Prova scientifica e processo: le regole per proteggere il diritto
Le conoscenze e gli strumenti scientifici trovano un loro spazio nei contenziosi, soprattutto quelli di medical malpractice, grazie al ruolo del consulente tecnico d’ufficio. Attestata la validità dello strumento, il rischio è che il contributo del Ctu si sovrapponga alle competenze del giudice

11/04/2025
A un recente convegno organizzato dall’Acoi (Associazione chirurghi ospedalieri italiani) al quale ho partecipato come relatore, un medico che lavora in un ospedale romano mi ha chiesto la ragione per la quale nei processi che hanno per oggetto una responsabilità sanitaria, la colpa viene accertata dai consulenti tecnici anziché dal giudice. Ho risposto al medico che la colpa è un concetto giuridico e, come tale, è sempre accertata da un giudice. Devo aggiungere, però, (ma questo non l’ho riferito al medico) che purtroppo aveva colpito nel segno, perché sempre più spesso assistiamo a uno spostamento del baricentro della decisione dall’organo giudicante ai consulenti tecnici d’ufficio.
Oggi, ai Ctu sono appaltati quesiti di natura giuridica che sono di esclusiva competenza del giudice tra i quali la colpa, l’acquisizione del consenso informato da parte dei medici, la sofferenza interiore patita dal paziente e altri che vi risparmio.
Il rapporto tra diritto e scienza
Il grande tema che sta sullo sfondo è il rapporto tra diritto e scienza nei processi di medmal e il rischio che questo rapporto penda pericolosamente a danno del diritto.
Per sgombrare il campo da possibili equivoci, preciso che l’ingresso della scienza nei processi di medmal porta dei benefici alla società, perché accorcia i tempi della giustizia e riduce l’area dell’incertezza, che è tipica del mondo del diritto, per giungere a quei percorsi di verità dei quali parlano l’articolo 193 del Codice di procedura penale e la sentenza 3086/2022 delle Sezioni unite della Cassazione. Gli scienziati stanno dando inoltre un contributo importante per deflazionare il contenzioso in questo ambito. Cionondimeno, non è possibile ignorare il fatto che, nei processi di medmal, i consulenti tecnici designati dal giudice stanno invadendo il campo di esclusiva competenza dell’organo giudicante. Per riequilibrare il rapporto tra il diritto e la scienza è necessario anzitutto che vi sia una maggiore comunicabilità tra giuristi e medici e che questi ultimi siano consapevoli delle norme processuali sui poteri istruttori e decisori del giudice, sul principio dispositivo, su quello del contraddittorio e sui principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in materia.
Gli scienziati devono, cioè, essere consapevoli della cornice procedurale entro cui si inserisce il loro intervento per evitare che, come è stato affermato da autorevole dottrina (Marco Rossetti, Giovanni Canzio, Andrea Gentilomo) il giudice diventi un recettore passivo e un mero consumatore di un sapere che gli proviene dall’esterno e che gli detta il percorso da seguire e perfino la decisione.

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I limiti al potere dei Ctu
Per evitare questo pericoloso approdo, i consulenti tecnici devono essere consapevoli di avere due limiti sostanziali e uno formale.
Il primo è che non possono esprimere valutazioni di natura giuridica e non possono dunque affermare, ad esempio, se c’è colpa del medico, la gravità della colpa e perfino se c’è una sua responsabilità.
Il secondo limite sostanziale è che i consulenti tecnici non possono indagare su fatti nuovi non prospettati dalle parti nei rispettivi atti difensivi, né accertare i fatti principali costitutivi della domanda o dell’eccezione perché questo viola il principio dispositivo.
Inoltre, i consulenti tecnici non possono acquisire documenti che siano diretti a provare i fatti principali dedotti dai danneggiati, che è onere di questi ultimi produrre.
C’è poi anche un limite formale che i consulenti tecnici devono rispettare rappresentato dal principio di chiarezza e sinteticità.
Questo principio permea ormai l’intero ordinamento (legge 149/2022) e deve ispirare anche la condotta di tutti coloro che operano all’interno del processo e, dunque, anche dei consulenti tecnici.
Tradotto in pratica, significa che nelle relazioni dei Ctu e dei periti, questi ultimi devono essere più sintetici e utilizzare un linguaggio meno tecnico e più comprensibile per il giudice e gli avvocati.
Piero Calamandrei diceva che i consulenti tecnici (li chiamava l’occhiale del giudice) devono implementare e arricchire la conoscenza del giudice.
Ebbene, per farlo, i consulenti devono spiegare al giudice i termini tecnici utilizzati ed essere più comprensibili eliminando anche nelle relazioni finali tutto ciò che è superfluo.
Due scuole di pensiero
Per concludere e semplificando, nel delicato rapporto tra diritto e scienza nel processo ci sono due scuole di pensiero.
Ci sono giuristi, come Giovanni Canzio, che, pur mettendo in luce tutti i rischi dei quali ho fatto cenno sopra, sono ottimisti sui benefici che l’ingresso della scienza sta apportando nel mondo del diritto. E io faccio parte di questa schiera.
Ci sono altri giuristi, invece, (penso a Bruno Cavallone o a grandi filosofi come il compianto Emanuele Severino), secondo i quali l’ingresso prepotente e a volte arrogante della scienza e della tecnica domina ormai il mondo del diritto e genera una propria normatività che sovrasta e sovrasterà qualsiasi regola giuridica.
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