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Claims made: gli scenari dopo la sentenza

La recente sentenza delle Sezioni Unite sulla legittimità della clausola claims made apre a sviluppi non attesi che complicano il mercato delle polizze di Rc per i professionisti

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Conviene tornare subito in argomento. La sentenza depositata in data 6 maggio 2016 dalle Sezioni Unite della Cassazione (n. 9140, Pres. Rordorf, Est. Amendola – si veda l’articolo pubblicato su Insurance Daily n. 924 del 11 maggio scorso) sulla complessa ed annosa questione della legittimità, nello schema normativo attuale, della clausola denominata claims made o a richiesta fatta, sta portando, infatti, grande preoccupazione nel mercato.

Si giustifica quindi il timore che la lunga attesa della decisione aveva indotto: il decreto di rimessione alle Sezioni Unite era infatti del marzo 2015, con la segnalazione di una “questione di massima e particolare importanza”, mentre ancora di recente – in data 28 aprile 2016 un’ordinanza interlocutoria della III sezione della Corte differiva la decisione in attesa del pronunciamento odierno.

Innanzitutto il mercato assicurativo guardava con timore i possibili effetti dirompenti di una eventuale dichiarazione di illegittimità della clausola in argomento (come da più parti sostenuto), per  la ragione che tale evenienza avrebbe voluto dire lo stravolgimento dell’impianto negoziale del regime temporale di una vasta gamma di prodotti assicurativi, prime fra tutte le polizze per la protezione della responsabilità civile dei professionisti.

Certamente interessati a tale decisione erano tutti gli operatori del diritto (avvocati, magistrati, dottrina) che a vario titolo in questi anni si sono impegnati nella ricerca di un equilibrio complesso tra ciò che è lo schema normativo dell’assicurazione della responsabilità civile (legato alla copertura del “fatto illecito” ex art. 1917 C.C.) e la derogabilità convenzionale dell’insorgenza della garanzia assicurativa.

Ma, soprattutto, la decisione era attesa anche per l’impatto che la stessa avrebbe avuto (e infatti avrà) verso l’intero mondo delle professioni, oggi soggetto e compresso tra obblighi di dotarsi di “idonee” coperture assicurative (L. 148/2011 e L. 189/2012, meglio nota come “Legge Balduzzi”) e una penuria di offerta di prodotti assicurativi adeguati sul piano dell’ampiezza della garanzia e sostenibili su quello del loro costo economico.

Le possibili conseguenze della decisione

Più che un esercizio di analisi delle ragioni giuridiche del pronunciamento, ci preme proiettarci in avanti e analizzare quello che potrebbe essere il possibile (probabile?) scenario futuro dell’intera disciplina dell’assicurazione della responsabilità civile e, in particolare, di quella professionale.

È, infatti, estremamente importante comprendere, pur in questa fase di impatto “embrionale” e ancora di sintesi interpretativa, quali saranno le conseguenze immediate e a breve termine di tale importantissima sentenza.

Proviamo dunque a delineare questi plausibili scenari futuri:
1.    Va da sé che il comparto assicurativo direttamente coinvolto dalla decisione sarà quello delle coperture rese alla responsabilità civile professionale.
2.    Una prima conseguenza pratica sarà quella di rendere ancora più aleatorio l’esito del corposo contezioso giudiziale che pende tutt’oggi con riguardo alla validità o meno delle delimitazioni temporali delle coperture sotto effetto della clausola claims made; contenzioso che certamente ora verrà fortemente condizionato dalla sentenza 9140.
3.    Resta poi rimesso all’incertezza più assoluta l’impatto che la decisione di un giudice potrebbe avere sull’efficacia delle stesse coperture assicurative chiamate a garantire in giudizio il professionista: se, ad esempio, un giudice correggesse il regime temporale della polizza da claims a loss, lo stesso contratto invocato potrebbe non essere attivo sul fatto, proprio perché stipulato dopo l’antecedente eziologico della colpa.
4.    Certamente il mercato assicurativo dovrà rivedere il proprio impianto assuntivo dei rischi professionali e, con essi, anche i costi di riservazione attuali. Ad esempio, si potrà prevedere l’uscita di scena della clausola claims made cosiddetta “impura”, oggi per il vero la più “gettonata” nel panorama dell’offerta assicurativa.
5.    Facile prevedere, con l’estensione temporale delle coperture indotte da questa decisione, l’innalzamento dei costi assicurativi per i professionisti e quindi degli indici attuariali che governano l’offerta del prodotto sul mercato. Il probabile innalzamento dei costi legati all’estensione del rischio temporale diverrebbe dunque, per paradosso, un boomerang a carico della classe libero-professionale che si vorrebbe tutelare.
6.    Né al settore assicurativo potrà comunque piacere (nel contesto finanziario e di ritenzione delle riserve) una aleatorietà del ramo indotta non solo dalla tipicità del rischio, ma anche dalla possibile valutazione futura che il singolo giudice potrà dare dell’efficacia vincolante del regime temporale della polizza, pur liberamente accettata e negoziata fra i contraenti.
7.    Il monito lanciato verso le associazioni di categoria e, per essi, verso gli operatori commerciali che collocano i prodotti sul mercato della Rc professionale, avrà conseguenze tanto nel contesto della negoziazione del prodotto, quanto in quello (che rimane sotto traccia ma non silente) della responsabilità professionale degli stessi intermediari che facilitino la commercializzazione di polizze ritenute in seguito “inadeguate”.
8.    Infine, ma non ultimo, lo stesso monito avrà (se ben compreso ove è opportuno che lo sia) conseguenze di natura precettiva anche per l’Esecutivo (chiamato a regolamentare per decreto gli obblighi assicurativi imposti dalla legge) e, in ultima analisi, per lo stesso legislatore che proprio di questi tempi sta discutendo la riforma della responsabilità sanitaria (Ddl “Gelli”, n. 2224, attualmente in Commissione al Senato, con testo approvato alla Camera dei Deputati lo scorso gennaio 2016).

Quello che va detto, è che la Corte ha provato a farsi carico (prima ancora del nostro legislatore, che ancora si dibatte tra inefficaci formule normative – si veda la cosiddetta “Legge Balduzzi” – o confusi propositi di riforma solo settoriale della materia – il Ddl “Gelli”  riferito ancora alla sola Rc sanitaria) del “grido di dolore” che proviene in più modi dal “mondo delle professioni”, schiacciato oggi tra rigidità giurisprudenziali circa il proprio operato (sempre più veicolato verso l’obbligazione di risultato), costi materiali di reperibilità delle garanzie assicurative e, soprattutto, la sensazione diffusa di inadeguatezza delle stesse coperture, lasciando oggi sempre più il professionista esposto sul piano patrimoniale ed emotivo.



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