La sottoscrizione della clausola claims made
La vessatorietà della clausola è ancora un tema aperto nonostante i molti pronunciamenti. Di fronte ad una tendenza di valutazione “caso per caso” da parte dei giudici, è consigliabile che le compagnie si tutelino in fase di contratto con il cliente
25/05/2015
Un nuovo intervento della Suprema Corte sembra far luce sulla vexata quaestio della natura della clausola cosi detta claims made. Nella prassi, lo schema della predetta clausola può essere ricostruito secondo una formula “pura” ovvero “mista”.
Nel primo caso, l’assicuratore assume l’obbligo di manleva per ogni richiesta di risarcimento formulata dall’assicurato per la prima volta durante il periodo di efficacia del contratto di assicurazione (qualunque sia il periodo in cui è stato commesso il fatto che ha dato origine alla richiesta di risarcimento); nella seconda ipotesi, invero più frequente nella prassi, ad essere garantiti sono solo i sinistri denunciati durante il tempo dell’assicurazione ed anche se si siano verificati in epoca antecedente alla stipula della polizza, purché questi ultimi non risalgano oltre un certo numero di anni indietro (il così detto periodo di retroattività).
Due orientamenti contrastanti
La giurisprudenza ha fornito, nel tempo, contrastanti interpretazioni sulle clausole claims made anche se due sono gli orientamenti prevalenti: uno, più risalente, che considera tali clausole radicalmente nulle (cfr., ex multis, Trib. Roma, 10/04/2013; conf. Trib. Genova Sez. II, 08/04/2008); un altro, più recente e maggiormente condivisibile, che le ritiene pienamente valide, salva la necessità di accertare la loro potenziale vessatorietà (con le ben note conseguenze di tutela per il “contraente debole”; cfr., per tutte, Cass. civ. Sez. III, 22/03/2013, n. 7273; conf. Cass. civ. Sez. III, 17/02/2014, n. 3622).
Recentemente, i Giudici di Legittimità hanno ammesso l’efficacia e la legittimità della clausola, anche in termini di buona fede, chiarendo che la stessa non introdurrebbe alcuna limitazione della responsabilità in favore dell’assicuratore, ma stabilirebbe, invero, quali sinistri possano o meno essere oggetto di indennizzo (Cass. civ. Sez. III, 13/02/2015, n. 2872).
Tuttavia, resta comunque da chiarire la questione, non meno importante sotto il profilo delle possibili conseguenze pratiche (in primis sulla redazione e sottoscrizione della clausola), derivante dallo scrutinio sulla relativa vessatorietà.
Più a rischio la claims made “mista”
Su tale questione, la più recente giurisprudenza di merito ha inteso precisare che mentre la clausola claims made “pura” di per sé non può definirsi vessatoria (cfr. Trib. Roma, 07/01/2015), perché non limitativa della responsabilità dell’assicuratore, a diversa conclusione deve invece pervenirsi con riferimento alla clausola claims made “mista”, che in quanto volta a limitare l’estensione della garanzia che si realizzerebbe con l’applicazione del sistema fondato sul claims made puro, è invece da ritenersi vessatoria, ed in quanto tale, richiederebbe la sua specifica approvazione per iscritto ex art. 1341 co. 2 c.c..
Su quest’ultimo aspetto, la Suprema Corte si è espressa ritenendo che: «la clausola claims made non può essere, comunque, ritenuta vessatoria in astratto, posto che non pone limitazioni di responsabilità in favore dell’assicuratore ma definisce l’oggetto della copertura» e, pertanto, «spetta al giudice stabilire, caso per caso, con valutazione di merito, se […] abbia natura vessatoria ai sensi dell’art. 1341 cod. civ.» (Cass. civ., 13/02/2015, n. 2872 cit.).
Siamo oggi in presenza quindi di un orientamento giurisprudenziale tutt’altro che omogeneo sul tema della potenziale vessatorietà della clausola claims made, anche se caratterizzato da recenti aperture del legislatore: il Ddl Concorrenza del 20.2.2015 infatti, prevede che, fatta salva la libertà contrattuale delle parti, si potrà inserire nelle condizioni contrattuali delle polizze Rc professionali anche l’offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i 10 anni successivi alla cessazione della copertura e riferite a fatti verificatisi nel periodo di operatività della stessa.
Ciò nonostante, appare in conclusione consigliabile per le compagnie sensibilizzare l’attenzione del contraente in ordine alla presenza, nel contratto, della clausola de qua procedendo, comunque, almeno per quella così detta “mista”, visto l’ondivago orientamento delle corti, alla doppia sottoscrizione della stessa secondo quanto disposto dell’art. 1341 c.c..
Nel primo caso, l’assicuratore assume l’obbligo di manleva per ogni richiesta di risarcimento formulata dall’assicurato per la prima volta durante il periodo di efficacia del contratto di assicurazione (qualunque sia il periodo in cui è stato commesso il fatto che ha dato origine alla richiesta di risarcimento); nella seconda ipotesi, invero più frequente nella prassi, ad essere garantiti sono solo i sinistri denunciati durante il tempo dell’assicurazione ed anche se si siano verificati in epoca antecedente alla stipula della polizza, purché questi ultimi non risalgano oltre un certo numero di anni indietro (il così detto periodo di retroattività).
Due orientamenti contrastanti
La giurisprudenza ha fornito, nel tempo, contrastanti interpretazioni sulle clausole claims made anche se due sono gli orientamenti prevalenti: uno, più risalente, che considera tali clausole radicalmente nulle (cfr., ex multis, Trib. Roma, 10/04/2013; conf. Trib. Genova Sez. II, 08/04/2008); un altro, più recente e maggiormente condivisibile, che le ritiene pienamente valide, salva la necessità di accertare la loro potenziale vessatorietà (con le ben note conseguenze di tutela per il “contraente debole”; cfr., per tutte, Cass. civ. Sez. III, 22/03/2013, n. 7273; conf. Cass. civ. Sez. III, 17/02/2014, n. 3622).
Recentemente, i Giudici di Legittimità hanno ammesso l’efficacia e la legittimità della clausola, anche in termini di buona fede, chiarendo che la stessa non introdurrebbe alcuna limitazione della responsabilità in favore dell’assicuratore, ma stabilirebbe, invero, quali sinistri possano o meno essere oggetto di indennizzo (Cass. civ. Sez. III, 13/02/2015, n. 2872).
Tuttavia, resta comunque da chiarire la questione, non meno importante sotto il profilo delle possibili conseguenze pratiche (in primis sulla redazione e sottoscrizione della clausola), derivante dallo scrutinio sulla relativa vessatorietà.
Più a rischio la claims made “mista”
Su tale questione, la più recente giurisprudenza di merito ha inteso precisare che mentre la clausola claims made “pura” di per sé non può definirsi vessatoria (cfr. Trib. Roma, 07/01/2015), perché non limitativa della responsabilità dell’assicuratore, a diversa conclusione deve invece pervenirsi con riferimento alla clausola claims made “mista”, che in quanto volta a limitare l’estensione della garanzia che si realizzerebbe con l’applicazione del sistema fondato sul claims made puro, è invece da ritenersi vessatoria, ed in quanto tale, richiederebbe la sua specifica approvazione per iscritto ex art. 1341 co. 2 c.c..
Su quest’ultimo aspetto, la Suprema Corte si è espressa ritenendo che: «la clausola claims made non può essere, comunque, ritenuta vessatoria in astratto, posto che non pone limitazioni di responsabilità in favore dell’assicuratore ma definisce l’oggetto della copertura» e, pertanto, «spetta al giudice stabilire, caso per caso, con valutazione di merito, se […] abbia natura vessatoria ai sensi dell’art. 1341 cod. civ.» (Cass. civ., 13/02/2015, n. 2872 cit.).
Siamo oggi in presenza quindi di un orientamento giurisprudenziale tutt’altro che omogeneo sul tema della potenziale vessatorietà della clausola claims made, anche se caratterizzato da recenti aperture del legislatore: il Ddl Concorrenza del 20.2.2015 infatti, prevede che, fatta salva la libertà contrattuale delle parti, si potrà inserire nelle condizioni contrattuali delle polizze Rc professionali anche l’offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i 10 anni successivi alla cessazione della copertura e riferite a fatti verificatisi nel periodo di operatività della stessa.
Ciò nonostante, appare in conclusione consigliabile per le compagnie sensibilizzare l’attenzione del contraente in ordine alla presenza, nel contratto, della clausola de qua procedendo, comunque, almeno per quella così detta “mista”, visto l’ondivago orientamento delle corti, alla doppia sottoscrizione della stessa secondo quanto disposto dell’art. 1341 c.c..
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