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Senza reddito non c’è nulla da risarcire

Il danno patrimoniale va provato dalla vittima, ma nella prospettiva futura si basa sulla presunzione dei comportamenti e delle intenzioni palesate fino al momento del sinistro

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Una nuova e recente vicenda giudiziale ci porta a fare alcune ulteriori considerazioni in tema di danno patrimoniale da risarcire alla vittima di un fatto illecito, ovvero ai suoi eredi.

La vicenda approda ad una interessante decisione della suprema Corte di Cassazione (Ordinanza 10 maggio 2016, n. 9431 - Presidente Armanno – Relatore Sestini). La Corte di Appello di Perugia aveva riconosciuto al figlio minore di una vittima deceduta in un incidente stradale il risarcimento del danno non patrimoniale per la morte del padre, negando il risarcimento del danno patrimoniale per la perdita dell'apporto economico del genitore, sul rilievo che la posizione del defunto, "tossicodipendente privo di occupazione", non era "in sé economicamente valutabile" né "foriera di nuovi sviluppi lavorativi", "in assenza di prognosi favorevole sulla capacità di guadagno futura", tanto più che era "pacifico che (in vita) il padre non lavorasse e non contribuisse in alcuna misura al mantenimento del figlio".
Il figlio minore, rappresentato dalla madre, ricorreva dunque per cassazione della sentenza lamentando che la circostanza che il genitore  non avesse un lavoro al momento del decesso non era idonea a far ritenere che sarebbe rimasto disoccupato per tutta la vita, tenuto conto anche della sua giovane età, sostenendo che la legge in vero riconosce il risarcimento anche a chi non abbia un reddito "senza subordinare tale riconoscimento all'ulteriore valutazione relativa allo svolgimento di attività economicamente valutabili".

All'esito della discussione in camera di consiglio, il supremo Collegio ritiene che la censura non possa essere condivisa e che il ricorso vada rigettato per le ragioni che seguono.
Viene rammentato - in primo luogo - che la norma di legge (art. 4 l. n. 39/77) non prevede affatto un automatismo nel riconoscimento del danno patrimoniale ai soggetti privi di reddito, giacché "si limita ad indicare alcuni criteri di quantificazione del danno sul presupposto della prova relativa, che comunque incombe al danneggiato" (ex multis, Cass. n. 23761/2011).
Né alcun automatismo può sussistere in materia di riconoscimento del danno patrimoniale per la perdita dell'apporto economico di un congiunto deceduto, giacché tale pregiudizio presuppone necessariamente la prova (anche presuntiva) che detto congiunto, benché temporaneamente privo di reddito, avrebbe contribuito in futuro al mantenimento del familiare.
In tale modo risulta corretta l'esclusione del risarcimento in presenza di elementi idonei a far ritenere del tutto improbabile (o, comunque, meno probabile che non) qualsiasi futuro apporto economico da parte del congiunto deceduto.
Nello specifico, a fronte della circostanza che la morte del padre ha indubbiamente privato il figlio dell'astratta possibilità di riceverne un contributo al proprio mantenimento, la censura investe la valutazione della probabilità che il deceduto cominciasse a svolgere attività lavorative produttive di reddito, in modo regolare e in misura tale da consentire di contribuire stabilmente al mantenimento del figlio minore.

In assenza della prova che la vittima avrebbe lavorato in futuro con prevedibile credibilità, il danno non può essere risarcito.
È interessante dunque rilevare come la Corte di Cassazione abbia ribadito che il danno patrimoniale debba sempre essere provato dalla vittima dell’illecito e che, non assolto tale onere, il danno preteso (ancorché possibile) non può essere riconosciuto.
Nel caso particolare, lo stato psicofisico cronico e patologico di dipendenza e la situazione di perenne assenza lavorativa lasciavano prevedere e presumere che ancora per lungo tempo la vittima non avrebbe contribuito (come accadeva in vita) al mantenimento del figlio e che quindi il danno da mancato reddito non possa trovare accoglimento.




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