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Claims made: il test della Cassazione al vaglio della giurisprudenza

In questa terza parte di approfondimento sull’approccio delle corti verso le clausole “a richiesta fatta”, è analizzato l’equilibrio che deve essere presente nelle polizze tra periodo di retroattività e di ultrattività, entrambi considerati come garanzia per l’assicurato

Claims made: il test della Cassazione al vaglio della giurisprudenza hp_vert_img
TERZA PARTE  

L’esclusione della vessatorietà delle claims made ex art. 1341 C.c., in ragione della loro funzione di delimitazione dell’oggetto del contratto assicurativo, può considerarsi ormai dato per acquisito nella giurisprudenza di merito. 
Le pronunce qui esaminate attengono, salvo alcune limitate eccezioni, alle coperture in materia di Rc professionale e sanitaria, e riguardano ipotesi di claims made impure o miste.
Dall’esame delle decisioni emergono posizioni mutevoli in relazione alla idoneità di clausole con periodi di retroattività e ultrattività variamente articolati. 
In linea generale, clausole con retroattività inferiore ai due anni si sono rivelate più vulnerabili. Viceversa, una retroattività eccedente i tre anni ha registrato una prevalenza di giudizi positivi, con clausole che hanno superato senza danni la verifica giurisprudenziale.
Il Tribunale di Milano ha ritenuto invalida una retroattività di sei mesi, in quanto essa “non risulta offrire garanzie minime e lascia certamente “buchi di copertura” non solo tenuto conto dei tempi di prescrizione delle possibili pretese risarcitorie, ma altresì della copertura dai rischi per danni da eziologia incerta e/o caratterizzati da una lungolatenza” (Trib. Milano, 24.7.2019). 
Del pari, in un giudizio innanzi al Tribunale di Napoli, una claims made con retroattività di due anni e ultrattività di 30 giorni non ha superato “il vaglio di meritevolezza di tutela”, con conseguente dichiarazione di nullità della clausola. Ad avviso del Tribunale “è assai difficile ritenere meritevoli di tutela le clausole claims made c.d. impure (...) che limitano (...) la copertura alla sola rigida ipotesi che, durante il tempo dell’assicurazione, intervengano sia il sinistro che la richiesta di risarcimento, senza deroghe di sorta verso il passato o il futuro o con limitati periodi di vigenza postuma”, al punto tale che una tale conformazione (salvo specificità emergenti nel singolo giudizio) fonderebbe addirittura una presunzione semplice di immeritevolezza ex art. 2729 comma 1 c.c. (Trib. Napoli, 22.7.2019). 

Retroattività, una clausula che garantisce
Come accennato, valutazioni prevalentemente favorevoli sono invece state espresse in relazione a claims made con retroattività di almeno tre anni. 
Il Tribunale di Milano, in un caso in cui la clausola offriva pure un’ultrattività di cinque anni per l’ipotesi di cessazione dell’attività dell’assicurato, ha ritenuto che tre anni siano “un periodo di una certa consistenza, tale da tutelare adeguatamente gli interessi dell’assicurato”, per cui “in assenza di specifici elementi di valutazione concretamente dedotti in giudizio (...), nonché di dati documentali significativi sul punto, la clausola deve essere considerata legittimamente apposta” (Trib. Milano, 24.1.2020). Concorde sul punto si è mostrato il foro capitolino, evidenziando, per una polizza con validità dal 1 aprile 2011, che “l’operatività di detta clausola [claims made impura, ndr] nel caso di specie non è stata specificamente contestata dall’assicurato e che la stessa, peraltro, prevede adeguata retroattività sino al 1 aprile 2008” (Trib. Roma, 21.2.2020).
In un caso di copertura assicurativa della responsabilità civile di un avvocato, nel sancire la validità di una claims made con retroattività a cinque anni, la Corte d’appello di Venezia ha compiuto interessanti valutazioni. 
Innanzitutto, i giudici hanno escluso la verificabilità della meritevolezza secondo i parametri di Sezioni Unite della Cassazione 9140/2016 stabiliti per l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile, “non sussistendo certamente all’epoca della stipulazione del contratto assicurativo (...) alcun obbligo di legge per l’assicurazione dei professionisti legali”. 
Hanno poi ritenuto non valutabile l’inadeguatezza del contratto secondo i parametri delle Sezioni Unite 2018, “in quanto (...) nel caso che ne occupa è stato il cliente a recedere dal contratto, così limitando alle richieste di risarcimento sino ad allora formulate l’ambito della copertura assicurativa”. 
Circa l’indagine sul contenuto del contratto, la Corte ha poi sottolineato che “la clausola in parola non comporta alcuna alterazione del sinallagma contrattuale o sbilanciamento del rapporto di corrispettività fra il pagamento del premio e il diritto all’indennizzo, in ragione del fatto che vi è un’espressa previsione di estensione retroattiva della garanzia a fatti pregressi sino a cinque anni precedenti, sì che non è dato ravvisare alcuna distorsione nella regolamentazione delle prestazioni corrispettive delle parti”. Infine, ha anche chiarito che “neppure è a discorrere di asimmetrie informative in sede di conclusione del contratto nel caso di specie, che riguarda un avvocato e, dunque un professionista legale, come tale esperto delle implicazioni giuridiche delle clausole contrattuali” (App. Venezia, 19.6.2019).
In un altro caso relativo a una clausola con retroattività pari a circa sei anni e mezzo (nel quale però gli inadempimenti degli obblighi informativi da parte dell’assicurazione “non sono stati oggetto di doglianza da parte dell’assicurato”), il Tribunale di Roma ha chiarito che la claims made “non può considerarsi nulla”. La sentenza ha riportato testualmente la formulazione della clausola, che fissava l’operatività della polizza “per le richieste di risarcimento conseguenti a comportamenti colposi posti in essere prima del 3.11.2011 (ndr data di inizio della copertura assicurativa), ma non oltre il 9 gennaio 2005 e presentate per la prima volta nel periodo di efficacia dell’assicurazione” (Trib. Roma, 22.10.2019).
Prevedibile, poi, l’esito cui è pervenuta la Corte d’Appello di Napoli in un caso di copertura assicurativa in materia di responsabilità notarile, ove il periodo di retroattività era pari a 10 anni: è stata affermata la validità della clausola poiché il diritto all’indennizzo era previsto relativamente a “tutte le condotte negligenti tenute dal professionista a ritroso nel tempo sino alla prescrizione decennale. L’avere previsto questo lungo arco temporale consente di escludere che la clausola in esame contenga un ingiustificato vantaggio per l’assicuratore, poiché egli resta comunque esposto all’alea di eventuali richieste risarcitorie per eventi accaduti in tempi risalenti (ovvero sino ad un decennio addietro), per i quali l’assicurato abbia avuto richiesta di risarcimento durante la vigenza della polizza. Neppure in concreto, come vuole l’appellante, la detta clausola, in ragione delle informazioni da lui rese, si configura come immeritevole di tutela” (App. Napoli, 28.2.2019).
Da segnalare infine una sentenza del Tribunale di Reggio Emilia, ove una clausola claims made apparentemente priva di periodo di retroattività è stata ritenuta comunque valida, in considerazione della presenza di altre polizze stipulate dall’assicurato per i periodi pregressi. 
Il giudice, infatti, ha motivato la conclusione evidenziando che “a differenza del caso affrontato dalla Cassazione nella sentenza n. 10506/2017, in cui, invece, si escludeva il diritto all’indennizzo per i danni (..) dei quali il terzo danneggiato avesse chiesto il pagamento dopo la scadenza del contratto (c.d. “le richieste postume”), nell’ipotesi per cui è causa, la limitazione non afferirebbe a richieste postume ma a eventi pregressi rispetto la stipulazione della polizza non creando, quindi, alcun buco di garanzia proprio perché detti eventi sono coperti dalla vigenza di altra polizza assicurativa” (Trib. Reggio Emilia, 11.4.2019).  

Per l’equilibrio serve anche un’ultrattività
Volgendo ora lo sguardo al periodo di ultrattività, la giurisprudenza ha tendenzialmente ispirato la propria valutazione all’accertamento di una tutela effettiva dell’assicurato.
Particolarmente severo lo scrutinio della Corte d’appello di Genova, che ha sancito la nullità di una claims made sprovvista di ogni periodo di ultrattività, ma recante retroattività illimitata. La pronuncia si spiega meglio alla luce delle caratteristiche del caso di specie: si discuteva infatti della possibile assenza di copertura per avere l’assicurato trasmesso all’assicurazione la denuncia di sinistro tra il giorno precedente (ad avviso del primo) e quello successivo (a parere della seconda) rispetto alla data di disdetta del contratto assicurativo. 
Si comprendono così le seguenti affermazioni della Corte, secondo cui “mentre una clausola come quella in esame svolge una funzione equilibratrice del rapporto per i danni c.d. lungo-latenti (...), l’applicazione di un siffatto modello e meccanismo non pare giustificabile in una fattispecie – come quella in esame – nella quale il sinistro s’è verificato in piena vigenza del contratto e la richiesta di risarcimento del danno è stata trasmessa all’assicuratore a pochissimi giorni dalla scadenza del contratto. Piuttosto, la sua applicazione determina un vuoto di garanzia per un periodo per il quale è stato pagato il premio assicurativo, non giustificabile nell’economia del contratto” (App. Genova, 26.6.2019).

Conseguenze derivanti da una declaratoria di inidoneità
È opportuno chiedersi quale sia la conseguenza di una declaratoria di inidoneità della clausola. 
Quanto alla fase prodromica alla conclusione del contratto, l’eventuale violazione degli obblighi di buona fede, protezione ed informazione nella fase precontrattuale ex artt. 1337, 1338 C.c. ad avviso della Corte “potrà assumere rilievo anche in ipotesi di contratto validamente concluso, (...) a prescindere dalla eventualità stessa che la condotta scorretta abbia potuto dar luogo ad un vizio del consenso (art. 1427 C.c.), con tutte le relative conseguenze anche in termini di annullabilità del contratto ovvero di ristoro dei danni nell’ipotesi di dolo incidente (art. 1440 C.c.)” (Sez. Un. Cass. 22437/2018). 
Un simile vizio potrà dunque in teoria condurre all’annullamento della clausola, ovvero al risarcimento del danno patito. 
Nella casistica esaminata, però, si rinvengono perlopiù vizi che attengono alla fase di stipulazione del contratto assicurativo. In proposito, le Sezioni Unite parlano più strettamente di “verifica di idoneità del regolamento effettivamente pattuito” rispetto “agli interessi in concreto avuti di mira dai paciscenti” (i.e. alla causa concreta del contratto), con un sindacato sul sinallagma del contratto assicurativo che qui assume i contorni di equilibrio tra rischio assicurato e premio assicurativo (Sez. Un. Cass. 22437/2018).
La nullità può essere totale o parziale ex art. 1419 C.c., con conseguente integrazione del regolamento contrattuale “non già tramite il modello della c.d. loss occurence di cui all’art. 1917 C.c., comma 1, bensì (...) attingendo quanto necessario per ripristinare in modo coerente l’equilibrio dell’assetto vulnerato dalle indicazioni reperibili dalla stessa regolamentazione legislativa”, con l’applicabilità di tale costruzione anche ai “rapporti assicurativi sorti prima dell’affermarsi del regime di obbligatorietà dell’assicurazione della responsabilità civile professionale” (Sez. Un. Cass. 22437/2018).
L’analisi della casistica, tuttavia, mostra marcate differenze di approccio.
La pronuncia della Corte d’Appello di Venezia sopra richiamata ad esempio ha escluso di poter valutare la validità della claims made in una polizza Rc avvocati sottoscritta tempo addietro rispetto all’introduzione dei relativi obblighi normativi di cui al d.m. 22 settembre 2016.Secondo una delle richiamate pronunce del Tribunale di Milano, poi, alla “declaratoria di nullità della clausola consegue necessariamente l’applicazione del modello codicistico di cui all’art. 1917 C.c.” (Trib. Milano, 24.7.2019). 
Pare invece conformarsi al modello plasmato dalla Cassazione il Tribunale di Napoli, che ha ritenuto che “la nullità debba incidere esclusivamente sulla parte della clausola che comporti una effettiva limitazione della responsabilità, e cioè sulla totale esclusione della c.d. retroactive date (...). In definitiva, la clausola deve ritenersi nulla solo nella parte in cui non estende la garanzia ai fatti verificatisi nel decennio antecedente alla stipula del contratto (coincidente con il termine di prescrizione), e deve considerarsi come una clausola claims made pura” (Trib. Napoli, 22.7.2019).

Conclusioni
L’analisi delle decisioni giurisprudenziali rese negli ultimi 18 mesi mostra come permanga ancora oggi una certa incertezza nonostante gli interventi della Cassazione a Sezioni Unite. Il superamento del requisito della meritevolezza in favore di quello della idoneità, accompagnato dalla necessità di una valutazione caso per caso, ha inevitabilmente richiesto il compimento di un’attività istruttoria non semplice, che si scontra con le preclusioni esistenti allorquando il test viene applicato ai giudizi in corso e la difficoltà di ricostruire in modo adeguato le negoziazioni che hanno portato all’adozione della clausola oggetto di censura.
Lo stesso superamento del requisito della meritevolezza sta avvenendo con qualche titubanza. Emblematica, sul punto, è una recente pronuncia resa dalla Suprema Corte, con cui è stata cassata una sentenza della Corte d’Appello di Roma per avere quest’ultima “affermato che la clausola claims made rende atipico il contratto di assicurazione ed avendo ritenuto, di conseguenza, la pattuizione soggetta al controllo di meritevolezza di cui all’art. 1322 C.c., comma 2, invece di procedere alla verifica della causa in concreto del contratto tipico (...) nonché del rispetto, in quest’ottica, dei soli limiti imposti dalla legge, in base all’art. 1322 C.c., comma 1” (Cass. 29365/2019). 
É emersa la tendenziale solidità di clausole claims made impure con un congruo periodo di retroattività, soprattutto se accompagnato da una ultrattività adeguata.
Non sembra peraltro che, almeno nei casi decisi finora, il modello delle coperture su base claims made presente nella disciplina di legge in materia di Rc sanitaria e professionale, che la Cassazione ha ritenuto inderogabile in pejus, sia stato adottato quale parametro necessario di riferimento.
In conclusione, nonostante gli auspici delle Sezioni Unite “il dibattito giurisprudenziale (..) intorno alla validità della clausola cosiddetta claims made” deve considerarsi “tuttora non sopito” (App. Milano, 24.4.2019).



1 Prima della vessatorietà della claims made recentemente sancita da Cass. 8894/2020 succitata, il punto appariva pacifico anche nella giurisprudenza di legittimità, già prima degli interventi a Sezioni Unite: per tutti, cfr. Cass. 10619/2012.

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