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Un mercato a due velocità

Cresce il divario tra i piani individuali e quelli collettivi, ma solo un lavoratore su quattro ha una pensione integrativa

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Il governo Monti sta progressivamente introducendo grandi cambiamenti nel mercato del lavoro, di certo l'avvio del sistema di calcolo contributivo e l'aumento del periodo di contribuzione minimo per poter beneficiare della pensione di anzianità avranno forti ripercussioni sulla previdenza complementare. Per far luce su questo settore e per avere una panoramica complessiva dell'attuale situazione del mercato previdenziale italiano, Iama consulting ha recentemente organizzato un evento ad hoc, il Pension Day.

Con Matteo Feroldi, consultant di Iama vediamo le principali dinamiche evolutive che interessano il settore.
Il Pension Day è stata l'occasione per discutere i trend degli ultimi anni e soprattutto per riflettere sulle motivazioni della scarsa crescita del mercato previdenziale nel nostro paese. Sicuramente la crisi economica, le difficoltà dei mercati finanziari e un tasso di disoccupazione vicino al 9% hanno giocato un ruolo fondamentale nel determinare questa situazione, ma il ritardo italiano è imputabile anche ad altri fattori, primo fra tutti la mancanza di un'offerta adeguata.

Di che numeri stiamo parlando?
Ad oggi la previdenza complementare raccoglie 5 milioni e 600 mila iscritti, divisi fra le diverse tipologie di prodotti. La maggior parte, circa 2 milioni risulta iscritto a prodotti di tipo individuale assicurativo, una quota analoga ha aderito a fondi pensione negoziali quindi di categoria; mentre oltre 650 mila risultano ancora iscritti a fondi pre esistenti (antecedenti alla riforma del 2005) e 880 mila a fondi pensione aperti. In totale, la penetrazione sul mercato non raggiunge neppure il 25%, questo significa che solo un lavoratore su quattro attualmente ha scelto forme pensionistiche integrative.

Nell'ambito delle diverse tipologie di prodotto quali sono i trend di crescita?
La parte che cresce di più è quella dei piani individuali di previdenza: nel corso del 2011 sono state collocate 350 mila nuove polizze contro le circa 60 mila dei fondi pensione aperti e di quelli negoziali, si può dire che il mercato vada nettamente a due velocità tra la parte individuale e quella collettiva.

Qual è la ragione del successo dei piani individuali rispetto a quelli collettivi?
Le difficoltà economiche stanno pesando molto sulle Pmi rendendo più complicato posizionare contratti di tipo collettivo, ma il vero punto di forza dei prodotti di terzo pilastro (i Pip, piani pensionistici individuali) è la capacità di stimolare in modo più incisivo la domanda grazie a una rete capillare di vendita e al contatto diretto col cliente.
All'inizio si pensava che il mercato della previdenza complementare sarebbe stato trascinato dalla domanda di mercato stessa e da un bisogno di protezione latente che il lavoratore avrebbe potuto colmare con una pensione integrativa, la realtà dei fatti si è rivelata molto diversa: è un mercato che deve essere stimolato, per questo, come dicevo, i risultati migliori vengono dai prodotti che beneficiano di una comunicazione diretta e personalizzata rispetto alle esigenze del lavoratore.

Perché molti lavoratori scelgono di mantenere il Tfr in azienda?
Sicuramente la criticità della situazione dei mercati finanziari determina un atteggiamento di sfiducia dei lavoratori che preferiscono lasciare il Tfr in azienda ritenendolo un investimento sicuro rispetto a gestioni più vincolate all'andamento dei mercati. Ma questa scelta è dettata anche da una forte disinformazione, molto spesso ad esempio i lavoratori non conoscono i benefici fiscali derivanti dall'affidare il proprio Tfr a un fondo.

A questo si aggiungono le difficoltà e i vincoli in uscita.
Sì, l'irreversibilità è il problema maggiore, una volta deciso di affidare il Tfr a un fondo non si può più tornare indietro e questo crea delle resistenze. Inoltre il vantaggio fiscale che si ha sottoscrivendo un fondo non si verifica subito, ma nel momento in cui si va a chiedere la prestazione e questo è un ulteriore passaggio difficile da comunicare.

Attraverso quali strategie sarà possibile muovere questo mercato?
Si può pensare di agire sull'offerta di prodotto che è ancora piuttosto standardizzata soprattutto implementandola con la proposta di altre coperture assicurative, come la garanzia contro la perdita del lavoro che abbiamo visto essere un rischio assicurabile e un tema molto sentito. Poi molte leve di marketing potrebbero essere esperite e sviluppate, ma necessitano di investimenti che attualmente sono ancora molto esigui. In futuro diverrà sempre più importante puntare sulla formazione e su una comunicazione dedicata. I piani individuali funzionano perché si fondano su un rapporto one to one con un consulente preparato e disponibile a rispondere ai dubbi e alle perplessità legate a una materia per molti aspetti poco conosciuta. Di certo in un periodo recessivo, senza investimenti diretti e aspettando passivamente che la domanda intercetti l'offerta non si può sperare di migliorare la situazione.

Quali scenari apre il progressivo restringersi dell'intervento statale?
Con il venir meno del ruolo forte dello stato, si sta evidenziando un gap di protezione che apre all'iniziativa dei privati, in questo caso le assicurazioni dovranno allargare il loro spettro d'azione per offrire una sorta di welfare integrato sia di tipo contrattuale, in appoggio alle organizzazioni sindacali, sia di tipo individuale. Gli assicuratori sono pronti per questa svolta, ma siamo ancora in una fase embrionale.

L'Europa come si sta muovendo rispetto al tema della previdenza complementare?
Il mercato più sviluppato è sicuramente quello del Regno Unito dove già da molti anni la previdenza complementare si è consolidata anche grazie a meccanismi di contracting out che permettono di uscire in parte dal sistema statale per crearsi una pensione direttamente con i propri risparmi e prodotti di investimento avendo però degli sgravi fiscali piuttosto importanti.

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