Insurance Trade

Il falso mito del Cai a doppia firma

Con una sentenza della Corte di Cassazione viene ripreso il tema del valore di piena prova dell’ammissione di colpa da parte del responsabile di un incidente rilasciata nel modulo di constatazione amichevole. Il fine del documento non pregiudica il diritto di difesa della compagnia assicurativa

Il falso mito del Cai a doppia firma hp_vert_img
Con ordinanza 15431 del 2024 la terza sezione della Corte di Cassazione ha mosso una critica piuttosto netta all’orientamento di legittimità prevalente secondo cui le risultanze del modulo Cai sarebbero liberamente valutabili dal giudice e ciò sulla base di un’interpretazione letterale dell’articolo 143 del Codice delle assicurazioni private (Cap) che, ove portata alle estreme conseguenze, potrebbe gravemente pregiudicare le attività di prevenzione delle frodi.
A prima vista, il ragionamento della corte non fa una piega, dal momento che riprende pedissequamente la previsione del secondo comma dell’articolo 143 del Cap (“quando il modulo sia firmato congiuntamente da entrambi i conducenti coinvolti nel sinistro si presume, salvo prova contraria da parte dell’impresa di assicurazione, che il sinistro si sia verificato nelle circostanze, con le modalità e con le conseguenze risultanti dal modulo stesso”).
D’altro canto, la conclusione cui giunge la corte si pone in evidente contrasto col ventennale orientamento (quello espresso da Cass. Sezioni Unite 10311/2006) secondo cui il modulo Cai è liberamente valutabile dal giudice. Ed è per certi versi paradossale che l’ordinanza in commento giunga addirittura ad affermare che “il principio del libero apprezzamento non è in contrasto con le suindicate norme di legge che conferiscono al modello Cai, firmato da entrambi i conducenti, il valore di una presunzione iuris tantum”. Ma sul punto occorre procedere con un brevissimo excursus.

I precedenti della Corte

Nella sentenza 10311/2006 le Sezioni Unite avevano chiarito che nel giudizio di responsabilità civile da sinistro stradale deve farsi applicazione della regola prevista dall’articolo 2733 comma 3 del Codice di procedura civile secondo cui, in caso di litisconsorzio necessario (quale appunto quello che viene a instaurarsi tra responsabile e suo assicuratore ai sensi dell’art. 144 del Cap), la confessione resa da uno dei litisconsorti non ha valore di piena prova, ma è liberamente apprezzata dal giudice. In particolare, tale regola trova la propria ratio nella, diremmo ovvia, necessità di garantire il pieno diritto di difesa a tutte le parti del giudizio che, altrimenti, patirebbero gli effetti della confessione resa da una sola di esse.
È pur vero che quella sentenza (come giustamente rilevato dall’ordinanza in commento) era intervenuta per dirimere una specifica questione, e cioè se la confessione del responsabile possa esplicare efficacia di piena prova quantomeno nei riguardi di quest’ultimo (con la conseguenza che il giudice ben possa condannare il solo responsabile, mandando esente il suo assicuratore): ebbene, la corte escluse tale possibilità nei limiti in cui il responsabile fosse anche il proprietario del veicolo, lasciando invece aperta la possibilità di una condanna “differenziata” per l’ipotesi di conducente non proprietario (sul punto Cass. 10687/2023).
Quel che però è certo è che, per entrambi gli scenari sopra descritti, la giurisprudenza della Cassazione è stata da sempre unanime nel ritenere che la confessione del responsabile non esplichi alcun effetto di piena prova nei confronti dell’assicuratore.

Il rischio frode

Date tali premesse, è dunque evidente come l’ordinanza in commento, lungi dal porsi in continuità con tali principi, giunga a conclusioni ben differenti che, di fatto, attribuiscono al modulo Cai un’efficacia probatoria rafforzata rispetto a quella riconosciutagli dall’orientamento prevalente di legittimità.
Sul punto, invero, l’ordinanza in commento tiene a chiarire come “la previsione di una presunzione fino a prova contraria non escluda che la società di assicurazioni possa superarla fornendo, appunto, tale prova”. Come a dire che il modulo Cai a doppia firma consente sì di presumere che il sinistro si sia verificato nelle circostanze, con le modalità e con le conseguenze risultanti dal modulo stesso, ma non pregiudica il diritto di difesa dell’assicuratore.
Nondimeno, tale affermazione si risolve in una mera petizione di principio, ove solo si consideri come la denuncia di sinistro (resa mediante modulo Cai o anche in forma libera) costituisca, di fatto, la pietra angolare della difesa dell’assicuratore in un eventuale giudizio. Con la conseguenza che, in presenza di un pactum sceleris tra responsabile e danneggiato volto a simulare il sinistro e/o le sue conseguenze, la prova liberatoria richiesta all’assicuratore dall’articolo 143 del Cap potrebbe rivelarsi diabolica.
Pertanto, ove portato alle estreme conseguenze, il principio espresso dall’ordinanza in commento potrebbe avere degli impatti piuttosto rilevanti sulle attività di prevenzione delle frodi, sopravvalutando un elemento istruttorio (il modulo Cai) che è certamente significativo, ma che, al contempo, non può neppure ritenersi del tutto esaustivo ai fini della ricostruzione del sinistro e ciò per alcune caratteristiche intrinseche al documento medesimo.

La realtà del processo

Per come strutturato, il modulo Cai consente alle parti di riportare solo una descrizione sintetica del sinistro e dello stato dei luoghi. In altri termini, per quanto utile ai fini della ricostruzione del sinistro, il modulo Cai (anche se recante la doppia sottoscrizione) non potrebbe dirsi del tutto fungibile con un verbale di incidente redatto dalle autorità ed eventualmente corredato dalle sommarie informazioni di testimoni e/o da un report fotografico. E anzi, a dimostrazione dell’intrinseca debolezza del documento, non potremo omettere di considerare come le parti danneggiate, anche in presenza di un modulo Cai sottoscritto dal soggetto asseritamente responsabile, siano solite richiedere l’interrogatorio di quest’ultimo affinché renda la confessione davanti al giudice, oppure chiedano l’ammissione della prova testimoniale per addivenire a una piena dimostrazione del fatto storico.
E ancora, si consideri come la stessa Cassazione abbia più volte chiarito che “ogni valutazione sulla portata confessoria del modulo di constatazione amichevole d’incidente deve ritenersi preclusa dall’esistenza di un’accertata incompatibilità oggettiva tra il fatto come descritto in tale documento e le conseguenze del sinistro come accertate in giudizio” (ex multis Cass. 2438/2024). In altri termini: le risultanze del Cai ben potranno e dovranno essere superate in presenza di altri elementi fattuali che non consentano di ricondurre il danno lamentato al sinistro o addirittura lascino dubitare dell’effettiva verificazione del sinistro stesso. 
Alla luce di quanto sopra, l’ordinanza in commento merita, dunque, di essere adeguatamente ridimensionata, dal momento che il modulo Cai, a prescindere dalla stretta lettera della norma (il secondo comma dell’art. 143 Cap), costituisce una prova debole che dev’essere attentamente valutata dal giudice e prima ancora dall’assicuratore nel corso dell’istruttoria stragiudiziale. In definitiva, quello del Cai a doppia firma può essere derubricato a falso mito ed è anche sulla base di tale rilievo che le imprese devono costruire adeguate procedure antifrode.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Articoli correlati

I più visti