premi assicurativi bassi e a una costante alimentazione del Fondo di garanzia vittime della strada.
Nell’ambito della responsabilità sanitaria obbligatoriamente assicurata, il diritto alla salute va invece bilanciato con la possibilità dei medici e delle strutture sanitarie di reperire coperture adeguate a condizioni di premi più favorevoli di quelle attuali, oltre alla necessità per la collettività di contenere i costi della medicina difensiva.
Inoltre, non dobbiamo dimenticarlo, il diritto inviolabile alla salute va sempre coordinato e bilanciato con il dovere di solidarietà che vale per tutti: anche per i danneggiati.
Eppure, l’orientamento culturale oggi prevalente ritiene che la disciplina della responsabilità civile più avanzata, giusta e progressista sia quella nella quale si risarcisce sempre di più. Niente di più sbagliato.

MISURE UTILI DA PARTE DEL LEGISLATORE E DELLA GIURISPRUDENZA
Per fermare questa folle corsa all’incremento della responsabilità civile come panacea di tutti i mali e per rendere sostenibile il sistema, il legislatore dovrà porre un tetto al risarcimento del danno alla persona previsto dall’art. 138 del Codice delle assicurazioni emanando finalmente il Dpr sulla tabella unica nazionale. E per rendere sostenibile il sistema prevedere, ad esempio, per i danneggiati da Covid-19 o per altri devastanti morbilità del nostro tempo, un indennizzo anziché un risarcimento, come era stato fatto in passato da alcune leggi come quella per i danni da trasfusione di sangue infetto nel 1992.
E la giurisprudenza?
Per quanto riguarda i principi sulla colpa, sul nesso causale e sul danno da perdita di chance, le note sentenze della Corte di Cassazione del 2019 hanno posto un argine all’espansione della responsabilità civile.
Anche la ricerca di modelli di liquidazione alternativi, diversi rispetto a quelli tabellari (vedi, ad esempio, la sentenza n. 31574/2022 della Corte di Cassazione sulla rendita vitalizia), vanno nella direzione di un risarcimento del danno sostenibile e solidale. Ma non basta. Ci vorrebbe una maggiore attenzione da parte di alcuni giudici che liquidano danni non patrimoniali anche per valori monetari superiori alla tabella di legge e alle tabelle giurisprudenziali.

UN’UTOPIA: APPLICARE IL DOVERE DI SOLIDARIETÀ
E poi (ma mi rendo conto che questa è un’utopia) nell’attività ermeneutica posta in essere dai giudici, bisognerebbe considerare l’art. 2 della Costituzione, che impone un dovere di solidarietà a tutti e, dunque, anche ai danneggiati.
Ebbene, come ha sostenuto anche qualificata dottrina (Marcello Maggiolo), nelle cause di med mal, i giudici, applicando l’art. 2 della Costituzione insieme all’art. 2058 C.C., potrebbero destinare una quota anche piccola del risarcimento del danno al servizio sanitario nazionale o a istituti che fanno ricerca e assistenza.
Ma mi rendo conto che, come diceva Giorgio Gaber nella canzone La razza in estinzione, questo scenario è un’astrazione, un sogno, un’idea che appartiene, appunto, a una razza in estinzione.

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