La responsabilità professionale dell'appaltatore
Nel prendere in gestione una qualsiasi attività, l'appaltatore si assume anche le responsabilità della sua buona riuscita, in quanto il suo ruolo contempla anche la funzione di controllore dell'opera stessa
26/06/2012
L'appaltatore è il soggetto che, verso un corrispettivo in danaro, si obbliga ad assumere, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio (art. 1655 c.c.).
Egli, dunque, assume su di sé il rischio del compimento dell'opera o del servizio, con l'impiego di risorse di tipo imprenditoriale.
Naturalmente, nell'esecuzione della propria prestazione l'appaltatore è tenuto ad osservare la diligenza qualificata di cui all'art. 1176, comma 2 c.c.
Grava pertanto sull'appaltatore l'onere di predisporre un'organizzazione della propria impresa che assicuri la presenza delle cognizioni tecniche necessarie per poter adempiere l'obbligazione di esecuzione di un'opera immune da vizi e difformità (Cass. n. 8395/1996).
Ne consegue che, quand'anche assuma l'esecuzione di un progetto altrui, può comunque essere ritenuto responsabile per i vizi dell'opera se, nel fedelmente eseguire il progetto e le indicazioni ricevute, non segnala eventuali carenze ed errori del progetto di cui si sia reso conto o avrebbe potuto, in base alle regole dell'arte, rendersi conto, giacché la prestazione da lui dovuta implica anche il controllo e la correzione degli eventuali errori del progetto (Cass. n. 12995/2006, Cass. n. 10550/2001, Cass. n. 6088/2000).
IN CASO DI DIFFORMITA' NELLA VALUTAZIONE DELL'OPERA
In tema di responsabilità dell'appaltatore (sul quale grava anche l'obbligo di custodire l'opera fino alla consegna) vengono in rilievo gli artt. 1665 e seguenti c.c., che prevedono anzitutto il diritto del committente a verificare l'opera, onde vagliare la eventuale presenza di vizi e/o difformità.
L'accettazione dell'opera libera l'appaltatore dalla responsabilità per i vizi palesi (conosciuti o riconoscibili dal committente) (Cass. n. 12981/2002), salvo l'ipotesi di malafede, ovvero di difformità e vizi conosciuti ed intenzionalmente taciuti dall'appaltatore (Cass. n. 18402/2009).
La riconoscibilità dei vizi e/o difetti, peraltro, deve valutarsi diversamente a seconda che alla verifica proceda il committente, profano delle regole dell'arte, od un tecnico dallo stesso nominato.
Ove il committente riscontri delle divergenze tra quanto pattuito e quanto realizzato, ha l'obbligo di farne denunzia all'appaltatore entro 60 giorni dalla scoperta, affinché possa escutere la garanzia entro il termine prescrizionale di due anni dalla consegna dell'opera (art. 1667 c.c.).
La denunzia non è necessaria se l'appaltatore ha riconosciuto le difformità od i vizi, ovvero se li ha occultati.
La garanzia, secondo quanto disposto dall'art. 1668 c.c., indipendentemente dalla sussistenza di colpa prevede o la consensuale riduzione del compenso pattuito, oppure la eliminazione delle difformità e dei vizi a spese dell'appaltatore, salvo il diritto al risarcimento del danno ove sussista anche colpa dell'appaltatore.
Vertendosi in tema di responsabilità contrattuale, la colpa è presunta fino a prova contraria (Cass. n. 4637/1983, Cass. n. 169/1996).
Secondo quanto previsto dall'art. 1668, comma 2 c.c., qualora i vizi siano talmente gravi da rendere l'opera realizzata del tutto inidonea alla sua destinazione (valutazione da compiersi in base a criteri oggettivi, salvo che la possibilità di un possibile impiego o di un determinato rendimento siano stati specificamente dedotti in contratto, cfr. Cass. n. 5250/2004), il soggetto che l'ha ordinata è legittimato altresì a chiedere la risoluzione del contratto.
I limiti di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c. operano esclusivamente con riferimento alle fattispecie ivi contemplate, restando applicabili, per gli altri inadempimenti, i rimedi previsti dalle norme generali degli artt. 1453 e seguenti c.c., soggetti ai relativi ordinari termini di prescrizione (Cass. n. 13431/2007)
LA REALIZZAZIONE DI UN BENE IMMOBILE
La responsabilità dell'appaltatore risulta inoltre aggravata qualora il contratto abbia ad oggetto la realizzazione di un bene immobile (art. 1669 c.c.).
In tal caso, se entro dieci anni dal compimento l'opera rovini, o ne presenti il serio pericolo, a causa di vizio del suolo o per difetto nella costruzione, sussiste la relativa responsabilità dell'appaltatore, purché ne sia stata fatta denunzia entro un anno dalla scoperta.
Il diritto al risarcimento si prescrive in un anno dalla denunzia.
Si ritiene generalmente che la norma contempli un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale, dettata al fine della tutela dell'ordine pubblico alla solidità e stabilità degli immobili.
Come tale, detta responsabilità può essere fatta valere da qualsiasi danneggiato e non dal solo committente (Cass. n. 7634/2006, Cass. n. 6393/1996).
Dalla natura extracontrattuale consegue peraltro che in danno dell'appaltatore non operi, per tale fattispecie, la presunzione di responsabilità per inadempimento (art. 1218 c.c.).
Inoltre, qualora si voglia chiedere il ripristino dell'immobile non ci si potrà avvalere dei rimedi contrattuali all'uopo previsti, ma si dovrà piuttosto invocare l'art. 2058 c.c., in virtù del quale l'appaltatore potrà essere condannato alla reintegrazione in forma specifica (cioè all'eliminazione delle conseguenze della rovina o dei difetti, ovvero alla rimozione del relativo pericolo), anziché a quella per equivalente (risarcimento in forma pecuniaria), solo qualora essa risulti possibile e non eccessivamente onerosa.
Egli, dunque, assume su di sé il rischio del compimento dell'opera o del servizio, con l'impiego di risorse di tipo imprenditoriale.
Naturalmente, nell'esecuzione della propria prestazione l'appaltatore è tenuto ad osservare la diligenza qualificata di cui all'art. 1176, comma 2 c.c.
Grava pertanto sull'appaltatore l'onere di predisporre un'organizzazione della propria impresa che assicuri la presenza delle cognizioni tecniche necessarie per poter adempiere l'obbligazione di esecuzione di un'opera immune da vizi e difformità (Cass. n. 8395/1996).
Ne consegue che, quand'anche assuma l'esecuzione di un progetto altrui, può comunque essere ritenuto responsabile per i vizi dell'opera se, nel fedelmente eseguire il progetto e le indicazioni ricevute, non segnala eventuali carenze ed errori del progetto di cui si sia reso conto o avrebbe potuto, in base alle regole dell'arte, rendersi conto, giacché la prestazione da lui dovuta implica anche il controllo e la correzione degli eventuali errori del progetto (Cass. n. 12995/2006, Cass. n. 10550/2001, Cass. n. 6088/2000).
IN CASO DI DIFFORMITA' NELLA VALUTAZIONE DELL'OPERA
In tema di responsabilità dell'appaltatore (sul quale grava anche l'obbligo di custodire l'opera fino alla consegna) vengono in rilievo gli artt. 1665 e seguenti c.c., che prevedono anzitutto il diritto del committente a verificare l'opera, onde vagliare la eventuale presenza di vizi e/o difformità.
L'accettazione dell'opera libera l'appaltatore dalla responsabilità per i vizi palesi (conosciuti o riconoscibili dal committente) (Cass. n. 12981/2002), salvo l'ipotesi di malafede, ovvero di difformità e vizi conosciuti ed intenzionalmente taciuti dall'appaltatore (Cass. n. 18402/2009).
La riconoscibilità dei vizi e/o difetti, peraltro, deve valutarsi diversamente a seconda che alla verifica proceda il committente, profano delle regole dell'arte, od un tecnico dallo stesso nominato.
Ove il committente riscontri delle divergenze tra quanto pattuito e quanto realizzato, ha l'obbligo di farne denunzia all'appaltatore entro 60 giorni dalla scoperta, affinché possa escutere la garanzia entro il termine prescrizionale di due anni dalla consegna dell'opera (art. 1667 c.c.).
La denunzia non è necessaria se l'appaltatore ha riconosciuto le difformità od i vizi, ovvero se li ha occultati.
La garanzia, secondo quanto disposto dall'art. 1668 c.c., indipendentemente dalla sussistenza di colpa prevede o la consensuale riduzione del compenso pattuito, oppure la eliminazione delle difformità e dei vizi a spese dell'appaltatore, salvo il diritto al risarcimento del danno ove sussista anche colpa dell'appaltatore.
Vertendosi in tema di responsabilità contrattuale, la colpa è presunta fino a prova contraria (Cass. n. 4637/1983, Cass. n. 169/1996).
Secondo quanto previsto dall'art. 1668, comma 2 c.c., qualora i vizi siano talmente gravi da rendere l'opera realizzata del tutto inidonea alla sua destinazione (valutazione da compiersi in base a criteri oggettivi, salvo che la possibilità di un possibile impiego o di un determinato rendimento siano stati specificamente dedotti in contratto, cfr. Cass. n. 5250/2004), il soggetto che l'ha ordinata è legittimato altresì a chiedere la risoluzione del contratto.
I limiti di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c. operano esclusivamente con riferimento alle fattispecie ivi contemplate, restando applicabili, per gli altri inadempimenti, i rimedi previsti dalle norme generali degli artt. 1453 e seguenti c.c., soggetti ai relativi ordinari termini di prescrizione (Cass. n. 13431/2007)
LA REALIZZAZIONE DI UN BENE IMMOBILE
La responsabilità dell'appaltatore risulta inoltre aggravata qualora il contratto abbia ad oggetto la realizzazione di un bene immobile (art. 1669 c.c.).
In tal caso, se entro dieci anni dal compimento l'opera rovini, o ne presenti il serio pericolo, a causa di vizio del suolo o per difetto nella costruzione, sussiste la relativa responsabilità dell'appaltatore, purché ne sia stata fatta denunzia entro un anno dalla scoperta.
Il diritto al risarcimento si prescrive in un anno dalla denunzia.
Si ritiene generalmente che la norma contempli un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale, dettata al fine della tutela dell'ordine pubblico alla solidità e stabilità degli immobili.
Come tale, detta responsabilità può essere fatta valere da qualsiasi danneggiato e non dal solo committente (Cass. n. 7634/2006, Cass. n. 6393/1996).
Dalla natura extracontrattuale consegue peraltro che in danno dell'appaltatore non operi, per tale fattispecie, la presunzione di responsabilità per inadempimento (art. 1218 c.c.).
Inoltre, qualora si voglia chiedere il ripristino dell'immobile non ci si potrà avvalere dei rimedi contrattuali all'uopo previsti, ma si dovrà piuttosto invocare l'art. 2058 c.c., in virtù del quale l'appaltatore potrà essere condannato alla reintegrazione in forma specifica (cioè all'eliminazione delle conseguenze della rovina o dei difetti, ovvero alla rimozione del relativo pericolo), anziché a quella per equivalente (risarcimento in forma pecuniaria), solo qualora essa risulti possibile e non eccessivamente onerosa.
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