Atti giudiziari (e non solo) firmati digitalmente
Attenzione agli allegati “.p7m” nella posta elettronica
19/11/2014
Recentemente (cfr. articolo pubblicato su Insurance Daily n.562 di lunedì 8 settembre 2014) abbiamo posto in rilevo come all'indirizzo di posta elettronica certificata - comunicato al Registro delle imprese ovvero all'Ordine professionale di appartenenza - possano essere notificati una pluralità di atti stragiudiziali, amministrativi e giudiziali con pieno valore legale.
Abbiamo, altresì, sottolineato che tutti i termini sostanziali e processuali (inerenti a prescrizioni, decadenze, disdette, impugnazioni, etc.) decorrono dalla consegna del messaggio nella casella del destinatario, a prescindere dalla sua effettiva lettura (presunzione legale di conoscenza).
Pertanto la conseguenza giuridica dell'attuale quadro normativo è che le imprese e i professionisti hanno l'onere (ma anche l'interesse) di controllare la propria casella PEC, autentico domicilio informatico, scaricando e leggendo frequentemente i messaggi contenuti.
Ma vi è un ulteriore aspetto a cui prestare estrema attenzione.
Gli allegati al messaggio di posta elettronica certificata (siano essi comunicazioni stragiudiziali oppure notifiche di atti giudiziari) potrebbero essere firmati digitalmente e ciò rischia di creare ulteriori problemi al destinatario.
L'utilizzo di diversi formati
Come noto, la firma digitale non è la scansione di una firma olografa, ma un particolare tipo di firma elettronica avanzata basata su un sistema di chiavi crittografiche che - attraverso un procedimento informatico codificato - consente di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico.
La firma digitale può essere apposta utilizzando un dispositivo di firma (smart card, chiavetta USB, etc.) e, secondo gli standard introdotti dall'European Telecommunications Standards Institute e le regole tecniche in vigore (Deliberazione CNIPA n. 45 del 21 maggio 2009 e D.P.C.M. 22 febbraio 2013), un documento firmato digitalmente potrà avere i seguenti formati:
- CAdES (CMS Advanced Electronic Signature);
- PAdES (PDF Advanced Electronic Signature);
- XAdES (XML Advanced Electronic Signature).
Tralasciando quest'ultimo (che riguarda i soli files XML, di scarso rilievo nella presente sede), vale la pena evidenziare che:
a) nel formato PAdES il documento sottoscritto digitalmente mantiene la propria estensione ".pdf" e, quindi, può essere aperto e letto con i comuni programmi disponibili per questo tipo di file (il più diffuso dei quali è probabilmente Adobe Reader);
b) viceversa il formato CAdES aggiunge al documento firmato digitalmente l'estensione ".p7m" e per essere aperto richiede un software ad hoc (tra i tanti si citano Dike, FirmaOK!, ArubaSign, Firma Certa), oppure l'utilizzo di analogo servizio on line di verifica della firma (per es. il Consiglio Nazionale del Notariato ha messo a disposizione la pagina: http://vol.ca.notariato.it).
Si consideri che le specifiche tecniche sul processo civile telematico (Provvedimento DGSIA del 16 aprile 2013) consentono l'utilizzo di entrambi i formati di firma (PAdES e CAdES), quindi potrebbe essere notificato un atto giudiziario recante estensione ".p7m".
In effetti, negli ultimi mesi si sono verificati molti casi di soggetti che, ricevendo nella casella PEC atti firmati digitalmente, non li hanno riconosciuti e/o non sono stati in grado di leggerli; ciò nonostante tali notifiche risultano formalmente corrette e hanno pieno valore legale, facendo immediatamente decorrere i termini.
Adottare tecnologie adeguate
In proposito il Tribunale di Mantova ha recentemente esaminato un caso che vale la pena citare.
Un imprenditore rinveniva nella casella di posta certificata alcune email provenienti da un avvocato e contenenti allegati che non riusciva ad aprire; solo dopo l'intervento di un tecnico informatico scopriva la notifica di un decreto ingiuntivo ma, a quel punto, erano già decorsi i termini ritualmente previsti per l'opposizione.
Il Giudice, con sentenza del 3 giugno 2014, ha ritenuto che non sussistessero ragioni di forza maggiore per ammettere l'opposizione tardiva in quanto la mancata conoscenza del decreto risultava riconducibile esclusivamente a colpa dell'ingiunto.
In buona sostanza, secondo la prima giurisprudenza di merito, un imprenditore non solo è tenuto a scaricare la posta elettronica certificata, ma - per evitare conseguenze pregiudizievoli simili al caso mantovano - deve anche dotarsi di strumenti tecnologici (e, aggiungiamo, di opportune procedure aziendali) per gestire i documenti firmati digitalmente che gli vengono inviati.
Come dire: la legge non ammette ignoranza, la tecnologia nemmeno.
David D’agostini, Studio Avvocati D’Agostini
Abbiamo, altresì, sottolineato che tutti i termini sostanziali e processuali (inerenti a prescrizioni, decadenze, disdette, impugnazioni, etc.) decorrono dalla consegna del messaggio nella casella del destinatario, a prescindere dalla sua effettiva lettura (presunzione legale di conoscenza).
Pertanto la conseguenza giuridica dell'attuale quadro normativo è che le imprese e i professionisti hanno l'onere (ma anche l'interesse) di controllare la propria casella PEC, autentico domicilio informatico, scaricando e leggendo frequentemente i messaggi contenuti.
Ma vi è un ulteriore aspetto a cui prestare estrema attenzione.
Gli allegati al messaggio di posta elettronica certificata (siano essi comunicazioni stragiudiziali oppure notifiche di atti giudiziari) potrebbero essere firmati digitalmente e ciò rischia di creare ulteriori problemi al destinatario.
L'utilizzo di diversi formati
Come noto, la firma digitale non è la scansione di una firma olografa, ma un particolare tipo di firma elettronica avanzata basata su un sistema di chiavi crittografiche che - attraverso un procedimento informatico codificato - consente di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico.
La firma digitale può essere apposta utilizzando un dispositivo di firma (smart card, chiavetta USB, etc.) e, secondo gli standard introdotti dall'European Telecommunications Standards Institute e le regole tecniche in vigore (Deliberazione CNIPA n. 45 del 21 maggio 2009 e D.P.C.M. 22 febbraio 2013), un documento firmato digitalmente potrà avere i seguenti formati:
- CAdES (CMS Advanced Electronic Signature);
- PAdES (PDF Advanced Electronic Signature);
- XAdES (XML Advanced Electronic Signature).
Tralasciando quest'ultimo (che riguarda i soli files XML, di scarso rilievo nella presente sede), vale la pena evidenziare che:
a) nel formato PAdES il documento sottoscritto digitalmente mantiene la propria estensione ".pdf" e, quindi, può essere aperto e letto con i comuni programmi disponibili per questo tipo di file (il più diffuso dei quali è probabilmente Adobe Reader);
b) viceversa il formato CAdES aggiunge al documento firmato digitalmente l'estensione ".p7m" e per essere aperto richiede un software ad hoc (tra i tanti si citano Dike, FirmaOK!, ArubaSign, Firma Certa), oppure l'utilizzo di analogo servizio on line di verifica della firma (per es. il Consiglio Nazionale del Notariato ha messo a disposizione la pagina: http://vol.ca.notariato.it).
Si consideri che le specifiche tecniche sul processo civile telematico (Provvedimento DGSIA del 16 aprile 2013) consentono l'utilizzo di entrambi i formati di firma (PAdES e CAdES), quindi potrebbe essere notificato un atto giudiziario recante estensione ".p7m".
In effetti, negli ultimi mesi si sono verificati molti casi di soggetti che, ricevendo nella casella PEC atti firmati digitalmente, non li hanno riconosciuti e/o non sono stati in grado di leggerli; ciò nonostante tali notifiche risultano formalmente corrette e hanno pieno valore legale, facendo immediatamente decorrere i termini.
Adottare tecnologie adeguate
In proposito il Tribunale di Mantova ha recentemente esaminato un caso che vale la pena citare.
Un imprenditore rinveniva nella casella di posta certificata alcune email provenienti da un avvocato e contenenti allegati che non riusciva ad aprire; solo dopo l'intervento di un tecnico informatico scopriva la notifica di un decreto ingiuntivo ma, a quel punto, erano già decorsi i termini ritualmente previsti per l'opposizione.
Il Giudice, con sentenza del 3 giugno 2014, ha ritenuto che non sussistessero ragioni di forza maggiore per ammettere l'opposizione tardiva in quanto la mancata conoscenza del decreto risultava riconducibile esclusivamente a colpa dell'ingiunto.
In buona sostanza, secondo la prima giurisprudenza di merito, un imprenditore non solo è tenuto a scaricare la posta elettronica certificata, ma - per evitare conseguenze pregiudizievoli simili al caso mantovano - deve anche dotarsi di strumenti tecnologici (e, aggiungiamo, di opportune procedure aziendali) per gestire i documenti firmati digitalmente che gli vengono inviati.
Come dire: la legge non ammette ignoranza, la tecnologia nemmeno.
David D’agostini, Studio Avvocati D’Agostini
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